Lo ha ribadito la Cassazione con la pronuncia n. 17503 del 1° settembre 2016, non a caso resa in forma di ordinanza.
La vicenda processuale
L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione avverso una sentenza della Ctr della Lombardia che, nell’annullare un avviso di accertamento, aveva stabilito l’inutilizzabilità degli elementi probatori acquisiti dall’amministrazione fiscale francese per effetto della collaborazione informativa internazionale prevista dalla direttiva 77/799/Cee del Consiglio europeo del 19 dicembre 1977, nonché dalla convenzione tra l’Italia e la Francia contro le doppie imposizioni.
La pronuncia e le osservazioni
In ambito tributario non vige alcuna previsione generale di inutilizzabilità della documentazione irritualmente acquisita, come accade invece in ambito penale con la previsione di cui all’articolo 191 cpp.
Tale posizione è stata da sempre sostenuta dalla Cassazione, la quale, già con la sentenza 8344/2001, aveva chiarito che “Non esiste … nell’ordinamento tributario un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite”. Dunque, il principio sancito dall’articolo 191 del codice di procedura penale “vale, ovviamente, soltanto all’interno di tale specifico sistema procedurale”, vale a dire in ambito penale.
Lo stesso orientamento è stato successivamente confermato dalla sentenza 24923/2011, con la quale la suprema Corte ha precisato che “non qualsiasi irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale comporta, di per sé, la inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso, ed esclusi, ovviamente, i casi in cui viene in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale (cfr. Cass. 26 maggio 2003, n. 8273; 1 ottobre 2004, n. 19689; 16 giugno 2006, n. 14058; 16 aprile 2007, n. 8990)”.
In altri termini, in base al consolidato indirizzo della Cassazione, in assenza di una norma generale sull’inutilizzabilità in ambito tributario, eventuali illegittimità nelle procedure di acquisizione della documentazione non si riverberano sulla legittimità dell’atto tributario, salvo che:
- l’acquisizione non sia avvenuta in violazione di una norma tributaria, che sanziona la propria violazione con l’inutilizzabilità della documentazione medesima
- l’acquisizione non sia avvenuta in violazione di un diritto fondamentale di rango costituzionale.
- l’amministrazione finanziaria, nella sua attività di accertamento dell’evasione fiscale, può – in linea di principio – avvalersi di qualsiasi elemento con valore indiziario, con esclusione di quelli la cui inutilizzabilità discenda da una disposizione di legge o dal fatto di essere stati acquisiti dall’amministrazione in violazione di un diritto del contribuente
- sono utilizzabili, nel contraddittorio con il contribuente, i dati bancari acquisiti dal dipendente infedele di un istituto bancario, senza che assuma rilievo l’eventuale reato commesso dal dipendente stesso e la violazione del diritto alla riservatezza dei dati bancari (che non gode di tutela nei confronti del fisco). Nell’ordinamento tributario, ai fini di un accertamento fiscale, assumono rilievo e sono utilizzabili anche elementi di prova assunti irritualmente, purché non lesivi dei diritti fondamentali di rango costituzionale, quale quello della libertà personale del contribuente. Alla luce di tanto, il principio di garanzia proprio del diritto alla libertà personale non è applicabile all’obbligo di riservatezza cui sono tenuti gli istituti bancari nei confronti delle operazioni compiute dai propri clienti, in quanto a fondamento del segreto bancario non ci sono valori della persona umana da tutelare, ma piuttosto istituzioni economiche e interessi patrimoniali
- non è considerata violazione del segreto d’ufficio la comunicazione da parte dell’amministrazione finanziaria alle autorità competenti degli altri Stati membri delle informazioni atte a permettere il corretto accertamento delle imposte sul reddito e sul patrimonio
- spetta al giudice di merito, in caso di contestazioni fiscali mosse al contribuente, valutare se i dati in questione siano attendibili, anche attraverso il riscontro con le difese del contribuente.
In tale prospettiva, ne deriva che, se un singolo elemento indiziario è idoneo a fornire una presunzione grave e precisa, non vi sono dubbi sulla legittimità dell’accertamento analitico-induttivo che si fondi esclusivamente su di esso.
Dando continuità a tali principi, la Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, stabilendo che sono utilizzabili “i dati bancari acquisiti dal dipendente di una banca residente all'estero e ottenuti dal fisco italiano mediante gli strumenti di cooperazione comunitaria, senza che assuma rilievo l'eventuale illecito commesso dal dipendente stesso e la violazione dei doveri di fedeltà verso l'istituto datore di lavoro e di riservatezza dei dati bancari, che non godono di copertura costituzionale e di tutela legale nei confronti del fisco medesimo”.
Spetterà alla Ctr della Lombardia, cui la controversia è stata rinviata, valutare i dati acquisiti la cui attendibilità è da considerarsi presunta sino a prova contraria, da fornirsi a cura del contribuente attraverso contestazioni circostanziate.