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Giurisprudenza

Sulla parcella dell'avvocato decide il giudice ordinario

Se il Comune si è avvalso di un legale per la riscossione coattiva la cognizione sul risarcimento del danno non spetta alle Commissioni tributarie

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La giurisdizione del giudice tributario non si estende al "danno da riscossione illegittima": questo il concetto ribadito dalla Cassazione. Precisamente, con la pronuncia 10826 del 29 aprile, le Sezioni unite hanno affermato che "Non rientra nella giurisdizione esclusiva delle commissioni tributarie (spettandone invece la cognizione al giudice ordinario) una controversia con la quale il privato, adempiuto il debito d'imposta relativo all'Ici non tempestivamente o integralmente versata, domandi il risarcimento dei danni subiti in sede di riscossione coattiva per aver dovuto corrispondere anche le somme pretese dal Comune per l'assistenza legale prestata da avvocati di cui l'ente pubblico si sia avvalso".

Con tale assunto, la Cassazione chiarisce che il danno da attività illegittima dell'ente impositore non può rientrare nel concetto di "accessorio" previsto dall'articolo 2 del Dlgs 546/1992 (così già Cassazione, Sezioni unite, sentenze 722/1999 nonché 15 e 8958 del 2007).

In particolare, è vero che l'attuale articolo 2 del Dlgs 546/1992 ha previsto che appartengono alla giurisdizione esclusiva del giudice tributario, "tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati" e ha ampliato la giurisdizione di tale giudice anche per le controversie concernenti "le sovraimposte e le imposte addizionali, le sanzioni amministrative, comunque irrogate da uffici finanziari, gli interessi e ogni altro accessorio".
La sola previsione degli "altri accessori", tuttavia, non è di per sé sufficiente a radicare la giurisdizione esclusiva del giudice tributario anche alle controversie sul risarcimento del danno per comportamento illecito dell'Amministrazione finanziaria.
Per accessori, infatti, si intendono gli aggi dovuti all'esattore, le spese di notifica, gli interessi moratori e, al limite, il maggior danno da svalutazione monetaria ex articolo 1224, comma 2, del Codice civile (Cassazione, Sezioni unite, 14274/2002 e 789/1999), ancorché le disposizioni specificamente emanate in materia di rimborsi nulla prevedano al riguardo (Cassazione, 119/2007).

In conclusione, l'articolo 2 del Dlgs 546/1992 rappresenta una deroga alla giurisdizione dell'Autorità giudiziaria ordinaria per cui la controversia, in tanto può essere attribuita al giudice tributario, in quanto rientri in una delle tre fattispecie normativamente previste nei tre commi dell'articolo 2 e cioè una controversia tra quelle tassativamente indicate, ovvero una controversia relativa a sovraimposte, sanzioni, interessi e altri accessori, oppure una controversia in tema di estimo o di attribuzione di rendita catastale.
Al di fuori di queste ipotesi tassative di deroga della giurisdizione ordinaria, non vi è spazio per una giurisdizione della Commissione tributaria su una controversia relativa al risarcimento dei danni causati dalla Pubblica amministrazione in uno dei rami della sua attività, con la conseguenza che, anche se questo settore è il tributario, non viene meno la giurisdizione ordinaria, tranne che la controversia non possa sussumersi in una della fattispecie tipizzate attributive della giurisdizione esclusiva delle Commissioni tributarie.

L'attività della Pubblica amministrazione, anche nel campo tributario, deve svolgersi nei limiti posti non solo dalla legge, ma anche dalla norma primaria del neminem laedere, per cui è consentito al giudice ordinario - al quale è pur sempre vietato stabilire se il potere discrezionale sia stato, o meno, opportunamente esercitato - accertare se vi sia stato da parte della stessa Amministrazione un comportamento colposo tale che, in violazione della suindicata norma primaria, abbia determinato la violazione di un diritto soggettivo.

Va ricordato poi che, sempre nel pensiero della Suprema corte, la giurisdizione si determina sulla base della domanda e, ai fini del suo riparto tra giudice ordinario e giudice speciale, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il cosiddetto petitum sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta statuizione che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della causa petendi, ossia dell'intrinseca natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio e individuata dal giudice stesso con riguardo alla sostanziale protezione accordata in astratto a quest'ultima dal diritto positivo; il rapporto tributario ormai del tutto esaurito opera, dunque, solo come sfondo e non assume alcuna connessione determinante rispetto alla richiesta di risarcimento dei danni.

La Commissione tributaria, infatti, conserva giurisdizione solo in materia di diritti soggettivi; in particolare, le Commissioni tributarie continuano a essere una giurisdizione speciale le cui potestà decisorie sono definite dalla legge in deroga alla giurisdizione ordinaria, che è il giudice naturale sui diritti soggettivi: la Commissione tributaria si può configurare il giudice naturale precostituito per legge in materia tributaria.

L'articolo 2 del Dlgs 546/1992, quindi, rappresenta una deroga alla giurisdizione dell'Autorità giudiziaria ordinaria, per cui la controversia, in tanto può essere attribuita al giudice tributario, in quanto rientri in una delle fattispecie normativamente previste.

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Sulla vexata quaestio della responsabilità aquiliana del Fisco, ex articolo 2043 del Codice civile, più volte si è pronunciata la Corte di cassazione, per la quale l'attività della Pubblica amministrazione, anche nel campo tributario, deve svolgersi nei limiti posti non solo dalla legge, ma anche dalla norma primaria del neminem laedere, per cui è consentito al giudice ordinario - al quale è pur sempre vietato stabilire se il potere discrezionale sia stato, o meno, opportunamente esercitato - accertare se vi sia stato da parte della stessa Amministrazione un comportamento colposo tale che, in violazione della suindicata norma primaria, abbia determinato la violazione di un diritto soggettivo.

Stanti, infatti, i principi di legalità, imparzialità e buona amministrazione dettati dall'articolo 97 della Costituzione, la Pubblica amministrazione è tenuta a subire le conseguenze stabilite dall'articolo 2043 del Codice civile, atteso che tali principi si pongono come limiti esterni alla sua attività discrezionale, ancorché il sindacato di questa rimanga precluso al giudice ordinario (Cassazione, Sezioni unite, sentenza 722/1999).
Nel rapporto tributario, peraltro, non sono sottesi interessi legittimi ma diritti soggettivi; pertanto, ove il Fisco incida su una posizione giuridica di diritto soggettivo del contribuente, può essere convenuto come un qualsiasi altro soggetto innanzi al giudice ordinario.

L'ambito della potestà impositiva non è libero bensì soggetto a limiti precisi e, pertanto, la violazione di detti limiti comporta anche una responsabilità risarcitoria in funzione del pregiudizio arrecato.

È necessaria la prova da parte dell'attore dell'elemento soggettivo ossia del dolo del funzionario o della colpa per violazione delle regole d'imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione; per giustificare il risarcimento è necessario un esercizio vessatorio, pretestuoso e discriminatorio del potere pubblicistico ovvero la mancanza di proporzionalità tra l'interesse perseguito e il sacrificio imposto ovvero l'intento elusivo di una norma o di una pronuncia giurisprudenziale.

Per qualificare l'illiceità della condotta e non la semplice illegittimità dell'atto, occorre riscontrare sintomi di pretestuosità, vessatorietà, e discriminatorietà della condotta; spetta al giudice ordinario pronunciarsi sulla domanda risarcitoria, a nulla rilevando il previo annullamento dell'atto impositivo illegittimo (cosiddetto ripudio del rapporto di pregiudizialità tra annullamento dell'atto impositivo e risarcimento del danno); in particolare, è competente il giudice ordinario e non quello tributario a conoscere, ai sensi dell'articolo 2043 del Codice civile, delle richieste di risarcimento dei danni patrimoniali ingiusti provocati al contribuente dal Fisco, a nulla rilevando che la condotta colposa si sia realizzata nell'ambito di vicende legate da un rapporto tributario ormai esaurito.

L'azione di risarcimento del danno ex articolo 2043 del Codice civile non è condizionata dalla necessaria preventiva risoluzione della controversia tributaria ma, piuttosto, è collegata alla condotta e all'attività dolosa o colposa dei funzionari del Fisco.

Occorre accertare, sotto il profilo causale, tramite l'applicazione dei noti criteri (ad esempio, principio della causalità sufficiente o della causalità giuridica se l'evento dannoso sia riferibile a una condotta omissiva o positiva, cosiddetto nesso eziologico tra danno e comportamento illecito); il risarcimento non può essere accordato sulla base del mero riscontro della illegittimità dell'atto, poiché, se non si prova l'illiceità, la domanda di risarcimento non può essere accolta.

La responsabilità risarcitoria del Fisco non deriva come mero automatismo dall'illegittimità dell'atto impositivo.

L'annullamento in autotutela dell'atto impositivo non esonera il Fisco dalla responsabilità aquiliana per i danni arrecati, comunque, in precedenza al contribuente.

A seguito della sentenza della Corte costituzionale 274/2005, il principio della responsabilità della parte soccombente per le spese di giudizio trova piena applicazione anche nel processo tributario.

Dunque, il giudice di merito che prende atto del venir meno della materia del contendere deve procedere a una valutazione dell'esito virtuale della controversia e ben può accollare le spese alla parte virtualmente soccombente. Tale assunto è stato statuito dalla sentenza 21380/2006 della Corte di cassazione.

La responsabilità aquiliana, ex articolo 2043 del Codice civile, si distingue dalla responsabilità per lite temeraria ex articolo 96 del Codice di procedura civile, giacché quest'ultima è speciale rispetto alla prima.
Il risarcimento del danno per fatto illecito è assoggettato alla prescrizione breve ex articolo 2947 del Codice civile.

In definitiva, qualora sia stata dedotta davanti al giudice ordinario una domanda risarcitoria, ex articolo 2043 del Codice civile, nei confronti del Fisco si deve procedere a svolgere le seguenti indagini: occorre accertare la sussistenza di un evento dannoso; occorre stabilire se l'accertato danno sia qualificabile come danno ingiusto per lesione del diritto soggettivo del contribuente; occorre accertare, sotto il profilo causale, facendo applicazione dei noti criteri (ad esempio, principio di causalità sufficiente o della causalità adeguata) se l'evento dannoso sia riferibile a una condotta positiva od omissiva del Fisco (cosiddetto nesso eziologico tra danno e comportamento illecito); occorre stabilire se il detto evento sia imputabile a dolo o colpa del Fisco; occorre appurare che è risarcibile il danno imprevedibile, qualora vi sia un comportamento doloso del funzionario del Fisco; occorre appurare che le due componenti del danno siano, ai sensi dell'articolo 1225 del Codice civile, la perdita subita e il mancato guadagno.

Inoltre, poiché è risarcibile anche il cosiddetto lucro cessante (mancato guadagno) ricorrendone i presupposti di legge al fine del riconoscimento del danno da lucro cessante occorre la dimostrazione del nesso di causalità. Trattasi di un danno futuro e, pertanto, l'accertamento va affidato a valutazioni presuntive (Cassazione, 1443/2003), sulla base degli elementi offerti dall'interessato, avuto riguardo alla potenziale redditività di un'attività programmata con notevole impiego di capitali. La valutazione va compiuta, anche in via equitativa, avuto riguardo alla potenziale redditività di un'attività programmata; a tal fine, occorre appurare che trovi applicazione l'articolo 1227 del Codice civile, che sancisce la diminuzione del risarcimento in relazione all'eventuale concorso colposo nel cagionare il danno, secondo la gravità della colpa e l'entità dei danni derivati, e addirittura preclude il sorgere stesso del diritto al risarcimento, relativamente ai danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza.

Occorre, inoltre, appurare che trovi applicazione il principio della compensatio lucri cum damno alla stregua del quale, nella determinazione del danno risarcibile, va tenuto conto degli effetti vantaggiosi direttamente derivanti dal medesimo fatto costitutivo del danno.
È evidente, poi, che in astratto, oltre che la lesione della sfera patrimoniale (si pensi al cosiddetto danno emergente per le spese sostenute o al cosiddetto lucro cessante per la rinuncia a guadagni), può essere configurato, a causa dell'atto impositivo illegittimo, il cosiddetto danno non patrimoniale e, precisamente, la lesione del puro diritto immateriale a regolare con piena consapevolezza le proprie scelte, la sfera di libera autodeterminazione dell'individuo ossia la sfera d'esplicazione personale (cosiddetto danno esistenziale) ovvero la lesione della sfera biologica (danno alla salute ovvero menomazione della integrità psicofisica).
Può sussistere un danno non patrimoniale risarcibile consistente in una turbativa, dell'animo o della serenità familiare; anche nell'imposizione tributaria, che è l'esercizio di poteri autoritativi che incidono unilateralmente nella sfera giuridica di soggetti, è ammissibile il risarcimento del pregiudizio consistente nella turbativa della serenità familiare.
In questo senso si è pronunziata la Cassazione con la sentenza 10483/2004. La fattispecie riguardava un contribuente che, avendo ricevuto dal Comune un avviso di liquidazione per l'omesso versamento dell'Ici, già regolarmente pagata, aveva adìto il giudice di pace per ottenere la condanna del Comune al risarcimento del danno subito, anche di carattere non patrimoniale.

Il danno non patrimoniale contiene al proprio interno due sottocategorie costituite dal danno morale e dai danni derivanti dalla lesione di interessi di rango costituzionale inerenti alla persona (ad esempio, danno biologico inteso come lesione dell'interesse all'integrità psichica e fisica della persona appurata da un accertamento medico, danno esistenziale).
Il rinvio alla legge operato dall'articolo 2059 va riferito soprattutto alla Carta costituzionale, atteso che il riconoscimento dei diritti della persona non aventi natura economica, operato dagli articoli. 2, 29 e 30 della Carta costituzionale, postula necessariamente l'apprestamento di una tutela, e precisamente la responsabilità per danni non patrimoniali, al di fuori del caso di danno morale da reato essendo superata l'impostazione del risarcimento limitato al danno morale soggettivo da reato, connessa alla funzione sanzionatoria di esso.
L'evoluzione attuale della giurisprudenza (Cassazione, sentenza 8828/2003; Corte costituzionale, 233/2003), è imperniata nel superamento dell'identificazione del danno non patrimoniale con il danno morale soggettivo.

E' recessiva l'interpretazione dell'articolo 2059 del Codice civile, che prevede che il danno non patrimoniale è risarcibile solo nei nell'ipotesi di cui all'articolo 185 del Codice penale, concernente il danno morale soggettivo (ad esempio, ingiuste perturbazioni dell'animo o sensazioni dolorose, sofferenza contingente) provocato da fatti qualificabili come reati.
Non possono essere risarcite richieste di risarcimento formulate genericamente o prive di elementi probatori; in particolare, quando il danno esistenziale discenda dalla lesione di interessi patrimoniali (come nel caso di fermo dell'autovettura), è necessario che sia fornita la prova dei disagi e della menomazione della sfera esistenziale del soggetto leso dal provvedimento illegittimo.

Il danneggiato, infine, deve provare che la violazione dell'interesse costituzionalmente protetto abbia determinato conseguenze concretamente pregiudizievoli sulla propria sfera esistenziale e, questo, è l'unico fattore limitante all'espansione eccessiva della risarcibilità del danno non patrimoniale e consiste nella necessità della sottoposizione all'onere della prova, da parte di chi che ne chieda il risarcimento, degli elementi che lo giustificano, senza poter dare ingresso ad aprioristici giudizi circa la sua presunta esistenza.
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