Articolo pubblicato su FiscoOggi (https://fiscooggi.it/)

Giurisprudenza

Tra sostituto e sostituito, solo il giudice tributario può mettere dito

La regola non soffre eccezione nemmeno quando siano scaduti i termini di decadenza previsti per chiedere la restituzione delle ritenute versate all'Amministrazione finanziaria

_2172.jpg
E' devoluta alla giurisdizione del giudice tributario la controversia promossa dal sostituito d'imposta nei confronti del sostituto, ai fini delle imposte dirette, per pretendere il pagamento (anche) di quella parte del suo credito che il convenuto abbia trattenuto e versato a titolo di ritenuta d'imposta". Così hanno deciso le sezioni unite della Cassazione, con la sentenza n. 22266 del 24 ottobre scorso.

Per la Suprema corte, tale regola non soffre deroga né quando la controversia stessa sia insorta soltanto fra sostituito e sostituto (perché l'originaria incompletezza del contraddittorio non può implicare uno spostamento della giurisdizione, mentre è compito del giudice di essa munito provvedere all'integrazione del contraddittorio stesso), né quando siano scaduti i termini di decadenza previsti dalla legge per chiedere la restituzione delle somme versate all'Amministrazione finanziaria (atteso che tale scadenza incide sulla fondatezza e sull'ammissibilità dell'azione da proporre innanzi al giudice tributario, ma è priva di effetti sulla giurisdizione dello stesso, non essendo prevista dall'ordinamento alcuna giurisdizione residuale dell'Autorità giudiziaria ordinaria a seguito dell'improponibilità, inammissibilità o infondatezza della domanda devoluta alla giurisdizione esclusiva delle commissioni tributarie).

In effetti, la Cassazione ha più volte ribadito che la controversia tra sostituto d'imposta e sostituito, avente a oggetto la pretesa del primo di rivalersi delle somme versate a titolo di ritenuta d'acconto non detratta dagli importi erogati al secondo - non diversamente da quella promossa dal sostituito nei confronti del sostituto, per pretendere il pagamento (anche) di quella parte del suo credito che il convenuto abbia trattenuto e versato a titolo di ritenuta d'imposta - rientra nella giurisdizione delle commissioni tributarie, e non del giudice ordinario, posto che, in entrambi i casi, l'indagine sulla legittimità della ritenuta non integra una mera questione pregiudiziale, suscettibile di essere delibata incidentalmente, ma comporta una causa tributaria avente carattere pregiudiziale, la quale deve essere definita, con effetti di giudicato sostanziale, dal giudice cui la relativa cognizione spetta per ragioni di materia, in litisconsorzio necessario anche dell'Amministrazione finanziaria.

Sempre per il giudice di legittimità, l'applicazione di tale principio non trova ostacolo nel carattere "impugnatorio" della giurisdizione delle Commissioni tributarie (carattere che presuppone la presenza di un provvedimento dell'Amministrazione finanziaria contro cui proporre quel reclamo che costituisce veicolo di accesso, ineludibile, a detta giurisdizione), giacché, come il sostituito, nel caso di prelevamento della ritenuta, potrà promuovere, presentata la dichiarazione annuale, la procedura di rimborso, cosi il sostituto, in caso di versamenti di somme non detratte a titolo di ritenuta, potrà a sua volta formulare richiesta di restituzione al Fisco - in particolare rappresentando le ragioni prospettate dal presunto debitore di imposta per sottrarsi alla rivalsa - impugnandone quindi il rigetto, con ricorso rivolto anche nei confronti del sostituito, effettivo debitore verso il Fisco e, perciò, da considerarsi litisconsorte necessario (in tal senso, tra le tante, Cassazione, sezioni unite, n. 23019/2005 e n. 418/2007).

Il suddetto indirizzo giurisprudenziale si basa su una duplice ragione. La prima di carattere strettamente giuridica, diretta a rimarcare il "carattere meramente fiscale" del titolo della ritenuta e ad attribuire, come si è visto, alla relativa controversia natura "di vera e propria causa pregiudiziale, da risolvere e decidere con effetto di giudicato sostanziale nei confronti dei legittimi contraddittori, e perciò nei confronti dell'Amministrazione finanziaria, dal giudice competente intuitu materiae a conoscerne". La seconda ispirata a ragioni di opportunità, tese a evitare per il sostituto il rischio "di pagare due volte la stessa somma in base a due pronunce contrastanti provenienti da due giudici diversi; come accadrebbe se, riconosciuta dal giudice ordinario, adito dal percipiente del reddito, l'illegittimità della ritenuta, con l'obbligo della controparte di corrisponderne all'attore l'equivalente ammontare, il giudice speciale, adito dall'autore della ritenuta, dichiarasse questa pienamente legittima, rifiutandone al ricorrente il rimborso" (così, Cassazione, sezioni unite, n. 1200/1988).

Per la Suprema corte, dunque, la tutela giurisdizionale dei contribuenti è affidata in esclusiva alla giurisdizione delle commissioni tributarie, concepita comprensiva di ogni questione afferente l'esistenza e la consistenza dell'obbligazione tributaria, e non suscettibile di venir meno in presenza di situazioni di carenza di un provvedimento impugnabile.

Le Sezioni unite hanno anche precisato, come si è innanzi ricordato, che in tal caso, dette situazioni, quando attualmente riscontrate, incidono unicamente sull'accoglibilità della domanda (ossia sul merito), valutabile esclusivamente dal giudice avente competenza giurisdizionale sulla stessa, e non già sulla giurisdizione di detto giudice (in tali termini, Cassazione, sezioni unite, n. 6693/2003).
Orbene, perché possa configurarsi un conflitto negativo di giurisdizione, è richiesto che vi siano due pronunzie da parte di due distinti giudici appartenenti a giurisdizioni differenti, che - sia pure implicitamente - abbiano negato la propria giurisdizione. Al contrario, nel caso in cui il giudice tributario non abbia declinato la propria giurisdizione, dichiarando inammissibile il ricorso per mancanza dell'atto impositivo di un tributo, non ha negato la propria giurisdizione ma si è limitato ad accertare la presenza di un ostacolo all'esame nel merito della domanda.

La giurisprudenza della Corte è pacifica, quindi, nell'affermare che le controversie fra sostituto e sostituito d'imposta, in cui si discuta della legittimità delle ritenute operate dal sostituto ai fini delle imposte dirette, devono essere portate davanti alla giurisdizione tributaria, attraverso l'impugnazione di un atto (anche di silenzio-rifiuto) dell'Amministrazione (cfr, Cassazione, sezioni unite, n. 418/2007 e n. 22515/2006), mentre la competenza del giudice ordinario può configurarsi solo ove la ritenuta sia pacificamente dovuta all'Erario e però il sostituto l'abbia trattenuta appropriandosene (Cassazione, n. 14033/2006).

Infine, è altrettanto pacifico che le controversie relative ai rapporti Amministrazione-sostituto-sostituito danno luogo a un'ipotesi di litisconsorzio necessario fra i richiamati soggetti (anzi, fino alla sentenza della Cassazione, a sezioni unite, n. 1057/2007, questo era praticamente l'unico caso di litisconsorzio riconosciuto nel diritto tributario). Il litisconsorzio si configura però solo quando il sostituto voglia rivolgere la sua pretesa (anche) al sostituito, essendo in questo caso l'Amministrazione litisconsorte necessario; mentre se il sostituito preferisca rivolgersi soltanto all'Amministrazione, non è tenuto a coinvolgere nella controversia il sostituto (così Cassazione, n. 8337/2006, per la quale "l'impugnazione da parte del lavoratore dell'avviso di accertamento relativo all'imposta sul reddito, emesso nei suoi confronti in dipendenza del mancato versamento della ritenuta d'acconto da parte del datore di lavoro, non comporta la necessità di disporre l'integrazione del contraddittorio nei confronti di quest'ultimo, in quanto, indipendentemente dalla possibilità di ravvisare, nel rapporto tra sostituto d'imposta e sostituito, obblighi tributari diversi ed autonomi ovvero un'obbligazione solidale passiva nei confronti del Fisco, non è configurabile tra i due soggetti un litisconsorzio necessario").
URL: https://www.fiscooggi.it/rubrica/giurisprudenza/articolo/sostituto-e-sostituito-solo-giudice-tributario-puo-mettere-dito