La vicenda
L'Agenzia delle Entrate ha notificato a un contribuente, esercente la professione di avvocato, un avviso di accertamento per l'anno 2004, avente a oggetto, tra l'altro, il recupero a tassazione di circa 31mila euro di costi indebitamente dedotti per spese comuni dello studio legale, che non erano state riaddebitate agli altri professionisti, ma dedotte integralmente dal contribuente intestatario delle utenze.
Nel caso di specie, si tratta di uno studio organizzato in condivisione con altri professionisti in cui tutte le spese sostenute per la gestione relative al personale dipendente, banche dati, telefono, affitto dei locali e altre utenze sono state contabilizzate dal contribuente-titolare. L'ufficio ha contestato l'integrale ripartizione delle spese, rilevando che il contribuente avrebbe dovuto portare in deduzione solo le spese proporzionali e inerenti alla propria attività e ripartire i costi tra i vari professionisti in considerazione del fatto che una parte delle spese sono imputabili a servizi di cui hanno usufruito, in proporzione, anche gli altri utilizzatori dello studio.
Il contribuente si è difeso sostenendo che trattandosi di "giovani collaboratori tirocinanti" i costi indicati erano integralmente e perfettamente deducibili in quanto interamente da lui sostenuti perché relativi allo studio di cui è il dominus. In subordine, ha asserito che "ripartendo i costi totali dello studio in ragione dei compensi percepiti nell'anno di esercizio" la quota a lui imputabile poteva essere quantificata comunque nella misura del 66,65 per cento.
Decisione e osservazioni
Il ricorrente ha intrapreso il giudizio di legittimità per lamentare, tra l'altro, la violazione dell'articolo 54 del Tuir, laddove la Ctr ha confermato il disconoscimento dei costi relativi allo studio legale, perché interamente dedotti dal contribuente e non ripartiti tra gli altri professionisti, sostenendo che, trattandosi di "giovani collaboratori tirocinanti", legittimamente "i costi indicati erano integralmente e perfettamente deducibili in quanto interamente da lui sostenuti perché relativi al suo studio legale".
Di diverso avviso è la Corte di cassazione che ha statuito che l'integrale imputazione dei costi a uno solo dei professionisti realizzerebbe una sorta di liberalità indiretta, pacificamente indeducibile.
Al riguardo, la Cassazione ha pienamente condiviso la posizione espressa dall'Amministrazione finanziaria con le circolari 58/2001 e 38/2010, nelle quali si legge che:
- "Il riaddebito, da parte di un professionista, delle spese comuni dello studio utilizzato da più professionisti non costituiti in associazione professionale, da lui sostenute, deve essere realizzato attraverso l'emissione di fattura assoggettata a IVA. Ai fini reddituali, le somme rimborsate dagli altri utilizzatori comportano una riclassificazione in diminuzione del costo sostenuto dal professionista intestatario dell'utenza" (circolare 58/2001)
- "Il reddito di lavoro autonomo è determinato dalla differenza tra i compensi percepiti e le spese sostenute. Ai fini reddituali le somme incassate per il riaddebito dei costi ad altri professionisti per l'uso comune degli uffici non costituisce reddito di lavoro autonomo e quindi non rileva quale componente positivo di reddito. È corretto ritenere che il costo sostenuto può essere dedotto dal professionista solo parzialmente, vale a dire per la parte riferibile alla attività da lui svolta e non anche per la parte riaddebitata o da riaddebitare ad altri. Infatti la parte di costo riaddebitata o da riaddebitare non è inerente alla attività da questi svolta e quindi non assume rilevanza reddituale quale componente negativo. Nella imputazione delle componenti reddituali al periodo d'imposta il reddito di lavoro autonomo segue il criterio di cassa, principio che può essere derogato solo nelle ipotesi previste. Pertanto il costo rimborsato al professionista dal collega per l'uso comune del locale di esercizio dell'attività nel periodo d'imposta successivo non può considerarsi rilevante ai fini reddituali per il professionista che lo riceve. Detto componente sarà invece rilevante per il professionista (collega), nel periodo d'imposta in cui effettivamente lo corrisponde per l'uso dei locali" (circolare 38/2010).
In conformità ai richiamati chiarimenti di prassi, l'avvocato avrebbe potuto ripartire i costi tra i vari professionisti in considerazione del fatto che una parte delle spese sono imputabili a servizi di cui hanno usufruito, in proporzione, anche gli altri professionisti presenti in studio.
In alternativa, non avrebbe dovuto portare in deduzione la parte delle spese riconducibile a servizi fruiti dagli altri avvocati, in quanto la scelta di non far pagare ad avvocati "alle prime armi" alcuna spesa di gestione dello studio può essere paragonata o assimilata a una erogazione liberale che, a norma di legge, non è deducibile.
La scelta del contribuente di portare in deduzione tutte le spese è, dunque, errata. Invero, secondo i giudici di legittimità, anche nel caso di specie, in cui il ricorrente ha affermato di aver sostenuto interamente le spese perché i colleghi collaboratori erano di fatto alla prima esperienza lavorativa, i rimborsi astrattamente spettanti non costituiscono per l'intestatario dello studio professionale, condiviso con altri colleghi, componenti positivi di reddito, bensì minori costi di gestione. Tale impostazione, dunque, fa sì che si debba realizzare una esposizione sostanziale delle spese effettivamente sostenute se e in quanto inerenti all'attività di lavoro autonomo realmente svolta da ciascuno, altrimenti risolvendosi l'imputazione integrale dei costi a uno solo dei professionisti condividenti in una sorte di liberalità indiretta, non deducibile.
La Corte ha dunque rigettato anche la tesi della difesa del ricorrente che, in subordine, ha sostenuto che, al più, i costi andavano imputati in proporzione ai proventi di ciascun professionista e, dunque, imputati nella misura del 66,65% al dominus. Secondo i giudici, non risulta corretta neppure una imputazione parziale dei costi in proporzione ai proventi di ciascun professionista quando la richiesta non è supportata da elementi certi e riscontrabili, che è onere del professionista produrre.