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Giurisprudenza

Studi di settore. Ok all’induttivo
se lo scostamento è “sintomatico”

L’ufficio non è obbligato a prendere in considerazione tutti i dati ritenuti standard per l’attività, ma basta il riferimento ad alcuni di essi purché evidentemente incongruenti

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In tema di accertamento induttivo dei redditi, l’Amministrazione finanziaria può - ai sensi dell’articolo 39 del Dpr 600/1973 - fondare il proprio accertamento sia sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell’attività svolta, sia sugli studi di settore, nel quale ultimo caso l’ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale del comparto merceologico, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente.
Questo il principio di diritto desumibile dall’ordinanza della Cassazione 24273 del 28 ottobre.
 
I fatti in causa
Un contribuente proponeva ricorso per cassazione, dopo aver visto respinte le proprie obiezioni nei precedenti gradi di merito del giudizio tributario, avverso un avviso di accertamento ai fini delle imposte dirette e dell’Iva.
La Ctr, in particolare, notava che l’atto impositivo si basava sugli studi di settore, costituenti prova presuntiva, senza che il contribuente, discostatosi di molto dalla risultanze degli stessi, fosse in grado di dar ragione di tale divaricazione.
In fase di contraddittorio, infatti, il contribuente aveva formulato eccezioni generiche, tant’è che il ricarico dei vari componenti del paniere di riferimento era rimasto ridotto rispetto alla media ponderata del settore, a fronte di una contabilità non del tutto attendibile.
La ricostruzione dei ricavi operata dall’ufficio, secondo i giudici regionali, non era intaccata dalla produzione di documenti o dall’apporto di chiarimenti idonei a modificarne l’entità; anzi, i moltiplicatori venivano applicati con discreti margini di ragionevolezza.
 
Le motivazioni dell’ordinanza
Anche i giudici di legittimità ritengono corretto l’operato dell’ufficio finanziario, richiamando un orientamento giurisprudenziale consolidato, cui ritengono di dover dar seguito.
In particolare, la Corte suprema afferma il seguente principio: “in tema di accertamento induttivo dei redditi, l’Amministrazione finanziaria può – ai sensi dell’art. 39 del DPR 600 del 1973 – fondare il proprio accertamento sia sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell’attività svolta, sia sugli studi di settore, nel quale ultimo caso l’Ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale del comparto merceologico, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente” (così anche Cassazione, sentenza n. 16430/2011).
 
La Cassazione chiarisce che, d’altro canto, in tema di accertamento tributario, la necessità che lo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli studi di settore testimoni una “grave incongruenza”, espressamente prevista dall’articolo 62-sexies del Dl 331/1993, ai fini dell’avvio della procedura finalizzata all’accertamento, deve ritenersi implicitamente confermata, alla luce dell’articolo 53 della Costituzione, dall’articolo 10, comma 1, legge 146/1998. Tale ultima disposizione – pur non richiamando esplicitamente l’articolo 62-sexies citato – non prevede espressamente il requisito della gravità dello scostamento e, nel caso concreto, comunque il notevole divario rispetto a quanto indicato risultava ex tabulas.
 
Osservazioni conclusive
Nella pronuncia in rassegna, la Cassazione, nell’avallare il comportamento dell’ufficio, riconosce la validità di una ricostruzione reddituale – ex articolo 39 del Dpr 600/1973 – che tragga la propria ragionevolezza dallo scostamento dei dati del contribuente rispetto ad alcuni elementi ritenuti “sintomatici” per l’attività svolta.
 
Quanto sopra costituisce un assunto consolidato nella giurisprudenza di legittimità (cfr Cassazione, sentenza 17038/2002).
In sostanza, i giudici di legittimità, in via interpretativa, sono andati oltre la previsione legislativa di riferimento, statuendo che lo strumento standardizzato può essere utilizzato anche solo “parzialmente”: l’ufficio non è obbligato a prendere in considerazione tutti i dati emergenti dagli studi di settore, ma basta il riferimento solo ad alcuni di essi, a condizione che siano particolarmente – e oggettivamente – significativi.
 
Il contribuente, dal canto suo, deve attivarsi e dimostrare l’inutilizzabilità della presunzione, con argomentazioni puntuali e non generiche (come – invece – era accaduto nella vicenda in rassegna).
In particolare, nel caso in esame, le giustificazioni del contribuente emerse in sede di contraddittorio, a fronte di uno scostamento rilevante dal risultato standardizzato, di una contabilità “non del tutto attendibile” e di un ricarico per i vari prodotti del paniere “piuttosto ridotto” (si trattava di un esercizio di tavola calda), non hanno potuto che soccombere a fronte delle argomentazioni incontrovertibili utilizzate dall’ufficio.
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