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Giurisprudenza

Spese “discordi” dal dichiarato,
non basta la parola del genero

Deve essere provata e documentata l’entità dei redditi di provenienza familiare e la durata del loro possesso da parte del contribuente

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In caso di rettifica del reddito sulla base del “vecchio” redditometro, il contribuente che deduce che la spesa sia frutto di liberalità o di altra provenienza deve produrre idoneo corredo documentale che confermi entità e durata del possesso della provvista utilizzata per finanziarie le spese contestate, non essendo sufficienti le dichiarazioni di terzi, che al più possono avere un valore meramente indiziario. Sono queste le precisazioni contenute nell’ordinanza della Corte di cassazione n. 17041 del 13 agosto 2020.
 
I fatti
La controversia trae origine dal contenzioso instaurato da un contribuente a seguito della notifica di un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle entrate, sulla base delle risultanze di una verifica fiscale condotta dalla Guardia di finanza, aveva rettificato il reddito dichiarato nei periodi 2007 e 2008, perché difforme rispetto a quello determinato sinteticamente sulla base dei costi di gestione per il possesso di autovetture di grossa cilindrata e di spese per incrementi patrimoniali.
Le ragioni del contribuente sono state respinte in sede di prime cure. La sentenza è stata riformata dalla Ctr che ha accolto l’appello del contribuente ritenendo superata la presunzione legale relativa prevista dall’articolo 38, comma 6, del Dpr 600/1973. In particolare il contribuente aveva dedotto che le spese contestate, incompatibili con il proprio reddito dichiarato, erano state sostenute da suo genero, il quale aveva dichiarato nel processo verbale di contestazione redatto dalla Guardia di finanza di essere l’effettivo proprietario della maggior parte dei beni posti a base del “redditometro” da parte dell’ufficio.
L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione lamentando, come motivo principale, violazione e falsa applicazione dell’articolo 38 del Dpr n. 600/1973, nella versione applicabile ratione temporis, nella parte in cui la Ctr ha ritenuto superata la presunzione di evasione unicamente in base alle dichiarazioni fornite da un terzo, nello specifico il genero del contribuente accertato. In particolare questi aveva sostenuto di aver acquistato i beni posti a base dell’accertamento con i proventi della propria attività e di averli fittiziamente intestati al suocero sottoposto a controllo.
La Corte di cassazione ha accolto il ricorso dell’Amministrazione e cassato con rinvio la sentenza impugnata.
 
Il “vecchio” redditometro
La controversia ruota attorno all’accertamento sintetico, disciplinato secondo le regole vigenti ratione temporis.
La norma disponeva, in particolare, che l’Ufficio finanziario, in base a elementi e circostanze di fatto certi, potesse determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze quando il reddito complessivo netto accertabile si discostava per almeno un quarto da quello dichiarato.
Le modalità di determinazione induttiva del reddito, stabilite in base al possesso di specifici beni indicativi di capacità contributiva, erano determinate sulla base di un decreto ministeriale.
Per come era strutturato il “vecchio” accertamento sintetico, la disponibilità di determinati beni, quali, ad esempio, spese per incrementi patrimoniali o spese di gestione su beni-indice quali autovetture, integra indubbiamente una presunzione legale (relativa) ai sensi dell’articolo 2728 cc, in base alla quale deve ritenersi conseguente al fatto certo di tale disponibilità l’esistenza di una capacità contributiva.
Per quanto attiene alla prova contraria il comma 6 dell’articolo 38 del Dpr n. 600/1973, nella versione antecedente alla modifica introdotta dall’articolo 22 del Dl n. 78/2010, prevedeva una prova rafforzata a carico del contribuente, il quale non doveva limitarsi a dimostrare la mera disponibilità di redditi esenti o soggetti a ritenuta utilizzati per finanziare le spese contestate, in quanto “l'entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione.”
 
La decisione
Nel caso di specie l’Amministrazione finanziaria aveva dedotto l’insufficienza dell’onere probatorio a carico del contribuente il quale, in merito alla provenienza della provvista utilizzata per sostenere le spese poste a base dell’accertamento sintetico, si era limitato a riportare la mera dichiarazione di suo genero e di altri familiari, senza alcun apporto documentale.
Con la sentenza in commento la Corte di cassazione ha confermato la correttezza dell’operato dell’ufficio in merito all’oggetto e all’ambito della prova contraria idonea a superare la presunzione legale, relativa del possesso di maggiori redditi non dichiarati, derivante dal possesso di beni indice di capacità contributiva e dal sostenimento di spese incompatibili con l’ammontare dei redditi dichiarati.
Il Collegio di legittimità ha infatti confermato che, in tema di accertamento sintetico del reddito, nella versione vigente prima delle modifiche del Dl n. 78/2010, qualora il “contribuente deduca che la spesa sia frutto di liberalità o di altra provenienza, la relativa prova deve essere fornita con la produzione di documenti, dai quali emerga non solo la disponibilità all'interno del nucleo familiare di tali redditi, ma anche l'entità degli stessi e la durata del loro possesso in capo al contribuente interessato all'accertamento, pur non essendo lo stesso tenuto, altresì, a dimostrare l'impiego di detti redditi per l'effettuazione delle spese contestate, attesa la fungibilità delle diverse fonti di provvista economica”
Analogo principio era stato affermato in una fattispecie differente, in cui il contribuente accertato aveva dichiarato, senza documentarlo, che la spesa posta a base dell’accertamento sintetico fosse frutto di liberalità proveniente dal proprio nucleo familiare. Anche in quel caso la Corte di cassazione ha confermato la necessità di provare e documentare l’entità dei redditi di provenienza familiare e la durata del possesso in capo al contribuente, a nulla valendo una semplice dichiarazione (cfr Cassazione n. 23377/2019).
In conclusione, quindi, per poter superare la presunzione contenuta nell’articolo 38 del Dpr n. 600 del 1973 non sono sufficienti le sole dichiarazioni di terzi, che al più possono avere un valore meramente indiziario, essendo necessario un idoneo corredo documentale che confermi entità e durata della provvista utilizzata per finanziarie le spese poste a base del redditometro.

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