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Giurisprudenza

Stretta sulla detrazione Iva dei canoni leasing

Inerenza all’esercizio dell’impresa e strumentalità con le finalità imprenditoriali vanno sempre provate

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La materia del contendere. Ai fini della detraibilità dell'Iva (articolo 19 del Dpr 633/72), il requisito dell'inerenza deve essere accertato verificando se l'acquisto del bene possa considerarsi necessario al tipo e alle modalità dell'attività economica effettivamente svolta, alla luce dell'oggetto sociale perseguito a termini statutari. E’ quanto stabilito dalla Corte di cassazione nella sentenza 23 gennaio 2008, n. 1421.

Nella fattispecie oggetto della sentenza in rassegna, una società a responsabilità limitata, esercente attività di commercio all’ingrosso di frutta e verdura, aveva posto in essere una complessa operazione economico-finanziaria per sollevare da uno stato di difficoltà finanziarie altra società, rilevando - attraverso un contratto di locazione finanziaria - un bene immobile, di cui è poi divenuta proprietaria.
In sede di dichiarazione annuale, la società si era quindi portata in detrazione l’Iva relativa ai canoni pagati in virtù di un contratto di leasing, ma l’ufficio finanziario competente, ritenendo che i canoni medesimi non potessero essere considerati costi inerenti l’attività d’impresa, contestava tale circostanza mediante avviso di rettifica, recuperando a tassazione l’importo delle detrazioni operate.

Il ricorso della società veniva accolto in primo grado e confermato dalla Commissione tributaria regionale, la cui ultima sentenza ha ritenuto, alla luce sia del diritto interno sia di quello comunitario, che la detrazione dell’Iva era stata effettuata nel pieno rispetto della normativa vigente. In particolare, secondo il giudice del riesame, il concetto di “inerenza” andava rapportato non solo all’esercizio dell’attività effettivamente svolta dalla stessa ma anche come potenziale produzione di ricavi (futuri).

Avverso tale pronuncia, la parte soccombente proponeva ricorso per Cassazione, affidandolo a un unico motivo di impugnazione, con il quale, lamentando violazione e falsa applicazione degli articoli 19 e 4 del Dpr 633/1972, deduceva che la Commissione regionale avrebbe errato nella valutazione del requisito dell’inerenza dell’operazione di leasing immobiliare, giungendo ad affermare che tale requisito "si identificherebbe con il potenziale ricavo di guadagni futuri".

L’Amministrazione finanziaria sosteneva, invece, che l’erroneità interpretativa del giudice dell’appello era basata sulla circostanza che il requisito dell’inerenza andrebbe accertato verificando se l’acquisto potesse considerarsi necessario al tipo e alle modalità dell’attività economica, effettivamente svolta alla luce dell’oggetto sociale perseguito a termini statutari. Secondo la ricorrente, tale oggetto riguardava "esclusivamente il commercio all’ingrosso di frutta e verdura e non anche l’attività di acquisto e vendita di immobili"; operazioni che sarebbero, pertanto, estranee all’oggetto sociale della società in questione nel periodo temporale venuto a evidenza.

La decisione della Corte
La Corte di cassazione, nell’accogliere il gravame dell’Amministrazione finanziaria, ha stabilito al riguardo i seguenti principi di diritto:

 

  • che l’articolo 19, comma 1, del Dpr 633/1972, consente al compratore di portare in detrazione l’Iva addebitatagli a titolo di rivalsa dal venditore solo quando si tratti di acquisto effettuato nell’esercizio di impresa, richiedendo un quid pluris rispetto alla qualità di imprenditore dell’acquirente, cioè l’“inerenza” o “strumentalità” del bene comprato rispetto all’attività imprenditoriale
     
  • che è escluso che la sussistenza di detti requisiti possa presumersi in ragione della qualità di società commerciale dell’acquirente, ma esige che l’accertamento debba essere compiuto “in concreto”, non già in astratto, rapportandolo all’oggetto sociale quale risulta dai documenti che la contribuente deve aver cura di allegare e provare, risultando quindi che la sentenza impugnata è stata pronunciata sulla base di una erronea regula iuris
  • che la norma richiamata non introduce alcuna deroga agli ordinari criteri civilistici in tema di onere della prova, lasciando la dimostrazione del detto principio di inerenza o strumentalità a carico dell’interessato
  • che il diniego della detrazione dell’Iva "a monte", quando il bene comprato non sia strumentale all’esercizio dell’impresa, non determina un’illegittima duplicità d’imposizione
  • che in base alla disciplina derivante dal combinato disposto degli articoli 4, comma 2, n. 1), e 19, comma 1, del Dpr 633/1972, mentre le cessioni di beni da parte di società commerciali sono da considerare "in ogni caso" - cioè senza eccezioni - effettuate nell’esercizio di impresa, in ordine agli acquisti di beni da parte delle stesse società, l’inerenza all’esercizio dell’impresa di tali operazioni passive, ai fini della detraibilità dell’imposta, non può essere ritenuta tout court in virtù della semplice qualità di imprenditore societario dell’acquirente, ma occorre invece accertare, attraverso un ponderato giudizio di fatto, che le operazioni medesime siano effettivamente compiute nell’esercizio dell’impresa, cioè in stretta connessione con le finalità imprenditoriali.

Considerazioni
Con la sentenza n. 1421/2008, la Corte di cassazione ribadisce il criterio generale secondo il quale l’imprenditore è tenuto a dimostrare che la spesa sostenuta è inerente alla sua attività, involgendo alcune norme fondamentali della sistematica dell’Iva, riguardanti la possibilità per l’imprenditore di acquistare beni e servizi nell’ambito della propria attività d’impresa e di recuperare poi la relativa imposta assolta sull’acquisto. Trattasi delle basilari disposizioni contenute negli articoli 19 (Detrazione) e 18 (Rivalsa), nonché, con specifico riguardo alle società, nell’articolo 4 del Dpr 633/1972.
La pronuncia offre così lo spunto per rimarcare che l’unico vincolo che limita il diritto alla detrazione Iva (a parte le specifiche norme sulla riduzione della detrazione di cui agli articoli 19-bis e seguenti del Dpr 633/1972) è rappresentato dal criterio dell’inerenza, desumibile indirettamente dal disposto del primo comma dell’articolo19, il quale prevede che, per la determinazione dell’imposta dovuta, è detraibile dall’ammontare dell’Iva assolta, o dovuta, dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione a beni o servizi importati o acquistati nell’esercizio di impresa o di arti e professioni.

Peraltro, il diniego alla detrazione nel caso in oggetto, opposto dal preesistente ufficio Iva e confermato dal giudice di legittimità, si fonda sulla constatazione che l’inerenza o strumentalità del bene comprato, al contrario delle operazioni attive poste in essere dalla società, è stato solo asserito teoricamente dai giudici di merito come rientrante nell'oggetto sociale, ma non è stato affatto provato con un giudizio fattuale che tenesse conto di una pluralità di elementi (accertamento concreto dell’inerenza dell’operazione passiva all’attività d’impresa; riconduzione in concreto dell’inerenza “all’oggetto sociale quale risulta dai documenti che la contribuente deve aver cura di allegare e provare”), di modo che non risulta soddisfatto - secondo la Cassazione - il presupposto della "strumentalità" dell'acquisto all'effettivo esercizio d'impresa, indispensabile, anche per le società commerciali, al fine di vedersi riconosciuto il diritto a detrarre - a valle - l'Iva assolta sulle forniture “a monte”.

La presunzione di cui all'articolo 4, secondo comma, del Dpr 633/1972, per cui le cessioni di beni fatte da società commerciali debbono essere "in ogni caso" considerate compiute nell'esercizio di impresa, non può, infatti, tradursi - secondo la sentenza che si commenta - in un'analoga conclusione in ordine alle operazioni passive, per le quali l'imposta rimane detraibile solo al ricorrere del presupposto dell’"inerenza", nei termini stabiliti dall'articolo 19 del Dpr 633/1972.

La soggettività passiva delle società commerciali
La sentenza in rassegna affronta, dunque, ancora una volta il delicato problema della correlazione esistente per le società commerciali, ai fini Iva, tra presunzione assoluta di imprenditorialità e diritto alla detrazione dell'imposta assolta sugli acquisti di beni e servizi. In sostanza, richiamando l’articolo 19 del Dpr 633/1972, la connessione in capo ai soggetti passivi tra tassazione delle operazioni attive e detrazione dell'imposta assolta sulle quelle passive è un meccanismo di fondamentale importanza perché consente di "neutralizzare" l'Iva nelle fasi intermedie di produzione e commercializzazione dei beni e servizi fino al consumatore finale, sul quale grava in definitiva l'onere della tassazione (in tal senso Cassazione, sentenza 5599/2003).

Peraltro, l'articolo 1 del Dpr 633/1972 individua nell'esercizio di impresa una delle fattispecie atte a integrare il presupposto soggettivo dell'Iva, fornendone poi all'articolo 4, primo comma, una definizione di carattere generale.
Secondo tale disposizione, talune attività economiche (segnatamente le attività commerciali o agricole di cui agli articoli 2195 e 2135 del Codice civile), se esercitate per professione abituale, ancorché non esclusiva, soddisfano di per sé il requisito soggettivo per l'applicazione del tributo.
Inoltre, il comma 2 dell'articolo 4, per le tipologie di società ivi indicate e per gli enti commerciali, pone una presunzione assoluta di imprenditorialità, in forza della quale le cessioni di beni e le prestazioni di servizi rese da tali soggetti si considerano “in ogni caso” effettuate nell'esercizio d’impresa. Per detti soggetti, quindi, la previsione dell'articolo 4, comma 2, rende superflua l'indagine sulla sussistenza in concreto dei requisiti della professionalità e dell'abitualità nell'esercizio di attività economiche, essendo tali elementi presupposti in virtù della veste giuridica assunta dall’operatore, ma di per sé sufficiente a far sorgere l'obbligo di tassazione, indipendentemente dall'attività concretamente svolta. Ne consegue che, per le società commerciali e per gli enti assimilati, non è ipotizzabile la partizione, che può essere operata con riferimento alle persone fisiche ed enti non commerciali, tra attività imprenditoriali e commerciali rientranti nel campo di applicazione dell'imposta, da una parte, e attività svolte nel perseguimento di finalità private o istituzionali, estranee all'Iva, dall'altra.

La ratio di detta presunzione ha chiara finalità antielusiva e va ancorata sia alla natura di enti preordinati necessariamente allo svolgimento di attività economica riconosciuta alle società commerciali dall'ordinamento interno, sia alle garanzie di affidabilità che una tale presunzione offre all'acquirente di beni o servizi che si trovi ad interagire con l'ente stesso (Cassazione, sentenza 5599/2003).
Le medesime esigenze antielusive impongono, tuttavia, sul fronte delle operazioni passive, una valutazione che, all’incontro, non può mai essere “automatica”, ma sempre tendente a verificare - ex professo - la stretta connessione tra acquisti e finalità imprenditoriali perseguite con l’esercizio dell’attività.

Altre pronunce di legittimità
Per completezza, va segnalato che i principi stabiliti nella sentenza 1421/2008 in commento costituiscono orientamento ampiamente consolidato della giurisprudenza del giudice di legittimità (cfr Cassazione, sentenze 10943/1999, 4517/2000, 12995/2000, 16093/2000, 13478/2001, 5599/2003, 7816/2004, 2300/2005, 16730/2007), salvo sporadici episodi contrari (ad esempio, Cassazione 6599/2002). Inoltre, i prefati criteri maggioritari sono stati riconfermati dalla recente sentenza 1607/2008.
Resta solo da aggiungere che, nella pronuncia in commento, la Cassazione si adegua all'orientamento precedentemente espresso dalla giurisprudenza di legittimità maggioritaria secondo cui, nel sistema normativo dell'Iva, l'imposta è dovuta dalle società commerciali all'Erario in relazione a tutte le cessioni di beni e prestazioni di servizi imponibili (operazioni attive), ma è detraibile per gli stessi soggetti soltanto in presenza di operazioni passive (acquisti) aventi a oggetto beni effettivamente destinati alla realizzazione di scopi produttivi.

La correlazione richiesta rappresenta un quid pluris rispetto alla mera qualità di imprenditore (anche societario) dell'acquirente, e si identifica nell'inerenza, o meglio, strumentalità del bene comprato in relazione all'attività imprenditoriale (Cassazione, sentenza 4517/2000).
L'inerenza all'esercizio d'impresa dell'acquisto di un determinato bene non può, dunque, essere ritenuta in virtù della semplice qualità d'imprenditore societario dell'acquirente, né in considerazione dell'astratta ricollegabilità dell'acquisto agli scopi sociali, costituendo tali circostanze elementi puramente indiziari dell'attinenza all'impresa delle operazioni passive.

Anche nel caso delle società commerciali, occorre indagare sulla natura e sulle prerogative dell'attività effettivamente svolta dal soggetto passivo, per accertare che a essa siano ricollegabili di fatto, e non solo in apparenza, tutti gli acquisti effettuati. In mancanza, non si ritiene che la società commerciale, cui sia negata la detrazione, possa lamentare una violazione del dettato normativo, come ha statuito la motivazione della sentenza commentata.

La posizione dell'Amministrazione finanziaria
L’orientamento dell'Amministrazione finanziaria sull’argomento concorda nell'affermare che la presunzione di imprenditorialità disposta dall'articolo 4, secondo comma, del Dpr 633/1972 operi esclusivamente per le operazioni attive, mentre, in ordine alle operazioni passive incombe sui soggetti passivi (società commerciali comprese), l'onere di dimostrare, a prescindere dalle previsioni statutarie e dalla veste giuridica assunta, l'inerenza in concreto all'esercizio d'impresa di beni e servizi acquistati (circolare 57/1991, risoluzione 530643/1992, risoluzione 224/1995, circolare 128/1996, circolare 128/1997).
Il fondamento giuridico di tale asserzione è individuato nel contenuto dell’articolo 19, primo comma, del Dpr 633/1972, il quale, ai fini dell'ammissibilità del diritto di detrazione sull'Iva relativa alle operazioni passive, pone una precisa condizione, che tali acquisti siano sempre afferenti all’effettivo esercizio dell'impresa. Tant’è che di recente, in più circostanze, l’agenzia delle Entrate ha avuto modo di chiarire che il disposto della direttiva n. 77/388/Cee del 17 maggio 1977, sostituita dal primo gennaio 2007 dalla direttiva n. 2006/112/Ce, trasfuso nell’articolo 19 del Dpr 633/1972, consente la detrazione dell’imposta pagata al momento dell’acquisto o dell’importazione di beni e servizi solo nella misura in cui tali beni e servizi siano erogati “ai fini di sue operazioni soggette ad imposta” (circolare 3/2007), e che una società può detrarre l’Iva assolta all’atto dell’acquisto o della realizzazione di un impianto (…) solo nel caso in cui utilizzi l’impianto stesso per compiere operazioni attive ovvero per dare in locazione l’impianto realizzato, ma, al di fuori di questi casi (cioè in assenza dell’inerenza, della corrispondenza tra acquisti effettuati e operazioni svolte nell’ambito dell’attività imprenditoriale o professionale), la detrazione dell’imposta non è ammessa (nello stesso documento di prassi, peraltro, con riguardo alla deducibilità dei costi in materia di imposizione sui redditi, ai sensi dell’articolo 109, comma 5, del Tuir, secondo il quale "le spese e gli altri componenti negativi (...) sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito (...)", l’agenzia delle Entrate sostiene che, nella specie, "per ammettere la deducibilità delle quote di ammortamento del bene concesso in comodato è indispensabile dimostrare l'inerenza tra il contratto di comodato e l'attività d'impresa svolta dal comodante, ovvero verificare che la società istante, realizzando il bene e concedendolo in comodato o in locazione a terzi, persegue sue finalità e vantaggi" (risoluzione 22/2008).

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