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Giurisprudenza

Spese mediche inesistenti?
E’ una vera e propria frode

L’utilizzo di fatture “fai da te”, emesse solo apparentemente da cliniche private, per la detrazione Irpef di costi mai sostenuti, non configura la semplice dichiarazione infedele

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Chiunque produca falsa fatturazione certificando spese mediche inesistenti al fine della detrazione, in sede di dichiarazione dei redditi, dell’importo dichiarato, configura il reato di dichiarazione fraudolenta (articolo 2 del Dlgs 74/2000) e non della più semplice dichiarazione infedele (articolo 4 del Dlgs 74/2000).
Questo è quanto ha deciso la Corte di cassazione con la sentenza 46785 del 19 dicembre.
 
Il caso scaturisce dall’annullamento del decreto di sequestro preventivo per equivalente emesso dal Gip nei confronti di un contribuente che era stato dichiarato colpevole di aver architettato una frode fiscale per falsa dichiarazione.
In sostanza, erano state prodotte, al fine dell’abbattimento dell’imposta Irpef, fatture o documenti equipollenti falsi, emessi, solo apparentemente, da cliniche private. Veniva attestato il sostenimento di spese mediche in realtà non sostenute, per le quali, come previsto dall’ordinamento tributario, è riconosciuta la detrazione fiscale pari al 19 per cento.
 
L’ordinanza impugnata dal procuratore della Repubblica riportava che quanto disciplinato dall’articolo 2 del Dlgs 74/2000, rubricato “Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”, si sarebbe configurato nel sol caso in cui il contribuente avesse utilizzato, ai fini della nota detrazione, “fatture ideologicamente false”.
Mentre, qualora il contribuente avesse utilizzato fatture o documentazioni “materialmente” false, l’ordinanza avrebbe fatto ricadere il fatto nella fattispecie disciplinata dall’articolo 3, ovvero, nella dichiarazione infedele (tenendo presente che è prevista una soglia di imposta evasa, oltre la quale, la condotta antigiuridica sfocia nel reato penale).
 
Il procuratore della Repubblica, nel ricorso per Cassazione, sostiene che la dichiarazione fraudolenta si configura con l’utilizzo di fatture o di altri documenti comprovanti operazioni inesistenti sia nell’ipotesi in cui vengono utilizzati documenti ideologicamente falsi sia nel caso in cui viene utilizzata documentazione materialmente falsa.
Viene dunque posto, dal ricorrente, l’accento sull’inesistenza dell’operazione economica.
Infatti, a suo parere, l’operazione inesistente può essere fraudolentemente provata sia mediante la creazione di un documento falso costituito ad hoc sia con l’utilizzazione di un documento ideologicamente falso emesso a favore del soggetto.
 
La sentenza di legittimità
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 46785, ha annullato l’ordinanza del tribunale di Napoli che, in funzione di giudice del riesame, aveva, a sua volta, annullato il decreto di sequestro per equivalente emesso dal Gip nei confronti del contribuente, il quale aveva detratto, ai fini dell’Irpef, come spese mediche, il 19% dell’importo di una serie di fatture false che sembrassero provenire da una clinica privata.
 
Un’altra sentenza, la n. 9673/2011, è stata emessa dalla Suprema corte in un caso simile. La pronuncia aveva evidenziato che si integra il reato “di cui all’art. 2, comma primo, del D.Lgs. n. 74 del 2000, e non già la diversa fattispecie di cui all’art. 3, l’utilizzo, ai fini dell’indicazione di elementi passivi fittizi, di fatture false e non solo sotto il profilo ideologico, in riferimento alle operazioni inesistenti ivi indicate, ma anche sotto il profilo materiale, perché apparentemente emesse da ditta in realtà inesistente”.
 
Per quanto concerne la fattispecie concreta sottoposta a giudizio della Suprema corte, non trova spazio il distinguo tra falsità materiale e falsità ideologica in quanto, a parere del Collegio, secondo l’articolo 1 del DLgs 74/2000, la produzione di fatture o altri documenti per operazioni totalmente inesistenti rientra nella nozione di falso materiale e non anche ideologico, in quanto, in materia tributaria, il distinguo che viene effettuato non ha rilevanza ai fini della repressione dei reati fiscali ove rileva la natura del mezzo utilizzato dal contribuente per commettere la frode.
 
La Cassazione evidenzia come nella dichiarazione fraudolenta, prevista dall’articolo 2 del Dlgs 74/2000, le fatture o i documenti contabili necessitino, per essere validi, dei requisiti previsti per la loro corretta compilazione (articolo 21, comma 2, Dpr 633/72) e come, per tale motivo, l’ordinamento tributario riconosca loro un’elevata pericolosità a causa del particolare valore probatorio che queste hanno.
 
In definitiva, con la sentenza in esame, viene acutamente osservato come il reato tributario previsto dall’articolo 2 del Dgs 74/2000 possa essere compiuto da qualsiasi soggetto obbligato a presentare la dichiarazione annuale dei redditi o dell’Iva, mentre, in via residuale, l’articolo 3 stabilisce che il reato possa essere posto in essere soltanto da talune categorie di contribuente (per falsa rappresentazione delle scritture contabili), oltre a essere sottoposto alla soglia di imposta evasa che ne determina l’esistenza o meno.
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