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Giurisprudenza

Il “sospetto” di prestito fruttuoso
scatta anche per le persone giuridiche

I finanziamenti ai soci, specialmente se infruttiferi, vanno appuntati sui libri sociali come operazioni straordinarie. Nel caso in esame non sono state trovate annotazioni al proposito

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Legittima la ripresa a tassazione Ires, perché non risultano contabilizzati i ricavi per gli interessi attivi sui finanziamenti concessi dalla società contribuente a controllate e collegate. La presunzione legale di onerosità, infatti, vale anche quando il socio non è una persona fisica ma giuridica, mentre la natura infruttifera del finanziamento deve risultare dai libri sociali.
Lo ha stabilito la Cassazione con sentenza 1475 del 23 gennaio 2020 con cui ha rigettato il ricorso di una società confermando la legittimità dell’avviso di accertamento impugnato.

La vicenda processuale e la pronuncia della Cassazione
Secondo l’ufficio i finanziamenti ai soci, specie se infruttiferi, sono operazioni straordinarie da appuntare sui libri sociali, dove non sono state trovate annotazioni al proposito, mentre, alle richieste di chiarimenti, la contribuente avrebbe risposto con la corrispondenza intercorsa con le proprie controllate o collegate, dalla quale si ricavava la concessione del prestito. Di qui la contestazione di omessa contabilizzazione.
Le doglianze della contribuente venivano rigettate sia in primo grado che in appello. Di qui il ricorso in Cassazione, con cui la stessa denunciava, tra l’altro, violazione dell’articolo 45 del Tuir e omessa motivazione su un punto controverso e decisivo. Nello specifico, la Ctr avrebbe violato la norma citata, che prevede una presunzione di onerosità del prestito soci, salva diversa risultanza nelle scritture contabili, mentre vi sarebbe stata prova documentale mediante contratti aventi data certa circa la natura infruttifera dei prestiti de quibus, in una logica di accentramento dei rapporti bancari in capo alla contribuente accertata.

Nel rigettare il ricorso la Cassazione ricorda l’autorevole e mai smentito precedente del 2010 (cfr Cassazione 12251/2010), secondo cui la presunzione legale di onerosità per i versamenti effettuati dal socio alla società, prevista dall'articolo 45 del Tuir, ai fini della determinazione del reddito di capitale delle persone fisiche, è applicabile anche ai versamenti effettuati da soci imprenditori, in forma individuale o collettiva, non facendo la norma cenno alcuno a una pretesa natura di persona solo "fisica" dei soci destinatari della presunzione ed essendo tale limitazione, in carenza di qualsivoglia concreto elemento di differenziazione, contraria a una interpretazione normativa coerente con i precetti dettati dagli articoli 3 e 53 della Costituzione, in quanto finirebbe per trattare diversamente situazioni economiche identiche. Ne consegue che, in caso di mancato superamento della presunzione legale, gli interessi attivi, al pari di quelli prodotti da qualsiasi finanziamento a terzi, concorrono a formare il reddito prodotto dall'impresa (individuale o collettiva).

Ulteriori osservazioni.
In tema di concessione di finanziamenti da parte di soci, il punto delicato attiene all’applicazione della “presunzione legale di fruttuosità” disposta dall’articolo 45, comma 2, del Tuir, e alle forme con cui ne è ammesso il superamento. Tale presunzione altro non è che la trasposizione in ambito fiscale di quanto disposto dall’articolo 1815 cc, il quale prevede l’onerosità come regola generale del contratto di mutuo, salvo che non sia prodotta la prova contraria.

In merito alla prova contraria, la giurisprudenza prevalente (cui si conforma la pronuncia in commento) è concorde nel ritenere che si tratta di una prova “vincolata”; in altri termini detta prova contraria non è libera, ossia non può essere data con qualsiasi mezzo, ma soltanto nei modi e nelle forme stabiliti tassativamente dalla legge, la quale ammette la vittoria sulla suddetta presunzione solo quando risulti, dai bilanci allegati della società, che il versamento è stato fatto a titolo diverso dal mutuo (cfr Cassazione 2735/2011 e 15869/2009).
In particolare, la Corte di cassazione, nella citata sentenza n. 2735/2011, ha ribadito che:

  • la presunzione di fruttuosità delle somme date a mutuo è da qualificarsi come una “presunzione legale relativa”
  • la presunzione legale può essere vinta fornendo “prova contraria”, ma tale prova non è libera, ossia non può essere data con qualsiasi mezzo, ma soltanto nei modi e nelle forme stabiliti tassativamente dalla legge
  • tali forme si sostanziano nel bilancio d’esercizio da cui deve risultare che il versamento è stato eseguito a titolo diverso dal mutuo oneroso.

Si tratta di presunzione relativa mista, di cui si trovano altri esempi in materia fiscale (cfr Cassazione nn. 16483/2006, 1134/2001 e 7657/1995), suggeriti da evidenti finalità antielusive. Nel caso concreto non è stata ritenuta sufficiente la mera enunciazione, da parte del socio, della destinazione del versamento a incremento del capitale e l'assenza di dimostrazione contraria.

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