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Giurisprudenza

Società estinta e crediti insoluti:
colpa del liquidatore, ma non sempre

Un’attenta analisi della sussistenza della responsabilità sia secondo il codice civile che in base alle disposizioni tributarie contenute nell’articolo 36 del Dpr n. 602/1973

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Il tribunale di Genova, con la sentenza n. 2000/2021, ha enucleato con chiarezza i principi a cui affidarsi nell’applicazione della disciplina relativa agli effetti della cancellazione delle società dal registro delle imprese – che ne determina l’estinzione – sulle pretese dei creditori, compresa l’amministrazione finanziaria.

La cancellazione della società dal registro delle imprese, come detto, ne comporta l’estinzione (articolo 2495 cc.). I creditori sociali insoddisfatti (inclusa l'amministrazione finanziaria) possono, tuttavia, rivalersi nei confronti dei soci, nel limite di quanto da essi riscosso in base al bilancio di liquidazione; inoltre, se il mancato pagamento è dovuto per colpa dei liquidatori, i creditori possono agire nei loro confronti.
Quando la richiesta di cancellazione è successiva al dicembre del 2014, però, gli effetti dell’estinzione della società, nei confronti dell’Erario, si realizzano trascorsi cinque anni da essa (articolo 28, Dlgs n. 175/2014), quindi, per tale periodo, gli atti di accertamento diretti alla società rimangono validi.

Il fatto
L’ufficio notificava a una srl due avvisi di accertamento, entrambi impugnati in Commissione tributaria.
Dopo la notifica del primo avviso, la società era stata posta in liquidazione, ma era stata omessa la relativa comunicazione all’Agenzia delle entrate.
In pendenza dei giudizi di impugnazione, la società veniva cancellata dal registro e nulla era attribuito all’Erario in esito alla liquidazione.
Estinta la società, l'amministrazione finanziaria perdeva ogni possibilità di recupero del credito, in quanto la richiesta di cancellazione era successiva al dicembre del 2014.
Inoltre, nulla era stato distribuito ai soci, pertanto le somme non potevano essere recuperate nei loro confronti.
L’ufficio agiva quindi contro il liquidatore, colpevole di avere omesso la comunicazione obbligatoria di messa in liquidazione della società (articolo 35, Dpr n.. 633/1972); di non aver indicato il debito tributario nel bilancio finale; di avere effettuato pagamenti a terzi, in danno dell’Erario, di aver locato l'azienda, senza inserirla nel bilancio finale né come cespite né come fonte di credito per i canoni futuri.

La sentenza
Il tribunale di Genova ha stabilito che, ai fini della sussistenza della responsabilità:

  1. non è necessario che il credito dell’Erario sia fondato su un accertamento definitivo né che sia stato iscritto a ruolo né che la Commissione tributaria abbia definitivamente vagliato la pretesa. È sufficiente, infatti, che il credito sia ragionevolmente fondato al momento della liquidazione e che tale fondatezza sia riconoscibile dal liquidatore
  2. deve risultare che il liquidatore avrebbe potuto condurre le operazioni di liquidazione in modo diverso e tale da assicurare il soddisfacimento del credito
  3. l’ufficio deve provare la sussistenza del danno, del nesso causale e della colpa.

In applicazione di detti principi, il tribunale ha ritenuto sussistente, nel caso concreto, la responsabilità del liquidatore.

Accanto alla responsabilità appena analizzata, l’ordinamento prevede, all’articolo 36 del Dpr n. 602/1973, una ulteriore, più specifica, tipologia.
In virtù di tale norma, i liquidatori che non adempiono all’obbligo di pagare le imposte dovute per il periodo di liquidazione e per quelli anteriori, ne rispondono se non provano di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all’assegnazione di beni ai soci o associati, o di avere soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari.
Tale responsabilità è contestata dall'ufficio, con la notifica di un atto motivato, che può essere impugnato dinanzi al giudice tributario.
Una prima caratteristica che differenzia le fattispecie in questione da quella prevista dal codice civile è, pertanto, la necessità di un formale e motivato atto di contestazione da parte dell’ufficio.
Altra differenza consiste nel fatto che la responsabilità ex articolo 36 prescinde dall’estinzione della società.

Le condotte dalle quali origina tale responsabilità, inoltre, sono specificamente individuate nel mancato rispetto dell’ordine di graduazione nella destinazione dell’attivo, o nell’assegnazione di beni sociali ai soci prima di avere soddisfatto il credito erariale, mentre la responsabilità prevista dal codice civile nasce da qualsiasi condotta, purché colposa.
Il termine di prescrizione è decennale nel caso dell’articolo 36, quinquennale nel caso previsto dal codice civile.
Se opta per l’applicazione dell’articolo 36, l’ufficio dovrà provare solo il mancato pagamento delle imposte, dovuto a una delle condotte ivi indicate, e non la colpa del liquidatore.

Infine, mentre la responsabilità ex articolo 36 sussiste solo in caso di accertamento definitivo o iscrizione a ruolo, il codice civile richiede la riconoscibilità del credito come ragionevolmente fondato, pur in pendenza di giudizio e anche in assenza di un titolo esecutivo.
In tal caso, tuttavia, graverà sull’ufficio un più penetrante onere probatorio; quest’ultimo dovrà infatti dimostrare la sussistenza della colpa del liquidatore, del danno e del nesso causale.

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