Articolo pubblicato su FiscoOggi (https://fiscooggi.it/)

Giurisprudenza

Lo Statuto e i condoni 2003

La tutela del legittimo affidamento del contribuente presupposto dell'ordinamento tributario

Col rispetto del principio informatore va calibrato il ruolo, proprio dell'amministrazione,
di coordinamento, interpretazione e supervisione sui procedimenti di sanatoria

I principi di buona fede e di tutela dell'affidamento sono radicati nell'intero ordinamento giuridico, a garanzia dei rapporti che si instaurano tra soggetti privati relativamente alle varie vicende negoziali.

Nel particolare ambito dell'ordinamento tributario, da tempo attraversato da correnti di cambiamento in senso partecipativo (all'interno di un processo che interessa, d'altronde, l'intera amministrazione pubblica), l'avvento dello "Statuto dei diritti del contribuente" (legge n. 212 del 2000) sembra aver segnato lo spartiacque tra l'era della supremazia amministrativa e quella della pariordinazione tra i due soggetti dell'obbligazione tributaria.

In particolare, si rammenta che:

  • le disposizioni della legge n. 212/2000, in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono principi generali dell'ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali (articolo 1, primo comma)
  • eventuali norme interpretative in materia tributaria possono essere introdotte soltanto:
    - in casi eccezionali
    - con legge ordinaria
    - qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica (articolo 1, secondo comma).

La recente sentenza n. 17576/2002 della Corte di cassazione - Sezione tributaria è intervenuta in modo chiaro e preciso sulla valenza ermeneutica dello Statuto, in relazione, soprattutto, alla tutela del legittimo affidamento del contribuente.

La lite fiscale traeva origine da un "doppio controllo" dell'ufficio Iva locale, il quale:

  • aveva dapprima rilevato, in capo alla società verificata, l'effettuazione di acquisti in sospensione d'imposta (ex articolo 8, primo comma, lettera c) del Dpr n. 633/1972) eccedenti rispetto al plafond consentito dalla legge
     
  • aveva dunque notificato alla società un processo verbale di constatazione.

Tale verbale era divenuto oggetto di sanatoria ai sensi dell'articolo 21 del decreto legge n. 69/1989 (sul verbale, agli atti del processo, era impresso un timbro comprovante l'adozione di tale procedura).
Di conseguenza, la società aveva perfezionato la procedura mediante il versamento delle somme forfetarie previste dal quinto comma del predetto decreto legge.
Era dunque stata disposta la totale archiviazione del processo verbale.
Successivamente, lo stesso ufficio Iva, richiamando il verbale già definito, aveva rettificato la dichiarazione Iva relativa a uno degli anni compresi nella sanatoria.
E' seguita l'impugnazione da parte della società, e la resistenza dell'ufficio nei due gradi del giudizio di merito.
La parte privata ha sempre invocato, tra gli argomenti difensivi, lo stato di legittimo affidamento nel quale versava a seguito dell'inequivocabile manifestazione dell'originaria sanabilità della violazione, nonché della conoscenza dell'avvenuta archiviazione del verbale.
In sede di appello, l'ufficio aveva argomentato che il verbale era stato a suo tempo archiviato erroneamente, sulla base di un'interpretazione scorretta della norma di sanatoria (articolo 21 del decreto legge n. 69/1989).

Il giudizio di legittimità considera quale "presupposti" i postulati contenuti nella legge n. 212/2000, qualificati come "principi generali dell'ordinamento tributario".
Sulla base di tali principi sono rilette le norme richiamate dalle due parti nel processo d'appello.
Pertanto, rilevata la novità della questione a essa sottoposta, la Suprema corte afferma che:

  • in presenza di un determinato comportamento del contribuente, conforme alle indicazioni dell'ufficio in merito alla possibilità di sottoporre a sanatoria dei rilievi ancora non trasfusi in atto di accertamento
  • con contestuale provvedimento di archiviazione del processo verbale di constatazione contenente i rilievi "condonati"
  • l'ufficio non può, esercitando la propria potestà di autotutela ("in malam partem" per il contribuente) emettere ugualmente l'atto impositivo in rettifica della dichiarazione, fondato sugli stessi presupposti che, in fatto e in diritto, erano stati oggetto del verbale sottoposto a sanatoria.

Tale soluzione è imposta dalla considerazione che:

  • l'articolo 10 della legge n. 212/2000 dispone che i rapporti tra contribuente e amministrazione sono improntati ai principi della collaborazione e della buona fede
  • lo stesso articolo dispone, al secondo comma, che non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, se lo stesso si è conformato a indicazioni contenute in atti dell'Amministrazione, anche se successivamente modificate, o se il suo comportamento è posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni o errori dell'amministrazione stessa.

Quale sicura validazione del carattere "superprimario" dello Statuto, appare l'osservazione dei Supremi giudici, che: "...l'autoqualificazione delle disposizioni della Legge come 'principi generali dell'ordinamento tributario' trova puntuale rispondenza nella effettiva natura della maggior parte delle disposizioni stesse, quale si desume dal loro contenuto normativo, dal loro oggetto, dal loro scopo e dalla loro incidenza nei confronti di altre norme della legislazione e dell'ordinamento tributario, nonché dei relativi rapporti".
Richiamando una propria precedente pronuncia (sentenza n. 4760/2001), il Collegio riafferma, inoltre, che l'articolo 6 dello Statuto ("Conoscenza degli atti e semplificazione"), alla luce dell'enunciazione dell'articolo 1 ("le disposizioni della presente legge, in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono principi generali dell'ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali"), "assume un inequivocabile valore interpretativo", apparendo come "un principio che deve aiutare l'interprete a ricavare dalle norme il senso che le renda compatibili con i principi costituzionali citati".

La funzione di orientamento ermeneutico della legge n. 212/2000 fa inoltre sì che tutti gli eventuali dubbi interpretativi che attengano ad ambiti disciplinati dallo stesso debbano essere risolti dall'interprete nel senso più conforme ai principi statutari.
Tra i principi immanenti nel diritto e nell'ordinamento tributario già prima dell'entrata in vigore dello Statuto, vanno certamente inclusi - per la Suprema corte - i seguenti:

  • collaborazione
  • buona fede
  • affidamento (articolo 10, commi 1 e 2, legge n. 212/2000).

Tali principi sono altresì deducibili dai principi costituzionali:

  • di buon andamento e imparzialità dell'amministrazione (articolo 97, primo comma, Costituzione)
  • di capacità contributiva (articolo 53, primo comma, Costituzione)
  • di eguaglianza ("sub specie del rispetto del canone della ragionevolezza", articolo 3, primo comma, Costituzione).

Vengono poi illustrati, in modo esauriente e sistematico, gli indirizzi giurisprudenziali della Corte costituzionale, della Corte di giustizia delle Comunità europee, nonché del Consiglio di Stato, in materia di tutela dell'affidamento.
In particolare:

  • la Consulta (sentenza n. 525/2000) ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, per violazione dell'articolo 3, primo comma, Costituzione, dell'articolo 21, primo comma, della legge n. 133/1999, nella parte in cui estendeva al periodo anteriore alla sua entrata in vigore l'efficacia dell'interpretazione autentica - in essa contenuta - dell'articolo 38, secondo comma, del Dlgs n. 546/1992, "poiché in questo modo è stato frustrato l'affidamento dei soggetti nella possibilità di operare sulla base delle condizioni normative presenti nell'ordinamento in un dato periodo storico, senza che vi fosse una ragionevole necessità di sacrificare tale affidamento nel bilanciamento con altri interessi costituzionali"
  • la Corte di giustizia ha affermato che il diritto di ogni istituzione comunitaria alla revoca di un atto amministrativo favorevole incontra un limite nella necessità di rispettare il legittimo affidamento del destinatario dell'atto (sentenza 19.5.1983 in causa 289/81)
  • il Consiglio di Stato ha sempre considerato i principi della buona fede e della tutela dell'affidamento "tra i canoni regolatori ultimi dei rapporti tra pubblica amministrazione ed amministrati..." (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza n. 206/1981, Sez. IV, sentenza n. 651/1986, Ad. Plen., sentenza n. 11/1993).

Ma anche la Suprema corte aveva precedentemente deciso in senso sicuramente favorevole all'ingresso dei principi in parola nei rapporti tra amministrazione e cittadino.
In particolare, la sentenza n. 2133/2001 aveva affermato il principio secondo cui:

  • le circolari ministeriali in materia tributaria non costituiscono fonte di diritti e obblighi
  • (e quindi) se il contribuente si è conformato all'interpretazione erronea data dall'amministrazione, successivamente modificata, è esclusa la sola irrogazione delle sanzioni, in base al principio della tutela dell'affidamento ex articolo 10, secondo comma, della legge n. 212/2000.

Su tali basi, il Collegio afferma, quindi, che il principio della "tutela del legittimo affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica", derivante da quelli civilistici "della buona fede e dell'affidamento incolpevole nei rapporti fondati sulla autonomia privata, è immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico - e, quindi, anche in quelli tributari - e costituisce un preciso limite all'esercizio sia dell'attività legislativa, sia dell'attività amministrativa, e tributaria in particolare; nonché... un preciso vincolo ermeneutico per l'interprete delle disposizioni tributarie...".
Lo statuto ha, quindi, solamente esplicitato il principio in discussione, già presente e operante nell'ordinamento ben prima dell'elaborazione del testo normativo del 2000.
La tutela del legittimo affidamento deve, pertanto, guidare e indirizzare tutti i rapporti tributari, anche quelli pregressi.

Il principio di collaborazione, parzialmente coincidente con quello di "buona fede", configura invece:

  • in capo al contribuente, un generale dovere di correttezza inteso a evitare comportamenti capziosi, dilatori, elusivi, genericamente inquadrabili nella categoria dell'"abuso del diritto"
  • in capo al Fisco, l'obbligo di adottare comportamenti coerenti, cioè non contraddittori né discontinui.

L'articolo 10 secondo comma dello statuto esclude l'irrogazione delle sanzioni se il contribuente:

  • si è conformato alle indicazioni dell'amministrazione
  • (ovvero) il suo comportamento sia conseguenza di fatti direttamente conseguiti a ritardi, omissioni o errori dell'amministrazione.

In caso di accertamento, l'imposta rimane comunque dovuta.

Nella sentenza in commento, la Suprema corte dichiara l'illegittimità della rettifica compiuta dall'ufficio, illegittimità, a suo tempo dichiarata dai Giudici di merito, e comportante la caducazione globale della pretesa tributaria, comprendente imposta, sanzioni e interessi.
Non è posta in discussione la legittimità dell'esercizio dei poteri di autotutela da parte dell'ufficio. E' però rilevato che i provvedimenti di esercizio dell'autotutela, in quanto provvedimenti discrezionali volti a rimuovere precedenti atti riconosciuti illegittimi o infondati, necessitano della valutazione della sussistenza:

  • di un interesse pubblico attuale e concreto
  • di specifici interessi privati coinvolti, quale è certamente quello del destinatario del precedente provvedimento favorevole, che sullo stesso abbia fatto affidamento. Per tali motivi, l'accertamento della violazione del limite posto dal principio generale della tutela del legittimo affidamento da parte dell'amministrazione nel concreto rapporto tributario causa "l'illegittimità del provvedimento espressivo di autotutela", dalla quale deriva l'illegittimità dell'avviso di rettifica dell'ufficio Iva.

I condoni 2003 alla luce dei principi della sentenza commentata
Le procedure "concordatarie" della legge n. 289/2002 (Finanziaria per il 2003) consentono, nella generalità dei casi:

  • la chiusura agevolata dei rapporti tributari (concordato per gli anni pregressi, articolo 7 della legge n. 289/2002; dichiarazione integrativa semplice, articolo 8; condono tombale, articolo 9; regolarizzazione delle scritture contabili e del magazzino, articolo 14; riapertura dello "scudo fiscale", articolo 6 del decreto legge n. 282/2002; sanatorie in materia di imposte di registro, ipotecaria, catastale, sulle successioni e donazioni e di Invim, articolo 11 della Finanziaria)
  • l'archiviazione degli atti impositivi (definizione degli accertamenti, degli inviti al contraddittorio e dei processi verbali di constatazione, articolo 15 della legge n. 289/2002)
  • la soddisfazione dei debiti tributari già esecutivi (definizione delle somme iscritte a ruolo, articolo 12 della legge n. 289/2002)
  • l'archiviazione dei ricorsi mediante la parziale soddisfazione delle somme contestate dal Fisco (chiusura delle liti fiscali pendenti, articolo 16 della legge n. 289/2002)
  • la definizione di redditi futuri, ponendosi al riparo dalla attività di accertamento (concordato preventivo ex articolo 6 della legge n. 289/2002).

Successivamente all'entrata in vigore della Finanziaria si sono succeduti due interventi interpretativi dell'Agenzia delle Entrate (circolari n. 3/E del 15 gennaio 2003 e n. 7/E del 5 febbraio 2003), mentre il decreto legge n. 282/2002, convertito con modificazioni dalla legge n. 27/2003, ha recato modifiche all'intera disciplina dei condoni.
La nuova "circolare unica" sulla materia (n. 12/E del 21 febbraio 2003), recependo le modificazioni legislative intervenute, ha comportato la revoca delle precedenti citate circolari nn. 3 e 7.

In tutti i casi, le cennate procedure garantiscono quegli effetti preclusivi dell'accertamento che devono inevitabilmente accompagnarsi alla definizione, affinché la stessa non sia successivamente vanificata dall'attività di controllo degli uffici fiscali.
Se va riconosciuto all'amministrazione il ruolo insopprimibile del coordinamento, dell'interpretazione e della supervisione sui procedimenti di condono, con la possibilità (ove tale sia la soluzione legittima) di negare le agevolazioni, la permanenza di tali poteri dovrà calibrarsi col rispetto del legittimo affidamento dei contribuenti.

A questi ultimi l'amministrazione non potrà, infatti, dare indicazioni successivamente ritirate, e pretendere comportamenti conformi: in tal senso, è il chiarissimo orientamento della commentata sentenza della Cassazione.
Si comprende insomma che l'amministrazione, anche al fine di evitare la soccombenza con le prevedibili spese di lite a proprio carico - e con concrete possibilità di un giudizio per danno erariale avverso i responsabili della prosecuzione del contenzioso (come si evince dalle indicazioni della commissione tributaria regionale, nella sentenza di secondo grado) - dovrà sempre tener conto della tutela del legittimo affidamento del contribuente, che è espressione di un principio informatore non solo dell'ordinamento (speciale) tributario, ma dell'ordinamento giuridico generale.
 

URL: https://www.fiscooggi.it/rubrica/giurisprudenza/articolo/statuto-e-condoni-2003