Articolo pubblicato su FiscoOggi (https://fiscooggi.it/)

Giurisprudenza

Sulla decadenza del rimborso Iva

La cessazione dell'attività anche per intervenuto fallimento rende l'ultima denuncia presentata come momento iniziale per la decorrenza dei termini per la restituzione delle eccedenze

_471.jpg

La recentissima sentenza n. 87/36/05, depositata il 18 ottobre 2005 dalla sezione 36 della Commissione tributaria regionale di Roma, esamina la spinosa questione dei termini nei quali effettuare la richiesta di rimborso dell'Iva versata in eccedenza, ai sensi dell'articolo 30 del Dpr 633/1972.
In particolare, la questione sottoposta ai giudici di merito, risolta con la sentenza che qui si commenta, può così riassumersi: premesso che l'articolo 30 del Dpr 633/1972 prevede che, nei casi in cui dalla dichiarazione annuale Iva presentata dal contribuente risulti un importo di versamento dell'imposta in eccedenza rispetto a quanto sarebbe effettivamente dovuto, questi ha la facoltà di scegliere fra una detrazione di pari importo nella dichiarazione dell'anno successivo oppure il rimborso dell'intero credito o di una parte dello stesso, quale effetto viene a produrre la richiesta di computazione del credito nell'anno successivo quando, per una qualsiasi causa, venga a cessare l'attività del contribuente che ha diritto al credito?

Secondo i giudici della Commissione regionale di Roma, la cessazione dell'attività del contribuente, anche nei casi in cui lo stesso abbia dichiarato fallimento(1), produce l'effetto giuridico di far retrodatare al momento della presentazione dell'ultima dichiarazione Iva il momento iniziale (dies a quo) da cui occorre far decorrere il termine di decadenza dal diritto alla restituzione dell'eccedenza di imposta versata; infatti, quella dichiarazione, contenente l'esposizione del credito di cui si chiede la restituzione, costituisce il presupposto giuridico del rimborso e, quindi, "è dal momento in cui è stata presentata l'ultima dichiarazione (certificativa del credito vantato) che decorrono i termini per le possibili azioni concesse al contribuente per ottenere l'eccedenza di imposta versata".

Questa affermazione è la logica conseguenza di quello che, ormai, rappresenta un orientamento costante della giurisprudenza della Corte di cassazione, secondo cui, in tema di Iva, la dichiarazione del curatore per il periodo pre-fallimentare è equiparabile alla dichiarazione di cessazione dell'attività e, conseguentemente, fa sorgere il diritto al rimborso dei versamenti effettuati in eccedenza. Infatti, "la dichiarazione del curatore, prevista dall'articolo 74-bis, primo comma, ha certamente la funzione di fotografare la situazione IVA dell'imprenditore al momento della dichiarazione di fallimento; ma, proprio in virtù di tale finalità, per così dire, conclusiva, e della documentazione che deve accompagnarla, essa è equiparabile non alle denunce periodiche del contribuente, bensì a quelle che segnano la cessazione dell'attività" (cfr. Cassazione, sentenza n. 19169/03 del 15 dicembre 2003 e, in senso conforme, anche Cassazione 13091/1992, 4104/2002, 5486/2003).

A questo punto, per la sentenza in commento, sono due le strade che si aprono alla parte per ottenere la restituzione di quanto a essa dovuto: o si intraprende la via dettata dal rito tributario, che prevede norme speciali che fissano dei precisi termini decadenziali, o si esperisce la normale azione di ripetizione dell'indebito per via civile, che richiede, come unico requisito di ammissibilità, l'attualità del diritto (o, in altre parole, la non intervenuta prescrizione decennale a richiedere l'indebito).

Secondo i giudici di merito, "il termine di decadenza previsto dal rito tributario non interferisce sull'esistenza giuridica del diritto vantato (dicasi attualità del diritto); anzi il termine di decadenza può (in certe situazioni) costituire un ulteriore tempo libero prima del decorso del termine prescrizionale" se è vero che la sentenza n. 19510 del 19 dicembre 2003 della Corte di cassazione espressamente afferma che "il termine di prescrizione decennale del diritto al rimborso decorre a partire da due anni e tre mesi dalla data di presentazione della dichiarazione annuale".

Naturalmente, scelta una delle due vie, occorre che il contribuente si attenga alle specifiche norme che regolano lo svolgimento della via intrapresa; ecco perché, ad esempio, nel caso preso in esame dalla sentenza che qui si commenta, è stato sancito il rigetto della pretesa di parte che, presentata l'ultima dichiarazione annuale Iva, contenente una eccedenza di imposta versata, nel febbraio 1994 (per l'anno di imposta 1993), ha avanzato istanza di rimborso di quel credito nel corso dell'anno 2002, ben oltre il termine decadenziale di due anni dalla presentazione dell'ultima denuncia previsto dal rito tributario, che essa stessa ha scelto di adire (articolo 21, comma 2, del Dlgs n. 546/1992).

Infatti, concludono i giudici(2), "il silenzio rifiuto, avverso il quale è data l'azione avanti al giudice tributario, presuppone che la domanda sia stata presentata all'ufficio prima del giudizio stesso entro termini perentori stabiliti a pena di decadenza che, nel caso dedotto, erano ampiamente trascorsi. Non è dato invece trasferire nel rito tributario l'azione di ripetizione di indebito, sottoposta invece a termine prescrizionale".

NOTE 1. Secondo quanto riportato dalla Commissione tributaria regionale per il Lazio, sentenza n. 26 del 4 novembre 2004, "Il fallimento, così come la liquidazione coatta amministrativa, rientra a pieno titolo nell'ambito applicativo della norma testé indicata (cioè dell'articolo 30, comma 2, del Dpr n.633/1972), in quanto , a seguito dello spossessamento dei beni dell'imprenditore conseguente all'attivazione della procedura concorsuale, l'attività d'impresa viene di fatto a cessare, subentrando il curatore fallimentare o il commissario liquidatore in un'attività meramente liquidatoria che ha come presupposto proprio l'intervenuta cessazione dell'attività di impresa. La Suprema Corte, in sostanza, equiparando la dichiarazione che il curatore fallimentare è obbligato a presentare, con riferimento alla parte di anno solare anteriore alla declaratoria di fallimento, entro il termine di quattro mesi dalla sua nomina, alla dichiarazione di cessazione dell'attività di impresa, ha ammesso il diritto del curatore fallimentare al rimborso dell'imposta versata in eccedenza dall'imprenditore in epoca pre-fallimentare, risultante dalla dichiarazione stessa".

2. Nello stesso senso, Commissione tributaria regionale del Lazio, sentenza n. 38 del 24 giugno 2003, secondo cui "si consideri l'effetto eversivo dell'opposta tesi, mirata sul termine di prescrizione decennale e favorevole a che la sentenza di rimborso sia consentita in ogni tempo, finché non sia decorso il termine della prescrizione ordinaria. Come la Corte Suprema ha avuto occasione di osservare (cfr. Cass., Sez. Un., 9 giugno 1989, n. 2786), una ricostruzione siffatta renderebbe aggirabile a libito del contribuente tutto il sistema del contenzioso, il cui rigido inserimento in un sistema equilibrato di termini e condizioni per la reazione alla pretesa tributaria risponde alla tutela della provvista dei mezzi di cui lo Stato ha necessità per svolgere le sue imprescindibili funzioni istituzionali, esigenza questa che tocca nel suo nucleo centrale e propulsivo l'attività statale, come ha riconosciuto più volte la Corte costituzionale, sottolineando che la sicurezza e la tempestività dell'acquisizione dei mezzi finanziari giustifica la peculiarità di talune disposizioni in materia tributaria e specificamente di riscossione delle imposte. Deve dunque dedursene che l'istanza di rimborso va proposta nel termine decadenziale sopra indicato a pena di inoppugnabilità".
Contra, Commissione tributaria regionale del Lazio, sentenza n. 59 del 21/1/2004.


URL: https://www.fiscooggi.it/rubrica/giurisprudenza/articolo/sulla-decadenza-del-rimborso-iva