Non sono lavoratori dell’impresa familiare i figli che studiano all’università. L’iscrizione alla facoltà di farmacia non costituisce un contributo effettivo all’attività della farmacia di famiglia, tanto più se studiano e risiedono lontano dall’attività di famiglia.
Lo ha stabilito la Cassazione con l’ordinanza 34699 del 24 novembre 2022 con cui ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle entrate.
La vicenda processuale e la pronuncia della Cassazione
Legittimo l’avviso di accertamento dell’Agenzia delle entrate con il quale è stato imputato al contribuente il maggior imponibile, oltre alle sanzioni, derivante dal disconoscimento dell’attribuzione di quote di reddito ai figli studenti universitari della facoltà di farmacia e con residenza distante rispetto la sede dell’impresa di famiglia, non riconoscendo a questi ultimi, ai fini fiscali, la qualità di prestatori d’opera in favore dell’impresa familiare.
Nonostante i requisiti documentali degli elementi della fattispecie ex articolo 5 Dpr 917/1986, non era precluso all’Agenzia delle entrate di contestare, come ha fatto sia con l’accertamento sia in giudizio, la sussistenza in concreto di una collaborazione effettiva, continuativa e prevalente, dei figli del contribuente all’impresa familiare.
Il giudice d’appello ha errato nel non considerare che, ai fini fiscali, l’apporto del familiare all’impresa deve essere non soltanto continuativo, ma anche prevalente rispetto ad altre attività svolte dal preteso collaboratore e, in particolare, con l’attività di studio universitario in corso (cfr Cassazione, n. 40934/2021).
Bocciata, poi, la tesi della Ctr secondo cui l’attività dei figli di collaborazione alla gestione della farmacia oggetto dell’impresa familiare coinciderebbe con il mero fatto che essi erano studenti universitari della facoltà di farmacia. Ai sensi dell’articolo 230-bis del codice civile, costituisce titolo per partecipare all’impresa la prestazione continuativa dell’attività di lavoro nella famiglia che sia correlata all’accrescimento della produttività dell’impresa, procurato dall’apporto dell’attività del partecipante, necessario per determinare la quota di partecipazione agli utili e agli incrementi. Di conseguenza, la mera attività di studio non costituisce di per sé sola un contributo effettivo all’azienda.
Così, nel caso in esame la Ctr ha sbagliato nel valutare meramente in astratto e in potenza la collaborazione dei familiari in questione, rispetto alla concreta fattispecie oggetto della lite che vedeva i figli del contribuente, nell’anno d’imposta, studenti universitari con residenza in un luogo distante dalla sede dell’azienda familiare.
Né vale invocare un precedente isolato della Cassazione (cfr Cassazione, n. 901/2000) secondo cui nel caso di una farmacia, integra il requisito della partecipazione all’impresa familiare lo svolgimento dell’attività di studio al fine del conseguimento del diploma di laurea, perché attività che costituisce un investimento aziendale economicamente valutabile in quanto può in prospettiva escludere il ricorso oneroso a dipendenti farmacisti esterni. Successivamente si è infatti consolidato l’orientamento secondo cui, ai sensi dell’articolo 230-bis cc, rappresenta titolo per partecipare all’impresa familiare la prestazione continuativa dell’attività di lavoro nella famiglia finalizzata all’accrescimento della produttività dell’impresa, procurato dall’apporto dell’attività del partecipante, per cui la mera attività di studio non costituisce di per sé sola un contributo effettivo all’azienda (cfr. Cassazioni, sezioni unite, nn. 89/1995, 5603/2002 e 27839/2005).
Ulteriori osservazioni.
Sul punto si ricorda che in base all'articolo 5, Dpr n. 917/1986, i redditi delle imprese familiari di cui all'articolo 230-bis del codice civile sono imputati a ciascun familiare, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili purché ricorrano le condizioni fissate dalla normativa fiscale. I proventi derivanti dall'esercizio di un'impresa familiare vanno imputati ai singoli partecipanti solo a condizione che sussistano i presupposti giuridici ex articolo 5, comma 4, del Tuir per la qualifica di questi ultimi come “collaboratori familiari”, cioè l'indicazione nominativa dei parenti partecipanti all'attività e delle quote loro attribuite nonché l'attestazione, nella dichiarazione annuale di ciascun partecipante, di aver lavorato per l’azienda di famigli. In caso contrario è legittima l'imputazione globale al solo titolare (cfr Cassazione, n. 7995/2017 e n. 12643/2018).
L'imputazione proporzionale del reddito ai componenti dell'impresa presuppone che sia stata presentata dichiarazione dei redditi, nella quale siano indicati i familiari che collaborano, le quote loro attribuite e l'attestazione di aver lavorato per l'impresa; di conseguenza non è possibile proporre tale eccezione per la prima volta a seguito di accertamento dell’amministrazione finanziaria (cfr Cassazione, n. 32717/2018).