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Giurisprudenza

Sull’Iva di gruppo l’Italia dinanzi alla Corte Ue

I giudici hanno affrontato una interessante questione trasmessa dalla Corte di Cassazione nella veste di giudice del rinvio

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La controversia concerne la conformità ai principi di neutralità e trasparenza del sistema comune dell’Iva in materia di liquidazione dell’imposta dei gruppi societari. Nella causa in esame il fisco italiano ha contestato la legittimità della liquidazione di gruppo intercorsa tra una società madre e le sue controllate. Com’è noto la procedura di liquidazione dell’Iva di gruppo è stata introdotta in Italia dal decreto ministeriale 13 dicembre 1979, in attuazione dell’articolo 73 del Dpr n. 633 del 1972, per consentire ai gruppi societari di avvalersi di un particolare sistema di compensazione dei versamenti. In particolare, l’articolo 2 del citato decreto ministeriale stabilisce che "agli effetti del presente decreto si considerano controllate soltanto le società per azioni e a responsabilità limitata le cui azioni o quote sono possedute per una percentuale superiore al 50% del loro capitale, fin dall’inizio dell’anno solare precedente, dall’ente o società controllante o da un’altra società controllata da questi ai sensi del presente articolo".

Le motivazioni insite nella normativa italiana

L’esigenza che il controllo, nella percentuale sopra riportata, debba essere esercitato per un periodo temporale non inferiore a quello indicato rispecchia la preoccupazione del legislatore di evitare pratiche elusive o fraudolente e di assicurare che l’acquisizione del controllo rappresenti un’operazione sorretta da una valida ragione economica e non un espediente per conseguire un vantaggio fiscale, quale l’utilizzo del credito Iva di un altro soggetto.

La normativa comunitaria
La disposizione riflette la previsione contenuta nell’articolo 4, quarto comma, della sesta direttiva secondo cui: "Con riserva della consultazione di cui all’articolo 29 (necessità di preventiva autorizzazione del Consiglio Europeo affinché uno Stato membro mantenga o introduca particolari misure di deroga alla direttiva Iva), ogni Stato membro ha la facoltà di considerare come unico soggetto passivo le persone residenti all’interno dello Stato che siano giuridicamente indipendenti ma strettamente vincolate da rapporti finanziari, economici ed organizzativi." Il legislatore comunitario non subordina l’applicabilità dell’agevolazione al verificarsi di un requisito temporale ma semplicemente richiede la sussistenza di particolari legami di natura giuridica ed economica tra le società interessate e, soprattutto, prevede che lo Stato membro interessato all’applicazione della disposizione faccia una preventiva richiesta al Comitato consultivo Iva secondo le indicazioni contenute nell’articolo 27 e 29 della sesta direttiva.

L’oggetto della controversia
Nella controversia in esame l’Amministrazione finanziaria italiana contesta la legittimità della liquidazione di gruppo intercorsa tra la società madre (Amplifin) e sue controllate per assenza del requisito temporale prescritto dal citato articolo 2 del decreto ministeriale del 13 dicembre 1979. La Corte di Cassazione, investita della questione come supremo giudice di legittimità, ha devoluto il caso alla Corte di Giustizia europea affinchè la stessa, interpretando l’articolo 4, quarto comma della sesta direttiva, si pronunzi in ordine alla necessità o meno del limite temporale per l’operatività della "liquidazione di gruppo". Il giudice a quo ha, altresì, chiesto alla Corte di Giustizia se la previsione del predetto limite temporale, prescritto dalla normativa italiana per scongiurare fenomeni elusivi tendenti ad un illegittimo utilizzo di crediti delle società del gruppo per diminuire artificiosamente le perdite del soggetto controllante, costituisca un mezzo sproporzionato rispetto ai fini della sesta direttiva ed all’osservanza del principio del divieto dell’abuso del diritto.

Le osservazioni preliminari dei giudici comunitari
I giudici comunitari hanno preliminarmente osservato che lo Stato italiano non ha mai chiesto al Consiglio europeo l’autorizzazione a trasporre nel proprio ordinamento una disposizione attuativa delle previsioni di cui all’articolo 4, quarto comma della sesta direttiva. In particolare, la Corte di Giustizia osserva che la trasposizione del citato articolo 4 della sesta direttiva deve essere tenuta distinta dall’istituzione di un meccanismo di semplificazione dei versamenti e della presentazione della dichiarazione, quale quello previsto dal decreto ministeriale 13 dicembre 1979. Il decreto in questione , difatti, consente "alle società del medesimo gruppo di restare soggetti passivi distinti ed indipendenti, ancorché l’i.v.a. possa essere consolidata nella contabilità della società madre".

La competenza del giudice del rinvio
Tuttavia, rilevano i giudici comunitari, sarà il giudice del rinvio che dovrà accertare se il meccanismo di liquidazione infragruppo introdotto dal decreto postuli, per contro, una attuazione delle previsioni contenute nell’articolo 4, quarto comma della sesta direttiva. Poiché tale articolo consente, ma soltanto agli Stati che ne facciano espressa richiesta, che le società caratterizzate da vincoli di carattere finanziario, economico e organizzativo non siano più considerate come soggetti passivi distinti ai fini Iva per essere considerate invece un unico soggetto passivo, ove il giudice nazionale accerti che la normativa introdotta dal decreto attui la trasposizione dell’articolo 4 della direttiva, ci si troverebbe dinanzi a una trasposizione effettuata in violazione del requisito procedurale consistente nella omessa consultazione del Comitato Iva. A parere della Corte di Giustizia, inoltre, la previsione di un limite temporale, quale quello previsto dalla normativa italiana, di per sé non viola i principi comunitari di neutralità e di proporzionalità.
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