Articolo pubblicato su FiscoOggi (https://fiscooggi.it/)

Giurisprudenza

Sulla lite pendente in cassazione competenza alla stessa suprema Corte

Salvo il diritto di difesa del contribuente, poiché la lite è stata già trattata in primo e in secondo grado

_303.jpg

La suprema Corte di cassazione, con la sentenza n. 5092 depositata in data 8 marzo 2005, ha statuito che è inammissibile la domanda di "condono su condono", ma che è competenza della stessa Corte di cassazione decidere sull'impugnazione avverso il diniego, opposto dall'ufficio finanziario, all'istanza di condono, di cui all'articolo 16 della legge n. 289/2002, di un'iscrizione a ruolo scaturente dalla liquidazione di una dichiarazione integrativa relativa al condono di cui alla legge n. 413/1991.

Il contribuente presentava dichiarazione integrativa per tre anni d'imposta, ai sensi della legge 413/1991, versando per ciascun anno la somma di 100mila euro.
L'ufficio iscriveva a ruolo, ritenendo che in conseguenza della dichiarazione integrativa predetta, la somma da versare era pari a 2 milioni di lire, in quanto il contribuente non aveva presentato alcuna dichiarazione dei redditi per gli anni in questione, a nulla rilevando la percezione o meno di redditi negli anni considerati.

Il contribuente presentava ricorso alla Commissione tributaria provinciale sostenendo che l'importo da pagare, a seguito della presentazione della dichiarazione integrativa, era pari a 100mila lire, in quanto negli anni in questione non aveva posseduto alcun reddito. La Commissione tributaria provinciale adita accoglieva il ricorso, ritenendo corretto il comportamento del ricorrente.

Proponeva appello l'ufficio.
La Commissione tributaria regionale confermava la sentenza di primo grado.

L'Amministrazione finanziaria proponeva ricorso per cassazione eccependo l'inammissibilità della domanda di "condono su condono".
Resisteva con controricorso il contribuente che, nelle more del processo di cassazione, presentava un'altra dichiarazione integrativa, intendendo fruire del condono, ai sensi dell'articolo 16 della legge n. 289/2002.
L'ufficio respingeva la predetta istanza.

Il contribuente proponeva ricorso per cassazione, avverso il diniego di sanatoria opposto dall'Amministrazione finanziaria.
Sul punto l'Amministrazione resisteva, eccependo la legittimità del provvedimento di diniego alla domanda di sanatoria, ex articolo 16 della legge 289/2002, dell'iscrizione a ruolo scaturente dalla liquidazione di una dichiarazione integrativa relativa al condono previsto dalla legge 413/1991.

La suprema Corte di cassazione, con la sentenza de qua, ha accolto il ricorso proposto dall'Amministrazione finanziaria, riconoscendo la legittimità dell'iscrizione a ruolo operata dall'ufficio a seguito della liquidazione della dichiarazione integrativa di cui alla legge 413/1991.
I giudici di Cassazione, prima di pronunciarsi in merito alla domanda di "condono su condono", avanzata dal ricorrente, con ricorso separato, hanno affrontato la questione relativa all'individuazione del giudice competente a provvedere in ordine al diniego di condono opposto dall'Amministrazione finanziaria.

Secondo i giudici di legittimità, tre sono le soluzioni prospettabili:
a) la Corte di cassazione è competente in unico grado, in quanto organo innanzi al quale pende la lite
b) la Corte di cassazione dichiara la propria incompetenza e rimette le parti dinanzi al giudice di primo grado
c) è da sollevare questione di legittimità costituzionale dell'articolo 16, comma 8, della legge n. 289/2002, nella parte in cui prevede la competenza del giudice dinanzi al quale pende la lite, per violazione del diritto di difesa e dell'equo processo, nonché del principio di parità di trattamento.

In particolare, per la suprema Corte di cassazione la soluzione sub b) non appare praticabile, in quanto contrasta con il testo di legge.
Infatti, per i giudici di legittimità la legge "radica la competenza a provvedere in capo al giudice dinanzi al quale pende la lite, senza possibilità di una interpretazione la quale renda applicabile la norma per i soli giudizi di primo grado e di appello.
Vero è che la disposizione venne "pensata" dal legislatore con riferimento ad un provvedimento il quale non prevedeva la condonabilità dei processi pendenti in Cassazione
".
A parere della Corte, "l'espressione "giudice innanzi al quale pende la lite" comprende certamente anche la Corte di Cassazione; ma poiché l'inciso "giudice davanti al quale pende la lite" non è stato mutato dopo la modifica suddetta, devesi ritenere che per "giudice dinanzi al quale pende la lite" si intenda anche la Cassazione".

Per i giudici di legittimità è impraticabile anche la soluzione "c)".
Al riguardo, infatti, la Corte ritiene che, nel caso di specie, "la controversia giudiziaria è già iniziata, pertanto, quando la lite è in corso, la richiesta di condono si inserisce in essa come fatto estintivo della controversia ed è logico che il giudice della lite sia anche il giudice del condono".
In particolare, osserva la Corte, nella fattispecie in esame, "il condono non rappresenta l'oggetto di un giudizio autonomo, ma si inserisce in un processo già iniziato quale causa di cessazione della materia del contendere: viene cioè a porsi come un giudizio incidentale".
Nel caso di processo pendente in cassazione, la Corte è chiamata a decidere, incidentalmente, sulla possibilità per il contribuente di avvalersi del condono, "allo stesso modo che in caso di decesso della parte in una controversia attinente a sanzioni non trasmissibili agli eredi, la Corte di Cassazione non cassa con rinvio per accertare la morte della persona, ma decide nel merito previa acquisizione del documento idoneo a definire la lite".
Inoltre, a giudizio della Corte, nel caso di specie, non appare ipotizzabile una violazione del principio di parità di trattamento, in quanto, atteso che la lite è stata già trattata in primo e in secondo grado, il diritto di difesa del contribuente non è stato violato dalla previsione di un unico grado di giudizio, "considerato che la garanzia costituzionale della tutelabilità delle posizioni soggettive (diritto o interesse legittimo) è salva e non risulta violato neppure il principio del controllo di legittimità, in quanto le due funzioni vengono accorpate in un unico giudice".

Tanto premesso, la suprema Corte ritiene che la soluzione sub a) sia quella più attendibile.
A sostegno della propria tesi, la Cassazione ha precisato che "il diniego di condono è un atto vincolato e non discrezionale, in ordine al quale la Legge prevede la diretta impugnazione dinanzi alla Corte di Cassazione, quale organo dinanzi al quale pende la lite, investendola eccezionalmente della pienezza del giudizio.
Fatto questo che corrisponde del resto alla possibilità per la Corte di Cassazione di decidere nel merito quando cassa la sentenza impugnata per vizio di legittimità
".
Pertanto, alla luce delle argomentazioni suesposte, la Corte, riconoscendo la propria competenza, si è pronunciata anche riguardo al merito della domanda di condono su condono, avanzata dal ricorrente.

Al riguardo, i giudici hanno ribadito il principio affermato, più volte, dalla giurisprudenza della Cassazione, secondo il quale è inammissibile la richiesta di "condono su condono" (cfr. Cassazione n. 13805 del 18/9/2003, e n. 19507 del 29/9/2004).
In particolare, è stato osservato che già la Cassazione, con sentenza n. 6452 del 6.5.2002, aveva ritenuto "che le istanze di definizione di un condono effettuato ai sensi del Decreto Legge n. 429/1982 non sono suscettibili di definizione agevolata ai sensi della Legge n. 413/1991".
Più specificatamente, la suprema Corte di cassazione ha ritenuto che l'articolo 16 della legge n. 289/2002, nel prevedere la chiusura delle liti pendenti, definiva come "lite pendente" quella avente a oggetto avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione, sempre che non fosse intervenuta - alla data del 30 ottobre 2003 - sentenza passata in giudicato.

Pertanto, a parere dei giudici della suprema Corte, anche il ruolo può costituire un atto d'imposizione, in quanto con esso viene esercitata una pretesa tributaria, vale a dire la richiesta di una somma di denaro che l'Amministrazione finanziaria ritiene dovuta dal contribuente e che il contribuente può contestare.
Ma, nel caso di specie, il ruolo era stato emesso a seguito di una liquidazione della dichiarazione integrativa, pertanto, l'Amministrazione finanziaria non aveva posto in essere alcun atto impositivo, inteso quale pretesa a carattere patrimoniale, affermata a prescindere dalla volontà del contribuente, ma si era limitata a liquidare il quantum della dichiarazione integrativa presentata dallo stesso ricorrente, il quale aveva manifestato la volontà di avvalersi del condono di cui alla legge 413/1991.

In buona sostanza, osserva la Corte, l'iscrizione a ruolo in argomento non è scaturita da un atto impositivo dell'Amministrazione finanziaria, ma dalla liquidazione delle somme che il contribuente stesso, presentando la dichiarazione integrativa, ex legge n. 413/91, ha implicitamente riconosciuto di dovere al fisco.
Pertanto, alla luce delle summenzionate argomentazioni, la Corte ha riconosciuto legittimo il diniego della domanda di condono, opposto dall'ufficio finanziario, ex articolo 16 della legge 289/2002, di un'iscrizione a ruolo scaturente dalla liquidazione di una dichiarazione integrativa relativa al condono di cui alla legge 413/1991.

URL: https://www.fiscooggi.it/rubrica/giurisprudenza/articolo/sulla-lite-pendente-cassazione-competenza-alla-stessa-suprema-corte