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Giurisprudenza

Per la società che produce beni,
derivati speculativi indeducibili

Solo le operazioni effettuate a scopo di copertura possono dare origine a perdite “inerenti” e non tutte quelle idonee a produrre redditi: ciò che conta è l’oggetto dell’impresa

In caso di società che non operano nel settore creditizio e finanziario, i derivati speculativi difettano del requisito di inerenza e, pertanto, nel caso in cui generano perdite, queste ultime non possono essere considerate deducibili ai fini delle imposte sui redditi. Questo è il rilevante principio che può essere tratto da alcuni recenti pronunciamenti giurisprudenziali della Corte di cassazione (sentenza 5160 del 28 febbraio 2017 e ordinanza 12738 del 23 maggio 2018).
Sull’argomento, ricordiamo che, secondo la Consob, i derivati sono un tipo di prodotto finanziario il cui valore “deriva dall'andamento del valore di una attività ovvero dal verificarsi nel futuro di un evento osservabile oggettivamente. L'attività, ovvero l'evento, che possono essere di qualsiasi natura o genere, costituiscono il "sottostante" del prodotto derivato.
Tali strumenti sono utilizzati, principalmente, per tre finalità:
  • ridurre il rischio finanziario di un portafoglio preesistente (finalità di copertura o, anche, hedging)
  • assumere esposizioni al rischio al fine di conseguire un profitto (finalità speculativa)
  • conseguire un profitto privo di rischio attraverso transazioni combinate sul derivato e sul sottostante tali da cogliere eventuali differenze di valorizzazione (finalità di arbitraggio)”.
Il fatto
In seguito a due verifiche fiscali, l’Agenzia delle entrate aveva emesso degli avvisi di accertamento tramite i quali aveva proceduto a recuperare a tassazione alcune componenti di costo (in un caso, nella forma di accantonamenti a fondo rischi e, nell’altro, quali differenziali negativi) collegati a derivati che si erano rilevati per l’appunto in perdita. Le due vicende sono accomunate dalla circostanza che in entrambi i casi si trattava di contratti derivati di tipo “Irs” (Interest rate swap) – cioè contratti con i quali due controparti si scambiano pagamenti periodici di interessi, calcolati su una somma di denaro, detta capitale nozionale di riferimento, per un periodo di tempo predefinito pari alla durata del contratto – e che le società che li avevano sottoscritti erano manifatturiere (produttrici di beni).
 
Nella sentenza 5160/2017, la Corte di cassazione, confermando per quanto in argomento la decisione della Commissione tributaria regionale del Piemonte, ha disatteso la richiesta della parte intesa al riconoscimento della deducibilità della perdita collegata al derivato, pur se speculativo, ai sensi dell’allora vigente articolo 103-bis, comma 1, del Tuir, richiamato, per i soggetti non svolgenti attività finanziaria o creditizia, dal comma 2-bis del medesimo articolo.
In particolare, il comma 1 dell’articolo 103-bis, le cui disposizioni sono attualmente presenti nell’articolo 112, prevede che alla formazione del reddito per i soggetti svolgenti attività finanziaria e creditizia, concorrono (in senso positivo e negativo) anche le valutazioni delle operazioni fuori bilancio, tra le quali vi sono anche i contratti derivati.
 
La difesa della parte si era sviluppata in questi termini: il fatto che l’articolo 103-bis, comma 3, prevede per i derivati di copertura un criterio di valutazione particolare rispetto ai derivati speculativi significa che anche la valutazione dei derivati speculativi deve concorrere, in senso positivo o negativo, alla determinazione del reddito degli enti creditizi anche se con un criterio diverso da quello previsto per i derivati di copertura (quest’ultimo disciplinato dal comma 2).
L’applicabilità delle predette disposizioni anche alle società diverse da quelle finanziarie è riconosciuta dal già citato comma 2-bis. Va evidenziato, tuttavia, che l’articolo 103-bis riguarda(va) esclusivamente le operazioni in essere in corso alla chiusura dell’esercizio (quindi oggetto di valutazione), mentre le perdite vere e proprie collegate ai derivati sono presenti in conto economico, in quanto non frutto di valutazione, ma di vera e propria rilevazione conseguente al materiale versamento delle somme (nella pratica, anziché effettuare due pagamenti di denaro da entrambe le parti contraenti, il pagamento viene effettuato solo dalla parte che si trova a dover versare l’importo maggiore e lo fa al netto della somma che dovrebbe ricevere: cosiddetto “flusso differenziale”).
 
I giudici di legittimità hanno evidenziato che nel caso di specie, trattandosi di una società non svolgente attività finanziaria o creditizia, non bisogna entrare nel merito dell’eventuale applicabilità dell’articolo 103-bis, in quanto la natura speculativa del derivato (cioè un contratto non stipulato per coprire realmente l’impresa dalle fluttuazioni dei tassi di interesse) comporta “in via pregiudiziale…l’insussistenza delle condizioni di deducibilità dei costi di cui all’art. 75 (oggi articolo 109) sotto il profilo della mancanza del preliminare requisito della inerenza del costo alla attività di impresa svolta dalla società”. Ancora più efficacemente è stato spiegato che, poiché il derivato è in realtà “finalizzato ad ottenere un profitto dalla «scommessa» sull’andamento dei tassi di interesse”, non essendo quindi ravvisabile alcuna correlazione con l’attività di una società che si occupa della produzione di beni e non di assumere rischi finanziari, viene meno il requisito dell’inerenza necessario per la deducibilità dei componenti negativi.
 
Poi, con la recente ordinanza 12738/2018, sovvertendo i primi due giudizi di merito sfavorevoli all’ufficio, la Corte di cassazione ha confermato la correttezza dell’operato dell’Agenzia delle entrate, arrivando a conclusioni analoghe a quelle sopra descritte.
Il pronunciamento risulta oltremodo importante, in quanto nella parte motiva è chiaramente evidenziato l’errore in cui è caduta la Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna nel momento in cui aveva ritenuto che le perdite su derivati devono essere considerate inerenti “sia che si tratti di operazioni a scopo di copertura, sia a scopo speculativo”.
Anche in questo caso, i giudici, richiamando la sentenza citata in precedenza, ribadiscono che non è in discussione l’applicabilità dell’articolo 103-bis, poiché “sono insussistenti le condizioni di deducibilità dei costi di cui all’art. 75…per la carenza del preliminare requisito della inerenza del costo alla attività di impresa...svolta da una società il cui oggetto sociale è costituito dalla produzione di metalli e acciai”.
Più chiaramente, inoltre, i giudici evidenziano che non può essere riconosciuta l’inerenza per il solo fatto che i costi possano essere ricondotti a qualsiasi operazione idonea a produrre reddito (nel caso di specie il derivato speculativo potrebbe anche condurre a un profitto), in quanto la riferibilità va relazionata non ai ricavi in sé, ma all’oggetto dell’impresa (cfr Cassazione, sentenze nn. 10269/2017, 3746/2015, 21184/2014 e 7701/2013).
 
Inoltre, poiché la parte nel corso del giudizio aveva cercato di far valere la natura di copertura del derivato nonostante lo stesso fosse espressamente definito come speculativo nella Nota integrativa, la Cassazione evidenzia che, per riconoscere la finalità di copertura del derivato, è utile fare riferimento alla circolare 166/1992 della Banca di Italia e alla determinazione Consob del 26 febbraio 1999. In particolare, per riconoscere a un derivato la finalità di copertura ossia di “ridurre o trasferire il rischio di variazione del valore di singole attività e passività o di insiemi di attività e passività” (articolo 103-bis, comma 3, ultimo periodo, nella versione all’epoca vigente) è necessario verificare che:
  • vi sia l’intento di porre in essere la copertura
  • sia elevata la correlazione tra le caratteristiche tecnico-finanziarie (scadenza, tasso di interesse, nozionale, eccetera) delle attività/passività coperte e quelle del contratto di copertura
  • le predette circostanze risultino documentate da evidenze interne.
Conclude la Corte evidenziando che, in assenza delle predette condizioni, il derivato è di tipo “aleatorio e speculativo, escludendosene pertanto la natura di operazione di copertura”.
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