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Giurisprudenza

La successiva riedificazione
muta l’oggetto della cessione

L’interpretazione dell’atto presentato alla registrazione deve avvenire non solo in base a ciò che emerge da quest’ultimo, ma anche considerando elementi interpretativi esterni

La sentenza 10113/2017 della Corte di cassazione conferma il suo rigoroso orientamento sull’amplissimo ambito di applicazione della normativa sull’interpretazione degli atti soggetti a registrazione dettata dalla legge di registro all’articolo 20 del Dpr n. 131/1986, secondo il quale l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente.
La giurisprudenza di legittimità, difatti, ritiene che tale disciplina esplichi i suoi effetti non soltanto nei riguardi del singolo atto soggetto a registrazione, ma anche nel collegamento negoziale di distinti atti, determinando la loro riqualificazione, come nell’ipotesi degli atti di conferimento di azienda in una società e della successiva cessione delle quote societarie, che individuerebbe un’unitaria cessione d’azienda soggetta all’imposta proporzionale di registro.
In questo senso, si vedano le pronunce della suprema Corte 15 marzo 2017, n. 6758 e n. 6759, e 5 aprile 2017, n. 8792, ma la pronuncia in nota ha confermato l’ampliamento del raggio d’azione dell’articolo 20 non soltanto al collegamento negoziale di più atti da registrare, ma anche a “elementi interpretativi esterni (ed eventualmente successivi) all'atto stesso i quali possono riguardare … anche atti giuridici non negoziali, ovvero semplici comportamenti delle parti”.
 
In tale ottica ermeneutica, infatti, si era già posta la Corte regolatrice del diritto con la decisione, citata da questa in rassegna, 21 novembre 2014, n. 24799, che, però, aveva rinviato la questione al giudice di merito, al fine di verificare se la richiesta di concessione edilizia successiva all’acquisto per la costruzione di un nuovo immobile al posto di quello obsoleto, poi demolito, non potesse oggettivamente aver dato luogo a una vendita di terreno edificabile.
Nella precedente pronuncia della sezione tributaria della Cassazione, parimenti citata da questa in commento, 19 agosto 2015, n. 16983, era stato qualificato atto di cessione di un terreno edificabile, e non di un edificio con terreno, alla luce della successiva demolizione del fabbricato preesistente, in base al rilievo che tale intento emergeva da una delibera, precedente all’acquisto, del Cda della cooperativa acquirente.
 
Nella controversia oggetto della sentenza del supremo Collegio in rassegna, vengono valorizzate le circostanze che, già prima della compravendita, il Comune avesse emanato due pareri favorevoli di fattibilità degli interventi edilizi poi realizzati e la rispondenza del prezzo pattuito alla valorizzazione dello “sfruttamento delle concrete potenzialità edificatorie, ovvero ri-edificatorie, del suolo”.
Invero – in questa, come nelle liti oggetto delle cennate sentenze di legittimità – nel porre a fondamento della rettifica fiscale “elementi esterni” risulta violato il primo canone ermeneutico giuridico, ossia quello della lettera della legge perché l’articolo 20 legittima l’imposta secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli “atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”.
L’interpretazione giurisprudenziale della rilevanza degli elementi esterni non negoziali, invece, potrebbe trovare fondamento nella disciplina ritenuta dalla suprema Corte diversa da quella dell’interpretazione degli atti soggetti a registrazione, ossia l’abuso del diritto ove vengono in rilievo ai fini dell’accertamento tributario anche i fatti (oltre gli atti e i contratti) “anche tra loro collegati”, espressivi di “operazioni prive di sostanza economica inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali”, di cui all’articolo 10-bis, della legge n. 212/2000 di disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale.
Ma nelle già menzionate pronunce della suprema Corte 15 marzo 2017, n. 6758 e n. 6759, era stato premesso che l’articolo 20 non detta una regola antielusiva, ma una regola interpretativa, che impone una qualificazione oggettiva degli atti secondo la causa concreta dell’operazione negoziale complessiva, a prescindere dall’eventuale disegno o dell’intento elusivo delle parti.
 
Nel caso della richiesta di demolizione e di ri-edificazione, la sostanza economica pare manifestarsi, salvo che non si intenda ritenere decisivo il trascorrere del tempo per anestetizzare l’intento elusivo, ma in tale ipotesi non s’intravedono parametri oggettivi, cui si aggiunga che, perfino nella disciplina dell’abuso del diritto, viene riconosciuto, al quarto comma dell’articolo 10-bis, che “Resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale”.
L’attività qualificatoria della giurisprudenza risulta, quindi, prevalere su quella del legislatore che, con l’articolo 36 - rubricato “Recupero di base imponibile” - del Dl n. 223/2006, aveva statuito espressamente che, ai fini Iva, delle imposte sui redditi, Ici/Imu e dell’imposta di registro, “un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune, indipendentemente dall'approvazione della Regione e dall'adozione di strumenti attuativi del medesimo”.
 
La sentenza del supremo Collegio in commento ritiene - con affermazione che non può non trascriversi per intero - che “la comunanza di disciplina non si spinge oltre tale individuazione; sicché, ferma la natura fabbricabile del terreno "in base allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune, indipendentemente dall'approvazione della Regione e dall'adozione di strumenti attuativi del medesimo" (evenienza, nel caso di specie, incontroversa), diversa ed autonoma rimane - pur in presenza di assetti negoziali del tutto analoghi - la regolamentazione tributaria consequenziale al presupposto così descritto, a seconda della natura e degli obiettivi propri di ciascuna imposta”.
 
In buona sostanza, l’unica certezza nell’interpretazione degli atti e dei comportamenti dei contribuenti è quello dettato dalla prudente individuazione e applicazione della legge tributaria più gravosa, anche in presenza della novella regolamentazione dell’abuso del diritto che – occorre rammentare – si applica a tutti i tributi, con l’effetto che un’interpretazione della disciplina ermeneutica dell’imposta di registro ai fini antielusivi non è più necessaria.
 
 
a cura di Giurisprudenza delle imposte edita da ASSONIME
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