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Giurisprudenza

Il solo taglio del dovuto originario
non incide sulla validità dell’atto

L’avviso impugnato rimane in vigore. Nessuna norma, infatti, vieta all’amministrazione la possibilità dell’annullamento parziale per rimediare a un mero errore di calcolo

taglio banconota

In tema di accertamento delle imposte, la modificazione in diminuzione dell’originario avviso non esprime una nuova pretesa tributaria, limitandosi a ridurre quella originaria, per cui non costituisce atto nuovo, ma solo revoca parziale di quello precedente. Lo ha affermato la Cassazione nell’ordinanza n. 18625 del 7 settembre 2020.
 
I fatti
Ai fini della realizzazione di un parco eolico, nel 2007, una srl ha stipulato una pluralità di contratti costitutivi del diritto di superficie e del diritto di servitù su un terreno, per la durata di 29 anni. Con gli atti notarili costitutivi di tali diritti è stato convenuto il pagamento sia di un corrispettivo minimo, alla firma del contratto, sia di un’ulteriore somma annua, subordinata alla condizione della realizzazione ed entrata in funzione del parco eolico.
In particolare, la somma annua da versare era suddivisa in due quote: una fissa, in misura predeterminata, l’altra variabile, pari a una percentuale del fatturato di produzione del generatore eolico installato sul terreno di proprietà del concedente.
Esaminate la clausole del contratto, l’ufficio ha liquidato le maggiori imposte di registro, ipotecaria e catastale in quanto le parti non avevano denunciato la condizione sospensiva sulla base della quale il pagamento dell’ulteriore somma annua era subordinato alla realizzazione ed entrata in funzione del parco eolico.
Inoltre, l’ufficio rilevava che la parte variabile della somma annua dovuta non era interamente definita nel contratto, ma veniva quantificata mediante rinvio a elementi esterni e, quindi, dipendeva da un prezzo (parzialmente) indeterminato. Poiché la condizione si era avverata nel mese di settembre 2009, le parti avevano l’obbligo di presentare la denuncia di avveramento nel termine dei 20 giorni successivi (articoli 27 e 19 del Tur) e, in tale denuncia, poiché il contratto era anche a prezzo (parzialmente) indeterminato, ex articolo 35 Tur, avrebbero dovuto effettuare anche la rideterminazione del valore per l’intera durata del contratto (articoli 43 e 51, Tur).
  
Nel corso del giudizio di primo grado, l’ufficio, prendendo atto che la quota variabile doveva essere corrisposta dal momento in cui l’impianto entrava in funzione (pertanto dal 2010 in quanto anno di primo esercizio), ha effettuato, in autotutela, una correzione dell’avviso originario. E cioè, tenendo conto della durata del contratto e quindi dell’effettiva base imponibile (che, per i contratti a titolo oneroso traslativi o costitutivi di diritti reali – ex articoli. 43 e 51 Tur – è costituita dall’importo più alto tra il valore del diritto, oggetto dell’atto e il corrispettivo pattuito “per l’intera durata del contratto”), l’ufficio ha modificato, riducendolo, l’importo delle somme dovute e ha sostenuto che l’annullamento parziale dell’avviso di liquidazione, per la parte relativa a tale errore di calcolo, non inficiava la validità dell’atto originario per quanto ancora dovuto.
 
Le Commissioni tributarie hanno annullato integralmente l’avviso di liquidazione impugnato, ritenendo illegittimo il provvedimento di autotutela che, per la sua natura sostitutiva, non poteva essere solo depositato in giudizio ma doveva essere anche notificato ai contribuenti.
In particolare, la Commissione tributaria regionale ha dichiarato la cessazione della materia del contendere, richiamando la pronuncia della Cassazione, n. 17119/2017, secondo la quale “... oggetto del processo tributario ... è l’accertamento della legittimità della pretesa tributaria in quanto avanzata con l'atto impugnato e alla stregua dei presupposti di fatto e in diritto in tale atto indicati, con la conseguenza che, ove risulti accertato che l’amministrazione, avvedutasi di un errore, abbia emesso un nuovo atto in sostituzione di quello errato (così implicitamente annullando quest'ultimo), deve ritenersi che il processo concernente l'impugnazione dell'atto sostituito non debba proseguire per sopravvenuta carenza di interesse ad ottenere una pronuncia sull'impugnazione di un atto annullato in sede di autotutela”.
L’ufficio ha proposto ricorso per cassazione, lamentando violazione e falsa applicazione degli articoli 2-quater, Dl n. 564/1994, e 2, Dm n. 37/1997, poiché la Commissione regionale, affermando che il provvedimento di autotutela emesso dall’ufficio avrebbe fatto venir meno la pretesa tributaria contenuta nell’avviso di liquidazione impugnato, aveva escluso erroneamente la possibilità che, in caso di autotutela parziale, l’ufficio potesse annullare solo parzialmente l’atto, lasciandolo valido per la parte restante e peraltro senza redigerne uno ulteriore, in sostituzione del primo.
La Corte ha accolto il ricorso e ha affermato che con “l’atto di modifica in diminuzione del precedente avviso di accertamento … si era proceduto alla diminuzione dell’importo richiesto calcolato non più sul periodo di 29 anni bensì di 26. Ciò ha comportato non già la sostituzione dell’atto impositivo originariamente opposto dal contribuente bensì la sua mera riduzione quantitativa” (Cassazione, ordinanza n. 18625/2020).
 
Osservazioni
I giudici di legittimità sono stati chiamati a pronunciarsi sugli effetti prodotti, nel giudizio in corso, dall’annullamento parziale di un avviso di liquidazione, modificato dall’ufficio a seguito di un mero errore di calcolo della base imponibile.
In materia tributaria, il potere della Pa di provvedere in via di autotutela all’annullamento d’ufficio o alla revoca, anche in pendenza di giudizio, degli atti illegittimi o infondati è espressamente riconosciuto dall’articolo 2-quater, comma 1, Dl n. 564/1994, e dal Dm n. 37/1997, recante il relativo regolamento di attuazione.
Tali rimedi di tipo demolitorio, riconducibili allo schema di un provvedimento amministrativo di secondo grado, si estendono a qualsiasi vizio di legittimità (annullamento) o di merito (revoca) dell’atto impositivo, compreso quindi l’“evidente errore logico o di calcolo” (articolo 2, comma 1, lettera b), Dm n. 37/1997), con il solo limite del giudicato sostanziale favorevole all’amministrazione (articolo 2, comma 2, Dm n. 37/1997).
Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che, una volta “riconosciuto il potere generale di autotutela in capo alla pubblica amministrazione e, in particolare, riconosciuto il potere del Fisco di procedere d’ufficio all’annullamento dei propri atti ritenuti illegittimi o infondati, nessuna norma esclude la possibilità dell’annullamento parziale dei predetti atti né tale esclusione risulta ricavabile dal sistema, dal quale è invece al contrario ricavabile un più generale principio di ‘conservazione’ degli atti medesimi”.
Ha confermato, altresì, la piena legittimità, in sede di autotutela, dell’annullamento parziale da parte dell’amministrazione finanziaria di propri atti eventualmente affetti da errori” (Cassazione, n. 6851/2016).
Qualora il motivo di illegittimità non incida sulla validità dell’intero atto, ma solo su una sua parte e la parte legittima contenga gli elementi necessari per poter essere ritenuta completa ex lege, il generale principio di conservazione degli atti consente, quindi, all’amministrazione finanziaria di annullare l’atto viziato parzialmente, senza necessità di emetterne uno sostitutivo. Nessuna disposizione dell’articolo 2-quater, Dl n. 564/1994, né dell’articolo 2 del Dm n. 37/1997, infatti, obbliga l’ufficio a emettere un atto sostitutivo in caso di annullamento parziale del precedente.
 
Nella fattispecie in esame, l’autotutela è stata esercitata per correggere l’errore di calcolo commesso dall’ufficio nell’indicare il numero di anni (26 piuttosto che 29) da porre alla base del calcolo delle maggiori imposte dovute, con la conseguenza che il provvedimento di secondo grado ha inciso solo sulla quantificazione dell’importo dovuto e non, invece, sull’esistenza dell’obbligazione, né sulle ragioni di fatto e di diritto poste alla base dell’originario atto impugnato, né infine sul diritto di difesa della contribuente poiché non ha modificato l’oggetto del contendere aggiungendo motivi nuovi, idonei a sollevare ulteriori contestazioni.
L’annullamento, quindi, non è stato effettuato per rimuovere le cause di illegittimità che comportavano l’invalidità dell’intero atto, e che ne richiedevano la sostituzione. Non vi è stato, cioè, esercizio del potere di autotutela sostitutiva, con la quale l’Amministrazione sostituisce un precedente atto, viziato, con un atto nuovo e che è soggetta al termine di decadenza dell’esercizio del potere impositivo, ma piuttosto è stato esercitato il potere, più generale, di “annullamento parziale in autotutela”, che, comportando invece soltanto una riduzione dell’originaria pretesa e costituendo una mera revoca parziale del precedente avviso di accertamento, non implica alcuna novazione della precedente pretesa fiscale (Cassazione,  n. 11699/2016).
 
Nel primo caso, l’integrazione o la modificazione in aumento dell’originario avviso, che determina una nuova pretesa tributaria rispetto a quella originaria, si sarebbe dovuta necessariamente formalizzare con l’adozione di un nuovo avviso di accertamento, che, aggiungendosi o sostituendosi a quello originario, avrebbe dovuto indicare i nuovi elementi di fatto di cui è sopravvenuta la conoscenza; nel secondo, invece, la modifica in diminuzione non necessitava di forme o motivazioni particolari, in quanto non integrava una nuova pretesa tributaria, ma si risolveva in una mera riduzione di quella originaria costituendo mera revoca parziale del precedente atto, già notificato, e non richiedeva che venisse rispettato il termine decadenziale per l’esercizio del potere impositivo (cfr Cassazione, nn. 22019/2014 e 937/2009).
 
Nella fattispecie al suo esame, la Corte ha escluso di trovarsi “di fronte ad un caso di vera e propria autotutela sostitutiva”, sussistendo “piuttosto un’ipotesi di mera autoriduzione quantitativa dell’originaria pretesa impositiva, fermi restando i presupposti costitutivi del rapporto tributario, così come evincibili dall’atto di accertamento” (Cassazione, n. 2246/2018).
Di conseguenza, l’avviso di liquidazione originario, impugnato in giudizio e annullato soltanto “in parte qua” con conseguente “riduzione” del rapporto controverso, non costituiva un nuovo rapporto tributario avente titolo nell’atto corretto ma si identificava, fondendosi, con una parte del primo atto anche per gli specifici motivi di ricorso già formulati dal contribuente e che delimitavano, assieme ai presupposti di fatto e alle ragioni giuridiche della pretesa fiscale non modificati, l’oggetto del giudizio tributario (ancora) pendente.
 
D’altra parte, in assenza dell’autotutela parziale dell’ufficio, la natura di impugnazione-merito del processo tributario avrebbe portato comunque il giudice, alla richiesta di un esame sostanziale dell’atto tributario e alla verifica, anche solo in misura parziale, della sua fondatezza.
Nel processo tributario, diretto a una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell’accertamento dell’ufficio, infatti, il giudice, ove ritenga invalido l’atto impositivo per  motivi  di carattere sostanziale, non  può  limitarsi  al  suo  annullamento,  ma  deve esaminare nel merito la pretesa e ricondurla alla corretta misura, entro  i limiti posti dalle  domande  di  parte.
Sarà il giudice del rinvio, ponendosi  nell’ambito della tipica cognizione di impugnazione-merito sui limiti di legittimità dell’atto impositivo opposto, a pronunciarsi sulla fondatezza della (residua) pretesa erariale, ricordando che è “errata la decisione del giudice di secondo grado di ritenere la cessazione della materia del contendere. L’atto impugnato, infatti è rimasto del tutto vigente sia pure recante una minore pretesa debitoria con la conseguente permanenza dell’interesse dell’Agenzia a vedere riconosciuto il proprio credito tributario e quello oppositivo dei contribuenti, volto a negare la pretesa”.
 

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