Accertamento sintetico Come premessa dovuta, va detto che, nell’ambito dell’imposizione diretta, la metodologia induttiva adoperata anche per i contribuenti percettori di redditi non determinati in base a scritture contabili, viene definita “sintetica” ed è prevista dall’articolo 38 del Dpr 600/1973 (nel testo vigente prima delle modifiche apportate dal Dl 78/2010). Tale metodo si basa sui seguenti postulati:
- l’ufficio, in base a elementi e circostanze di fatto certi, può determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in relazione al contenuto induttivo di taluni elementi e circostanze, quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato. A tal fine, un apposito decreto ministeriale (Dm 10 settembre 1992) stabilisce come l’ufficio può determinare induttivamente il reddito o il maggior reddito in relazione a elementi indicativi di capacità contributiva, individuati con lo stesso decreto, quando il reddito dichiarato non risulta congruo rispetto ai predetti elementi per due o più periodi d’imposta
- il contribuente ha facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, la cui entità e durata del possesso devono risultare da idonea documentazione.
Il redditometro si regge, quindi, sulla chiara divergenza tra quanto dichiarato dal contribuente e la sua capacità di spesa individuata, principalmente, dal possesso o dalla disponibilità di beni.
La vicenda processuale Con distinti avvisi di accertamento, il competente ufficio delle Entrate ha rideterminato, ai sensi dell’articolo 38 del Dpr 600/1973, il reddito di una contribuente, poiché, in quell’anno di imposta, la stessa aveva acquistato dai genitori un bene immobile. L’impugnazione viene accolta dal giudice di primo grado con sentenza riformata dalla Commissione tributaria regionale, la quale, accogliendo l’appello dell’ufficio, ha ritenuto sostanzialmente che, a fronte del fatto certo, costituito dall’acquisto di un fabbricato a titolo oneroso, la ricorrente non aveva fornito prova contraria atta a vincere la conseguente presunzione di maggior reddito.
Il ricorso per Cassazione si basa su due motivi, con i quali la soccombente denuncia l’illegittimità dell’operato dell’ufficio in quanto, a fronte di una vendita di un cespite immobiliare avvenuta tra genitori e figli, non è corretta e non può essere giustificata la pretesa dell’Amministrazione finanziaria di presumere un maggior reddito, rispetto a quello dichiarato, in capo ai figli acquirenti.
Motivi della decisione La Suprema corte è, però, di contrario avviso e, respingendo il ricorso del contribuente, rafforza un orientamento specifico in tema, secondo cui la compravendita di un immobile è un indizio di rilevanza tale che il Fisco può usare per emettere legittimamente l’accertamento induttivo.
Infatti, in materia di accertamento, per la determinazione sintetica del reddito annuale complessivo, la sottoscrizione di un atto pubblico contenente la dichiarazione di pagamento di una somma di denaro da parte del contribuente può costituire elemento utile a determinare induttivamente il reddito posseduto, in base all’applicazione di presunzioni semplici (articolo 2727 codice civile – cfr Cassazione, sentenza 3115/2006), che l’ufficio finanziario é legittimato ad applicare, risalendo dal fatto noto (nella specie, l’esborso di rilevanti somme di denaro per l’acquisto di beni) a quello ignorato (sussistenza di un certo reddito e, quindi, di capacità contributiva). Le norme, naturalmente, consentono al contribuente di fornire la prova contraria – da valorizzare mediante “idonea documentazione” (cfr Cassazione, sentenza 22218/2008) – “in ordine al fatto che manca del tutto una disponibilità patrimoniale, essendo questa meramente apparente, per avere l'atto stipulato, in ragione della sua natura simulata, una causa gratuita anziché quella onerosa apparente” (cfr Cassazione, sentenze 8665/2002, 23252/2006 e 14367/2007).
In sostanza, la sussistenza dei presupposti per l’accertamento sintetico, quali la disponibilità di alcuni beni o la manifestazione di una certa capacità di spesa, crea, in favore del Fisco, una presunzione di esistenza di un maggiore reddito e, di conseguenza, sposta totalmente sul contribuente il carico probatorio. Onere che risulta, peraltro, ben individuato nel suo oggetto dall’articolo 38 del Dpr 600/1973, il quale prevede la facoltà di dimostrare soltanto o che i presupposti suddetti siano in realtà inesistenti o che il maggior reddito è costituito da redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta.
La presunzione semplice trasferisce al contribuente l’impegno di dimostrare che il dato di fatto sul quale essa si fonda non corrisponde alla realtà. In particolare, che il pagamento del prezzo non è avvenuto e, quindi, l’effettuata acquisizione di beni non denota una reale disponibilità economica, suscettibile di valutazione a fini fiscali, poiché il contratto stipulato, in ragione della sua natura simulata, ha una causa gratuita anziché quella onerosa apparente (Cassazione 5991/2006). In altri termini, nel caso la compravendita sia stata solo un atto simulato per diverse esigenze familiari, sarà il contribuente a dover dimostrare la mancanza assoluta di disponibilità economica – oltre l’esborso, il reddito del contribuente deve naturaliter essere sufficiente alla manutenzione e gestione dei beni – e, quindi, a dover sconfessare l’atto impositivo (sulla prova del negozio dissimulato cfr Cassazione, sentenza 13459/2006). Invece, nella fattispecie trattata, la contribuente non ha fornito l’attesa prova liberatoria.