Articolo pubblicato su FiscoOggi (https://fiscooggi.it/)

Giurisprudenza

Sulle mancate transazioni fiscali
la decisione è del giudice ordinario

Nelle controversie in materia, i profili tributari sono solo un riflesso, in quanto gli interessi in discussione vanno al di là di quelli fiscali, confluendo nell’alveo delle procedure concorsuali

immagine generica illustrativa

Le sezioni unite della Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 8504 del 25 marzo 2021, in relazione ai giudizi riguardanti la mancata adesione alle transazioni fiscali, hanno acclarato la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario nella declinazione del giudice competente in ordine alle procedure concorsuali. Tanto, sia nel vigore degli articoli 180, 182-bis e 182-ter della legge fallimentare (Rd n. 267/1942), nel testo vigente fino al 4 dicembre 2020, che in quello della novellazione di tali disposizioni, avvenuta a opera dell’articolo 3, comma 1-bis del Dl n. 125/2020.
      
Con tale pronuncia, la Corte ha anche stabilito che all’istituto della transazione fiscale, come delineato nell’ambito della legge fallimentare a partire dal 2006, non possono essere applicate le conclusioni, in tema di giurisdizione, cui erano giunte le stesse sezioni unite un lustro fa, con la sentenza n. 25632/2016, considerato che la stessa ha riguardato la “prima forma” di transazione fiscale, cioè la. "transazione sui ruoli", di cui all'articolo 3, comma 3, Dl n. 138/2002.
Ciò in quanto la "transazione sui ruoli" e la "transazione fiscale" presentano aspetti di significativa diversità, riguardando la prima la sola esecuzione esattoriale e la seconda le procedure concorsuali e paraconcorsuali (concordato preventivo e accordo di ristrutturazione dei debiti) e, perciò, rispondono a esigenze che non sono omogenee tra loro, essendo evidente la natura esclusivamente tributaria della prima, essenzialmente concorsuale della seconda.

Andiamo con ordine, notando innanzitutto che, con la richiamata novellazione degli articoli 180, comma 4, 182-bis, comma 3, e 182-ter, comma 5, della legge fallimentare, realizzata dal citato articolo 3 del Dl n. 125 del 4 dicembre scorso, è stata sancita una “entrata in vigore anticipata” di disposizioni contenute nel nuovo Codice della crisi d’impresa, approvato con il Dlgs n. 14/2019, la cui entrata in vigore integrale è stata rinviata al 1° settembre 2021.
In sostanza, con tale “anticipazione” è stata resa operante l’“adesione giudiziale”, sia nei concordati preventivi che negli accordi di ristrutturazione del debito, in base alla quale, “il Tribunale omologa gli accordi di ristrutturazione o il concordato preventivo anche in mancanza di adesione da parte dell'Amministrazione finanziaria (…) quando l'adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali (previste rispettivamente per le due procedure concorsuali) … e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento della predetta Amministrazione (…) è conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria.”.

La Corte ripercorre l’evoluzione dell’istituto in questione, evidenziando come, a partire dal 2006, lo stesso è stato collocato dal legislatore, in modo sempre più netto, nell’ambito delle procedure concorsuali, fino a giungere alla novella sopra riferita, la quale ha portato a pieno compimento questo processo di inquadramento sistematico.
Pertanto, a parere delle sezioni unite, la soluzione della questione di giurisdizione va letta alla luce di tale inquadramento e, con riferimento ai giudizi iniziati prima del 4 dicembre scorso. In particolare, la corretta individuazione della giurisdizione passa attraverso la possibilità di individuare una continuità tra la disciplina in vigore fino a quella data e quella novellata.
Dunque, i supremi giudici individuano un rapporto di continuità sostanziale tra la disciplina dell’articolo 182-ter, comma 5,  della legge fallimentare e quella contenuta all’articolo 63 del Dlgs n. 14/2019 (il caso esaminato dalle ss.uu. è quello di una mancata adesione a un accordo di ristrutturazione del debito). Tale continuità è la conseguenza della sopra evidenziata collocazione sistematica dell’istituto della transazione fiscale nell’ambito delle procedure concorsuali “in senso lato”, avvenuta già con il Dlgs n. 5/2006 e ulteriormente rafforzata con l’obbligatorietà della transazione per la definizione della debitoria fiscale nell’ambito dei concordati preventivi, avvenuta grazie all’articolo 1, comma 81, della legge n. 232/2016. In particolare, la Corte valorizza l’”esclusività” del subprocedimento della transazione quale strumento idoneo a consentire la falcidia dei crediti tributari nell’ambito delle procedure concorsuali. Da ciò ne deriva, a parere dei giudici di legittimità, la natura concorsuale più che fiscale del subprocedimento della transazione, di guisa che la fase tributaria assume una funzione incidentale rispetto alla definizione concordataria o di ristrutturazione debitoria della crisi d’impresa. Per cui, poiché la disciplina dell’istituto, contenuta nella legge fallimentare è sostanzialmente confluita nel nuovo Codice della crisi d’impresa, i cui effetti sono stati anticipati a decorrere dal 4 dicembre scorso, si profila una continuità tra le due discipline e, quindi, la possibilità di utilizzare i principi del Codice della crisi quali criteri ermeneutici per scrutinare la disciplina contenuta nell’articolo 182-ter, nel testo vigente ante 4 dicembre 2020.
       
Innanzitutto, premettiamo che l’articolo 182-ter della legge fallimentare, così come gli articoli 180 e 182-bis, nel testo vigente fino al 4 dicembre 2020, non recano alcuna disposizione concernente il sindacato giurisdizionale sulle mancate adesioni da parte degli enti impositori e previdenziali alla transazione fiscale. Diversamente, vi è una disciplina più puntuale, riguardante gli effetti della mancata adesione dei suddetti enti, nel testo novellato degli articoli 180, comma 4 e 182-bis, comma 3, in vigore dal 4 dicembre scorso. Tale ultima novella, secondo le ss.uu, ha ancora più chiaramente collocato l’istituto della transazione fiscale nell’ambito delle procedure concorsuali piuttosto che in quello “delle procedure di attuazione dei tributi”.

In sostanza, i supremi giudici hanno acclarato che nelle controversie concernenti la transazione fiscale, i profili tributari sono solo un riflesso, in quanto gli interessi di cui si controverte  vanno al di là di quello fiscale, che costituisce la causa dell’obbligazione tributaria e di cui si controverte nelle cause tributarie “ordinarie”, e confluiscono nell’alveo degli interessi concorsuali, che costituiscono la ragione “fondativa” delle procedure concordatarie e assimilate, finalizzate sempre più alla conservazione del “bene impresa”. Proprio l’ampiezza della gamma degli interessi che sono sottesi al subprocedimento della transazione fiscale richiede all’amministrazione procedente di esercitare una discrezionalità amministrativa piena e non una discrezionalità tecnica, che viene esercitata normalmente nella fase dell’accertamento dei tributi e nelle procedure di definizione del solo interesse fiscale, come nelle procedure dell’accertamento con adesione, della mediazione o della conciliazione giudiziale.
Difatti, in sede di transazione fiscale occorre ponderare e sintetizzare una variegata gamma di interessi sia pubblici che privati. In particolare, è necessario sintetizzare l’interesse erariale all’introito del gettito (tra l’altro, non individuato alla luce dell’incasso della debitoria esistente, ma anche in funzione del futuro gettito ottenibile dalla prosecuzione aziendale) con l’interesse sociale alla conservazione dei posti di lavoro e l’interesse dell’economia nazionale a evitare la nècrosi  delle imprese e assicurare la prosecuzione delle produzioni.
  
In definitiva, secondo le ss.uu, anche nel vigore della legge fallimentare prima della suddetta novellazione, le opposizioni ai dinieghi di adesione alla transazione devono essere decise dal giudice che sovraintende alla procedura concorsuale nell’ambito degli ordinari “poteri omologatori” (articoli 162, 163, 179 ss e 182 bis e ter della legge fallimentare, rispettivamente per il concordato e per l'accordo di ristrutturazione dei debiti).

Tuttavia, poiché nelle ipotesi in argomento vi è un “punto di contatto” tra la giurisdizione tributaria e quella ordinaria, occorre chiarire quale sia il loro coordinamento, che si rende necessario, soprattutto, con riferimento alle certificazioni dei debiti e a eventuali contenziosi tributari pendenti, in relazione ai quali la transazione non produce più alcun effetto definitorio. Tale coordinamento è individuato dalla Corte nel disposto dell’articolo 90, comma 2, del Dpr n. 602/1973, che, con riferimento ai crediti tributari in contestazione affidati all’agente della riscossione e che devono essere insinuati nelle procedure del concordato e dell’amministrazione controllata, ne prevede l’ammissione a titolo provvisorio a dette procedure. In definitiva, il supremo Collegio individua, con riferimento alla subiecta materia, un “doppio binario” tra la giurisdizione tributaria e quella civile, così che i crediti tributari in contestazione dinanzi al giudice naturale, cioè quello tributario, sono ammessi con riserva nell’ambito delle procedure concorsuali o paraconcorsuali e cioè, come prevede l’articolo 176, comma 1, della legge fallimentare – richiamato dal succitato art. 90 – ai soli fini dell’espressione del voto o del calcolo delle maggioranze, senza che ciò pregiudichi le pronunce definitive sulla sussistenza dei crediti stessi.

URL: https://www.fiscooggi.it/rubrica/giurisprudenza/articolo/sulle-mancate-transazioni-fiscali-decisione-e-del-giudice-ordinario