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Giurisprudenza

Tante società, una sola “anima”,
è certo stabile organizzazione

Alla base della pronuncia, tra l’altro, il ruolo di ciascuna di esse nella conclusione dei contratti e l’irrilevanza della forma giuridica assunta dal soggetto commerciale

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Le diverse sedi in Italia di una società estera, economicamente integrate in una struttura organizzativa unitaria, strumentale al raggiungimento dello scopo commerciale della casa madre non residente, non escludono la configurabilità di una di stabile organizzazione.
Lo ha affermato la Corte di cassazione, con la sentenza 20597 del 7 ottobre.
 
Il caso
Con tre atti distinti, oggetto di autonomi ricorsi poi riuniti, l’ufficio di Rimini ha accertato, nei confronti di una società a responsabilità limitata con sede legale in San Marino, ricavi non dichiarati ai fini Iva per gli anni 1994 e 1995 e redditi non dichiarati ai fini Irpeg ed Ilor per l’anno 1994, contestandole di aver costituito in Italia una stabile organizzazione articolata in venti società e ditte individuali che commercializzavano sul territorio nazionale i prodotti dell’attività d’impresa, esercitata in evasione di imposte.
 
L’ufficio ha descritto lo schema operativo della società estera e, inoltre, ha individuato precisi elementi di prova idonei a dimostrare l’esistenza di una stabile organizzazione.
In particolare, gli studenti che intendevano avvalersi di un sistema di didattica breve per la preparazione degli esami universitari (con rilascio di un particolare brevetto) si recavano presso una sede della società sammarinese presente sul territorio italiano e qui sottoscrivevano un contratto su modello prestampato, uguale per tutte le sedi, dei corsi tenuti in Italia. In ciascun contratto, però, la controparte del negozio non era la società italiana con cui gli studenti avevano preso contatto, bensì quella sammarinese, tra l’altro intestataria dei pagamenti delle cifre prestabilite.
Le singole società italiane, quindi, avevano la funzione di “uffici di recapito”, attraverso i quali gli studenti stipulavano i contratti e ricevevano il materiale didattico dalla società straniera. Non avevano, però, nessun obbligo per l’esecuzione del contratto, autonomo ovvero solidale con la società straniera. Gli studenti, infatti, non si recavano a San Marino per ottenere il servizio richiesto, ma era la società sammarinese che, attraverso personale italiano e unità locali situate in varie città italiane, forniva sul territorio nazionale il proprio servizio cui esplicitamente e direttamente si era obbligata mediante le sue “promanazioni”.
Inoltre, le società italiane non dichiaravano i proventi dell’attività di assistenza didattica prestata con il metodo della società straniera, ma solo le provvigioni sulle vendite fatturate alla stessa Srl.
 
Sul piano probatorio, l’ufficio ha evidenziato che, dalla corrispondenza fra il commercialista e l’intestatario del marchio registrato del metodo didattico, emergeva chiaramente, da una parte, l’interesse di quest’ultimo di realizzare una struttura per la commercializzazione del servizio di assistenza didattica che, grazie alle licenze di marchio cedute alla società sammarinese, avrebbe consentito di evitare l’assoggettamento a Iva dei corrispettivi pagati dagli studenti alla stessa società e la tassazione in Italia dei redditi a essi relativi; dall’altra, il programma del commercialista attinente alle condizioni necessarie per evitare la configurabilità della stabile organizzazione in Italia.
 
Nonostante i collegi tributari emiliani abbiano confermato la legittimità degli atti di imposta nei gradi di merito, la società sammarinese ha proposto ricorso per Cassazione denunciando, tra gli altri, violazione e falsa applicazione dell’articolo 20, lettera e), Dpr 917/1986, e dell’articolo 7, comma 3, Dpr 633/1972, nonché dell’articolo 162 del Dpr 917/1986 (ius superveniens), in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3.
 
Con la sentenza 20597/2011, anche la Corte ha respinto il ricorso della Srl e riconosciuto la particolarità della fattispecie, consistente nel fatto che “la organizzazione produttiva in Italia della società estera - anziché costituita da un unico soggetto giuridico - era articolata in una molteplicità di ditte: formalmente distinte, ma tuttavia economicamente integrate in una struttura unitaria, strumentale al raggiungimento dello scopo commerciale in Italia della ‘casa madre’ non residente”, non è “…preclusiva del fenomeno della stabile organizzazione …”.
 
La sentenza
Ancora una volta il giudice di legittimità si pronuncia in materia di stabile organizzazione di una società straniera in Italia, la cui nozione può essere desunta dall’articolo 5 del modello di convenzione Ocse contro la doppia imposizione e dal suo commentario, integrata con i requisiti prescritti dall’articolo 9 della sesta direttiva Cee 77/388 e con i principi interpretativi individuati anche dalla giurisprudenza comunitaria (Corte di giustizia Ue, 17 luglio 1997, C 190 – 95; Cassazione 9166/2011, 3889/2008 e 17206/2006).
In particolare, il centro di attività stabile può consistere “in una struttura dotata di risorse materiali ed umane e può essere costituito anche da un’entità dotata di personalità giuridica, alla quale la società straniera abbia affidato anche di fatto la cura di affari (con l’esclusione delle attività di carattere meramente preparatorio o ausiliario…)” (Cassazione, n. 9166/2011).
 
Come nelle precedenti pronunce, anche nella sentenza 20597 la Corte va oltre il dato giuridico-formale. Dopo aver verificato l’esistenza di un sistema di società solo formalmente distinte e autonome dal soggetto estero non residente, ma in concreto organizzate in modo unitario al fine di raggiungere lo scopo commerciale in Italia della casa madre non residente, la Cassazione individua la stabile organizzazione mediante i parametri che rispondono pienamente a quelli desumibili da numerose sentenze e concernenti:
  • il ruolo di ciascuna società nella conclusione dei contratti. La Corte ha chiarito che l’accertamento dei requisiti del centro di attività stabile o stabile organizzazione, di dipendenza e di partecipazione alla conclusione di contratti o alle sole trattative in nome della società estera, anche a prescindere dall’esercizio di un potere di rappresentanza in senso proprio e in assenza di un incarico formale, deve essere condotto non solo sul piano formale, ma soprattutto su quello sostanziale (Cassazione, 22853/2006 e 10925/2002). Deve essere riferito, cioè, alla reale situazione economica e non alla legge civile, può riguardare anche singole fasi, come le trattative, e non necessariamente comprendere anche il potere di negoziare termini del contratto (Cassazione, 7682/2002). Del resto, anche sul piano probatorio, gli elementi rivelatori dell’esistenza di una stabile organizzazione devono essere considerati globalmente e nella loro reciproca connessione, poiché l’espediente di separare la materiale attività di conclusione di contratti da quella di formale stipulazione degli stessi può essere considerata come elusione fiscale (Cassazione, 10925/2002)
  • l’irrilevanza della “forma giuridica” assunta dal soggetto commerciale. I giudici di piazza Cavour hanno precisato che il concetto di stabile organizzazione non è incompatibile con la personalità giuridica di cui la stessa sia eventualmente fornita, poiché l’autonoma soggettività non assume rilievo quanto alla imputazione dei rapporti fiscali del soggetto non residente (Cassazione, 16106/2011 e 6799/2004)
  • la possibilità che la struttura organizzativa non sia di per sé produttiva di reddito, ovvero che non sia dotata di autonomia gestionale o contabile (Cassazione, 7682/2002).
 
Tali elementi di osservazione non sono nuovi alla Corte suprema e ben si adattano anche all’osservazione del fenomeno della stabile organizzazione plurima.
Nel noto caso “Philip Morris”, la Cassazione aveva affermato che presso una sola società italiana poteva essere occultata la stabile organizzazione plurima di più società estere non residenti, appartenenti allo stesso gruppo multinazionale, perseguenti una strategia commerciale unitaria.
 
Diversamente, con la sentenza 20597/2011, la Corte ritiene possibile che vi sia stabile organizzazione di un solo soggetto estero anche quando l’organizzazione produttiva commerciale presente in Italia non è riconducibile a un unico soggetto giuridico ma a un sistema articolato e unitariamente gestito di molteplici ditte.
Tale affermazione non si pone in contrasto con la previsione dell’articolo 162 del nuovo Tuir, secondo cui la stabile organizzazione è la “sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio dello Stato”. E nemmeno con l’articolo 11 del regolamento Ce 282/2011 del 15 marzo 2011, recante disposizioni di attuazione della direttiva 2006/112/Ce, secondo cui la stabile organizzazione deve essere caratterizzata “da un grado sufficiente di permanenza e da una struttura idonea in termini di mezzi umani e tecnici” in grado di consentirle di prestare e ricevere i servizi derivanti dalla sua attività.
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