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Giurisprudenza

Stop al regime del margine
se il cedente non ha i requisiti

Quando l’utilizzo del trattamento riservato alla vendita di beni mobili usati viene riconosciuto illegittimo, l’operazione va assoggettata alla disciplina Iva ordinaria

auto su tir
In materia di Iva, gli articoli da 36 a 40 del Dl 23 febbraio 1995, n. 41, convertito con modificazioni dalla legge 22 marzo 1995, n. 85, hanno recepito, con effetto dall’1 aprile 1995, la settima direttiva Cee n. 94/5 del 14 febbraio 1994, che – per prevenire fenomeni di doppia imposizione e di distorsione della concorrenza tra Stati membri – ha inserito, nell’ambito della sesta direttiva Iva, l’articolo 26-bis, che prevede un particolare regime Iva per le cessioni di beni mobili usati (utilizzabili sia nello stato originario che in seguito a interventi di riparazione), nonché per le cessioni di oggetti d’arte, d’antiquariato e da collezione.
Tale particolare regime, in sostanza, stabilisce che per i beni usati l’imposta sul valore aggiunto si applica sulla base imponibile determinata dalla differenza (”margine”) tra il prezzo di rivendita e il prezzo di acquisto del bene usato stesso, aumentato delle spese sostenute per la messa a punto del bene.
 
Sul piano soggettivo, il sistema speciale del margine interessa sia coloro che abitualmente fanno commercio di beni usati sia i soggetti passivi Iva (imprese, artisti, professionisti) che si trovano a vendere, anche occasionalmente, beni usati, salvo possibilità di optare per l’applicazione dell’imposta con i criteri ordinari.
Sul piano oggettivo, rientrano in tale sistema speciale i suddetti beni usati nei casi in cui i medesimi siano stati acquistati presso privati, nel territorio dello Stato o in quello di altro Stato membro della Ue.
 
Ai fini dell’applicazione del regime speciale si presumono acquistati presso privati anche, per espressa previsione normativa contenuta nel secondo periodo del comma primo dell’articolo 36 del Dl n. 41/1995:
1) i beni acquistati presso un soggetto passivo nazionale o comunitario che abbia assoggettato la cessione al sistema del margine
2) i beni acquistati presso un soggetto passivo comunitario che non abbia applicato l’imposta avvalendosi del regime di esonero per le piccole imprese eventualmente vigente nel proprio Stato
3) i beni acquistati presso un soggetto passivo che non abbia potuto detrarre (neppure parzialmente) l’imposta al momento dell’acquisto.
 
Ciò posto in linea generale, la specifica disciplina delle operazioni rientranti nel regime del margine che intervengono in ambito comunitario è recata dall’articolo 37 del Dl n. 41/1995, il quale stabilisce, al secondo comma, che gli acquisti di beni assoggettati al regime del margine nello Stato membro di provenienza non configurano acquisti intracomunitari, bensì “operazioni interne” da assoggettare appunto all’imposta nel Paese in cui risiede il cedente del bene stesso.
Di conseguenza, gli acquisti di beni da parte di operatori economici nazionali, per i quali viene applicata l’imposta in altri Stati comunitari in base al regime del margine, ancorché i beni stessi siano spediti o trasportati nel territorio dello Stato, non costituiscono acquisti intracomunitari ai sensi dell’articolo 38 del Dl n. 331/1993, convertito con modificazioni dalla legge n. 427/1993.
 
L’applicazione dell’Iva con il sistema del margine nel Paese di origine del bene da parte del cedente comunitario permette, in pratica, che il bene stesso possa essere successivamente rivenduto nel Paese di destinazione dal cessionario nazionale a terzi, applicando lo stesso regime speciale (vedi. anche, in tal senso, e per gli ulteriori adempimenti connessi a tali particolari operazioni, il paragrafo 5 della circolare del ministero delle Finanze n. 177/E del 22 giugno 1995).
 
Diversamente, invece, nell’ipotesi in cui il cedente comunitario dei mezzi di trasporto usati (così come individuati – relativamente agli scambi intracomunitari – dall’articolo 38, quarto comma, della legge n. 427/1993) non applichi nel proprio Stato membro il particolare regime del margine, l’acquisto di tali beni compiuto da un operatore economico nazionale soggetto passivo d’imposta dovrebbe considerarsi disciplinato come un normale acquisto intracomunitario dalle disposizioni al riguardo previste dall’articolo 38, primo e secondo comma, della legge n. 427/1993 (vedi anche, in tal senso, la citata circolare ministeriale n. 177/E del 1995, sempre al paragrafo 5).
 
Proprio in relazione a tale problematica, e in considerazione del fatto che in concreto sovente operatori comunitari del settore di compravendita di autoveicoli usati (talvolta, anche in buona fede) hanno invece considerato gli acquisti di autovetture usate in ambito Ue sempre e comunque assoggettabili al regime del margine, è da ricordare come sia successivamente intervenuta una risposta del Commissario Ue Bolkenstein (n. P-0964/01 DE del 10 marzo 2001), con la quale è stato puntualizzato che gli operatori economici interessati possono avvalersi del regime del margine solamente nei casi di acclarata sussistenza dei sopra cennati requisiti, soggettivi e oggettivi, all’uopo richiesti dalla direttiva 94/5/Cee (così come recepiti in ambito nazionale dal Dl n. 41/1995), dovendosi, diversamente, applicare – per gli acquisti in questione – la normale disciplina dettata per gli scambi intracomunitari dal Dl n. 331/1993.
 
In tale contesto normativo e interpretativo, con la sentenza n. 20302/2013, la Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi in merito a un caso di acquisti di autovetture usate effettuati con il regime del margine, nell’anno 2002, da parte di un rivenditore nazionale presso un cedente anch’esso nazionale; quest’ultimo, a propria volta, aveva precedentemente posto in essere gli acquisti di tali veicoli presso un soggetto comunitario.
A giudizio dei verificatori, tuttavia, nessuno dei soggetti intervenuti nella catena di compravendite dei beni in questione avrebbe potuto possedere i requisiti soggettivi richiesti per l’applicazione del regime speciale, in quanto il soggetto comunitario-originario cedente, e promotore della citata catena di compravendite, era una società di autonoleggio, e quindi, come tale, risultava legittimata a detrarre il tributo corrisposto nel proprio Stato membro sull’acquisto dei veicoli successivamente rivenduti.
 
Conseguentemente, l’Amministrazione finanziaria nazionale aveva contestato all’ultimo acquirente nazionale dei veicoli (società di compravendita di autoveicoli usati) l’indebita applicazione del regime speciale in luogo del regime ordinario degli acquisti interni, con conseguente avviso di accertamento Iva emesso a suo carico per la mancata registrazione dell’intero imponibile delle relative fatture di acquisto e per la correlata violazione dell’obbligo di fatturazione dell’intero corrispettivo delle fatture di rivendita degli stessi veicoli nei confronti dei propri successivi acquirenti nazionali.
 
Sul punto, la Corte ha osservato – in linea con il proprio precedente orientamento in materia (vedi, tra le numerose decisioni richiamate, la sentenza n. 8635 del 30 maggio 2012) – che l’acquisto di beni con il regime del margine implica l’applicazione di un regime “speciale” rispetto alle modalità Iva ordinarie stabilite per gli acquisti, conseguendo da ciò che incombe sul contribuente interessato l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto che giustifichino l’applicazione del regime in questione, e che, in mancanza di tale prova (come di fatto avvenuto, nel caso dedotto in controversia), lo stesso deve considerarsi inapplicabile.
 
In tale ottica, pertanto, la Corte – richiamando, tra l’altro, una pronuncia della Corte di giustizia europea, secondo la quale soltanto “…gli operatori che adottano tutte le misure che si possono loro ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che le loro operazioni non facciano parte di una frode” possono fare legittimo affidamento sulla liceità di tali operazioni (decisione della Corte europea, cause riunite nn. C-354/03, C-355/03 e C-484/03, del 12 gennaio 2006) – ha quindi sostanzialmente affermato che il “rischio fiscale” dell’operazione realizzata con l’applicazione del regime del margine, ma in difetto dei presupposti richiesti (nella specie, per mancanza dei requisiti fiscali soggettivi delle società coinvolte nella cennata catena di compravendite, in primis in capo all’operatore comunitario-originario cedente, che, in quanto svolgente attività di autonoleggio, avrebbe ben potuto operare – come sopra detto – la detrazione del tributo precedentemente assolto sull’acquisto dei veicoli successivamente rivenduti), “…ricade sul cessionario che, nei limiti imposti dall’onere di diligenza..., non abbia verificato preventivamente la regolarità sostanziale dell’operazione (e non soltanto la regolarità formale della fattura) anche con riferimento alla condizione soggettiva del cedente...”.
 
La Cassazione, infatti, ha affermato (a nostro avviso, in modo pienamente condivisibile) che “...il diritto alla applicazione del margine di utile – cui vengono assoggettate le cessioni a catena dei medesimi autoveicoli usati – debba rispondere al medesimo presupposto di legge secondo cui nessuno dei soggetti cedenti, intervenuto nella serie delle diverse operazioni di cessione, deve aver portato in detrazione l’IVA” (vedi anche, in tal senso, il principio espresso dalla Corte di giustizia europea nella decisione n. C-160/11 del 19 luglio 2012, espressamente richiamata nella sentenza in commento).
 
Nella specie, la Corte ha quindi rilevato che le circostanze di fatto tendenti a escludere la buona fede della società nazionale ricorrente devono essere individuate, da un lato, nel non aver quest’ultima provveduto a verificare i libretti di circolazione dei veicoli usati acquistati, dai quali avrebbe potuto constatare che i precedenti proprietari dei veicoli - in primis, la società comunitaria prima cedente, in quanto svolgente attività di autonoleggio - erano da considerare legittimati a detrarre il tributo afferente i propri acquisti “a monte” dei beni medesimi, e, dall’altro, nell’aver condotto la trattativa per l’acquisto delle auto in questione non già direttamente con la società nazionale (apparente cedente), bensì, per conto di questa, con un diverso soggetto “interposto” residente in un altro Stato membro (nella specie, Germania).
 
Sotto il profilo sanzionatorio, infine, nel caso di specie i giudici di legittimità hanno escluso la possibilità di applicare, in favore della stessa ricorrente, la causa di non punibilità (da quest’ultima invocata) prevista dall’articolo 6, comma 2, del Dlgs 18 dicembre 1997, n. 472 (contenente le disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie), secondo cui, tra l’altro, “...non è punibile l’autore della violazione quando essa è determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono...”.
Al riguardo, infatti, la Corte ha osservato che, nella fattispecie dedotta in controversia, “...non è stato allegato dalla parte ricorrente né risulta al Collegio che le disposizioni normative statali e comunitarie in materia di regime del margine abbiano dato luogo, in sede giurisdizionale, a differenti soluzioni interpretative contrastanti pur se da ritenersi egualmente valide in quanto fondate sulla corretta applicazione dei criteri ermeneutici, con la conseguenza che la prospettata difformità interpretativa delle norme in questione…non è idonea ad elidere, nella specie, la sanzionabilità della condotta violativa del regime fiscale del margine di utile”.
 
 
a cura di Giurisprudenza delle imposte edita da ASSONIME
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