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Giurisprudenza

Sono elementi positivi di reddito le operazioni bancarie non giustificate

Il contribuente onerato della prova non può vincere la presunzione legale mediante altra presunzione semplice, ma deve allegare e provare fatti certi

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L'ufficio notificava a una società e ai soci un avviso di accertamento posto in essere sulla base di un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza.
In particolare, l'Amministrazione finanziaria contestava alla società e ai soci, quali ricavi non dichiarati, i movimenti effettuati su cinque conti correnti bancari sui quali erano autorizzati a operare i soci accomandatari.

La società e i singoli soci presentavano ricorso alla Commissione tributaria provinciale, la quale lo accoglieva parzialmente.
Più specificatamente, i giudici di prime cure, pur riconoscendo la legittimità e fondatezza dell'avviso di accertamento, avevano applicato, in via di equità, una percentuale di costi non dichiarati inerenti ai maggiori ricavi, nella misura del 60 per cento.

I contribuenti proponevano appello.
L'ufficio controdeduceva eccependo che illegittimamente la Commissione tributaria provinciale aveva operato l'abbattimento del 60 per cento del maggiore imponibile accertato, atteso che non era stata proposta domanda in tal senso dai contribuenti.
La Commissione tributaria regionale riformava parzialmente la sentenza di primo grado, asserendo che era fondata l'eccezione di ultrapetizione in cui erano caduti i giudici di prime cure; più specificatamente, per i giudici d'appello, la società aveva l'obbligo di dimostrare che gli assegni e le varie operazioni effettuate sui conti correnti bancari dai soci esulavano dall'attività aziendale. Inoltre, la Ctr riteneva che, in base alla "struttura dei rilievi" formulati dai verbalizzanti, era possibile addivenire a una ragionevole quantificazione del maggior reddito; in altri termini, poteva presumersi "che i prelevamenti fossero dovuti a costi occulti, grazie ai quali furono conseguiti ricavi occulti".

Propone ricorso per cassazione l'Agenzia delle Entrate, censurando la sentenza di appello nella parte in cui ritiene che i prelevamenti costituiscono costi occulti, laddove l'articolo 32 del Dpr n. 600/73, impone tassativamente di considerare come ricavi anche i prelevamenti, se il contribuente non ne giustifichi la provenienza.
In ogni caso, per l'Amministrazione finanziaria, detti costi occulti non potevano essere presi in considerazione, in quanto non annotati nelle scritture contabili e nel conto profitti e perdite.
I controricorrenti replicano sul punto, eccependo la nullità dell'avviso di accertamento, non solo perché la Guardia di Finanza e l'ufficio avevano sommato introiti e prelevamenti, ma anche in quanto detto provvedimento era stato motivato per relationem.

Tanto premesso, va preliminarmente rilevato che il comma 1, punto 2 e 7, dell'articolo 32 del Dpr 600/73, recante disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi, accorda all'ufficio il potere di richiedere agli istituti di credito notizie dei movimenti sui conti "intrattenuti dal contribuente" e di presumere la loro inerenza a operazioni non contabilizzate e rivelatrici della produzione di maggiori ricavi, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto o che non hanno rilevanza ai fini della determinazione del reddito soggetto a imposta; alle stesse condizioni sono, altresì, posti come ricavi alla base delle rettifiche e accertamenti, i prelevamenti annotati negli stessi conti e non risultanti dalle scritture contabili, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario.
In altri termini, il citato articolo 32, al comma 1, n. 2, contempla la presunzione secondo cui i versamenti e i prelevamenti bancari, di cui il contribuente non è in grado di giustificare la provenienza devono essere considerati come elementi positivi di reddito.

Tutto ciò premesso, con la sentenza de qua, la Corte di cassazione ha ritenuto fondato il ricorso presentato dall'Agenzia delle Entrate, riconoscendo la legittimità dell'avviso di accertamento.
In particolare, i giudici di legittimità hanno affermato che con la previsione contemplata dal comma 1, n. 2, dell'articolo 32 del Dpr 600/73, il legislatore ha inteso considerare ricavi, fino a prova contraria, sia i prelevamenti che i versamenti, "in quanto non ha ritenuto che il contribuente evasore occulti in pari misura i ricavi ed i costi; anzi, la norma muove dal presupposto che il contribuente tenda ad occultare i ricavi, ma non i costi. Né appare lecito presumere che in ogni caso a ricavi occulti necessariamente corrispondono costi occulti" (cfr. Cassazione n. 18016 del 9/9/2005).

In buona sostanza, sostiene la Corte, qualora la legge imponga sul piano probatorio una inversione dell'onere della prova, il soggetto onerato della prova non può vincere la presunzione legale mediante altra presunzione semplice, ma deve allegare e provare fatti certi.
Del resto, la giurisprudenza prevalente e consolidata della Corte di cassazione, ha ritenuto a tal proposito che "l'onere della prova, circa l'esistenza dei fatti che danno luogo a oneri e costi deducibili, ivi compresi i requisiti dell'inerenza e dell'imputazione ad attività produttive di ricavi, non incombe all'Amministrazione finanziaria, ma al contribuente che invoca la deducibilità".
(cfr. Cassazione n. 7867 del 22/8/1997; n. 13181 del 4/10/2000; n. 11514 del 7/9/2001; n. 18016 del 9/9/2005).

Nella specie, invece, il contribuente non ha provato né che i prelevamenti non hanno costituito acquisizione di utili, né che sono serviti per pagare determinati beneficiari.
Pertanto, sulla base delle argomentazioni sopra evidenziate, deve ritenersi manifestamente arbitraria la percentuale di abbattimento dei ricavi applicata dai giudici di appello, non solo in quanto non richiesta dal contribuente, ma anche perché è in contrasto con la presunzione di legge (relativa) disposta dal sopra citato articolo 32, comma 1, n. 2, del Dpr 600/73, che, appunto, impone di considerare ricavi sia i prelevamenti che i versamenti bancari ingiustificati, se il contribuente non provi che i versamenti sono stati registrati in contabilità, ovvero non hanno avuto rilevanza ai fini della determinazione del reddito soggetto a imposta e che, altresì, i prelevamenti, non risultanti dalle scritture contabili, sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili.

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