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Giurisprudenza

La società operativa oggi
non è detto che lo sia anche domani

La sussistenza delle condizioni oggettive che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi minimi, per cause indipendenti dalla volontà imprenditoriale, va verificata per ogni singola annualità

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Lo status di società non operativa, risultante dall'applicazione dei parametri previsti dall'articolo 30 della legge n. 724/1994, non è permanente, ma va accertato anno per anno, ben potendo una società essere non operativa in un determinato esercizio sociale e operativa in quello successivo. Pertanto, nell’ipotesi in cui alla società di comodo venga disconosciuto il credito Iva per più annualità, la sussistenza delle condizioni oggettive che avessero reso impossibile il conseguimento dei ricavi minimi, per cause indipendenti dalla volontà imprenditoriale deve essere verificata con riferimento ad ogni singola annualità. Ne consegue che l’accoglimento dell’istanza di interpello presentato per una specifica annualità non estende automaticamente i propri effetti ad annualità differenti.
Questo il principio contenuto nell’ordinanza n. 30762 dello scorso 19 ottobre della Corte di cassazione.

I fatti
Il caso riguarda una cartella di pagamento con cui l’Agenzia delle entrate aveva recuperato il credito Iva scaturito dalle dichiarazioni presentate dalla società per i periodi d’imposta dal 2005 al 2009. L’ufficio aveva disconosciuto il credito ai sensi dell’articolo 30, comma 4, della legge n. 724/1994, trattandosi di società non operativa, nei confronti della quale l’eccedenza di credito risultante da dichiarazione non è ammessa a rimborso e non può essere oggetto di compensazione o cessione.

La società ha impugnato l’atto impositivo, invocando la disapplicazione della disciplina sulle società di comodo in forza dell’accoglimento di un’istanza di interpello che, seppur presentato per il solo periodo d’imposta 2007, avrebbe dovuto estendere i propri effetti a tutti gli altri periodi accertati.
Il ricorso proposto dalla contribuente è stato accolto dalla Ctp e la sentenza confermata dalla Ctr. In particolare, i giudici d’appello hanno genericamente affermato, che alla compagine accertata non potesse essere applicabile la disciplina antielusiva delle società di comodo, perché la stessa si trovava nell’oggettiva condizione di non poter svolgere la propria attività produttiva per cause a essa indipendenti, come confermato dall’accoglimento dell’istanza di interpello presentata per il solo 2007.

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando violazione e falsa applicazione del richiamato articolo 30, per avere la Ctr erroneamente disapplicato la norma in questione per tutti gli anni accertati, senza verificare la sussistenza delle situazioni oggettive che avessero reso impossibile il conseguimento dei ricavi, separatamente per ogni singolo periodo d’imposta. In altre parole l’accoglimento dell’istanza di interpello poteva spiegare i propri effetti solo con riferimento al 2007, anno riguardo al quale l’istanza era stata prodotta.
I giudici di legittimità hanno ritenuto fondato il motivo di doglianza dell’ufficio finanziario e cassato con rinvio la sentenza impugnata.

La disciplina delle società non operative
Il regime delle società non operative è disciplinato, come detto, dall’articolo 30 della legge n. 724/1994, che prevede un peculiare regime di tassazione, in ragione del quale le società di capitali residenti, e non residenti con stabile organizzazione in Italia, si considerano non operative se l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, con esclusione di quelli straordinari, è inferiore ai ricavi minimi presunti stabiliti dalla norma. Per coloro che non hanno superato il “test di operatività”, scatta la presunzione di un reddito minimo, che viene determinato in rapporto al valore dei beni della società, ai quali sono applicati altri coefficienti mentre, per quanto riguarda l'Iva, sono previste limitazioni all'utilizzo dell'eccedenza a credito. Le percentuali per la determinazione dell’ammontare complessivo dei componenti positivi, in quanto parametri previsti espressamente dalla legge e legati a un livello minimo presunto di redditività dei determinati cespiti patrimoniali, hanno piena valenza sia in sede di accertamento che di determinazione giudiziale. Di conseguenza, il mancato superamento del test costituisce elemento sintomatico della natura non operativa della società sicché, trattandosi di presunzione legale relativa, è ribaltato sul contribuente l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare l'esistenza di situazioni oggettive e straordinarie, specifiche e indipendenti dalla sua volontà, che abbiano impedito il raggiungimento della soglia di operatività e di reddito minimo presunto. A tal fine, il comma 4-bis dell’articolo 30 stabilisce che, in presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi e dei proventi nonché del reddito mimino presunto o non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini Iva previste, la società interessata può interpellare l'amministrazione ai sensi dell'articolo 11,  comma 1, lettera b) della legge n. 212/2000. In tal modo, l’istante può richiedere all’amministrazione finanziaria una risposta relativamente alla sussistenza delle condizioni e alla valutazione dell’idoneità degli elementi probatori richiesti dalla legge per l'adozione della disciplina antielusiva.

La decisione
La controversia in esame è incentrata proprio sull’estensione dell’onere probatorio a carico del contribuente, ossia della sua capacità di dimostrare l'esistenza delle suddette situazioni. La prova contraria offerta dal contribuente può riguardare tanto il mancato raggiungimento della soglia di operatività quanto il reddito minimo presunto normativamente. La società, infatti, può evidenziare le circostanze che hanno impedito il raggiungimento della soglia minima di componenti presuntivi e che, pertanto, giustificano la minore entità di componenti positivi dichiarati e risultanti dalla contabilità, nonché contestare le ulteriori presunzioni poste dalla normativa, indicando eventuali condizioni che hanno reso impossibile conseguire l'imponibile minimo. Peraltro, l'impossibilità per l'impresa di conseguire il reddito minimo a causa di situazioni oggettive di carattere straordinario, deve essere intesa in termini elastici, identificandosi con uno specifico fatto, non dipendente dalla scelta consapevole dell'imprenditore, che impedisca lo svolgimento dell'attività produttiva con risultati reddituali conformi agli standard minimi legali.

La questione è ora chiarire se l’accoglimento dell’interpello, presentato per un singolo periodo d’imposta, possa spiegare i propri effetti su altri anni senza la verifica puntuale della sussistenza della condizione che la società è impossibilitata, per cause alla stessa indipendenti, allo svolgimento dell’attività produttiva. Sul punto la suprema Corte di cassazione ha risposto negando tale eventualità e ribadendo il principio per cui, con riferimento alle società di comodo, lo status di società non operativa, risultante dall'applicazione dei parametri previsti dall'art. 30, comma 1, della I. n. 724 del 1994 non è permanente, ma va accertato anno per anno, ben potendo una società essere non operativa in un determinato esercizio sociale e operativa in quello successivo.

Nel caso in argomento, la Corte di legittimità ha accolto le doglianze dell’amministrazione finanziaria contro la decisione del giudice di merito che, in via del tutto generica e non circostanziata, ha ritenuto estendibili – senza necessità di alcuna verifica – le cause oggettive di non poter svolgere l’attività produttiva anche ad annualità differenti da quella per cui l’unico interpello era stato presentato e accolto, così contravvenendo ai principi consolidati della Corte di cassazione.

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