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Giurisprudenza

Tassa marmi: sconta l’Iva dovuta
chi l’ha addebitata al cliente

Il presupposto impositivo del tributo va individuato, a seconda dei casi, nell’estrazione e nella proprietà, ma anche nell’attività di trasporto del bene oltre i confini del comune di Carrara

marmo

La società trasportatrice di marmo è soggetto passivo della “tassa marmi” e, di conseguenza, il relativo importo, addebitato ai clienti nelle fatture emesse, rientra nella base imponibile rilevante ai fini Iva. Il tributo, infatti, non grava esclusivamente sul proprietario del bene. Lo ha chiarito la Cassazione con la sentenza n. 19158 dello scorso 17 luglio.

I fatti
Con riferimento alla prestazione del servizio di trasporto di marmo effettuato da una srl, l’ufficio ha contestato a quest’ultima il mancato assoggettamento a Iva della “tassa marmi”, addebitata dalla contribuente ai propri clienti. Ha quindi rideterminato l’Iva dovuta e ha recuperato l’imposta non versata per il 2002. Nei gradi di merito, le commissioni tributarie hanno ritenuto fondate le doglianze della società. In particolare, il giudice di appello, confermando la decisione della Commissione provinciale, ha escluso la fondatezza del gravame dell’ufficio, ritenendo che la tassa marmi non concorreva a formare la base imponibile (ex articolo 15, comma 1, n. 3, Dpr n. 633/1972, trattandosi di tributo gravante sul proprietario del bene. L’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione, lamentando violazione di legge (articoli 13, comma 1, e 15, Dpr 633/1972, 11, paragrafo A, n. 2, direttiva n. 77/388/Cee, e 1 della legge 749/1911), poiché la sentenza impugnata aveva negato che la contribuente, quale trasportatrice di marmi, fosse soggetto passivo della “tassa marmi” e, di conseguenza, aveva escluso che il relativo importo, addebitato ai clienti nelle fatture emesse, rientrasse nella base imponibile rilevante ai fini Iva.

La Corte ha ritenuto fondato il motivo e ha affermato che “la Commissione regionale non ha fatto corretta applicazione delle disposizioni di legge …, nella parte in cui ha individuato il presupposto impositivo della cd. tassa marmi nella estrazione e nella proprietà del marmo, anziché nel trasporto del marmo oltre i confini del comune di Carrara…” (Cassazione, n. 19158/2019).

Osservazioni
I giudici di legittimità hanno richiamato la disciplina in materia di “tassa marmi”, ne hanno valutato la compatibilità con quelle unionale e interna.
Istituita dall’articolo unico della legge 749/1911, modificata dall’articolo 55, comma 18, legge 449/1997, tale tassa è dovuta in favore del Comune di Carrara sui marmi escavati nel suo territorio e trasportati fuori di esso, ed è applicata e riscossa dal Comune all’uscita degli stessi marmi dai suoi confini in base ad apposito regolamento del Consiglio comunale. Il tributo, inoltre, è applicato anche ai derivati dei marmi ed è determinato in relazione alle esigenze della spesa comunale inerente direttamente o indirettamente alle attività del settore marmifero locale (articolo 2, comma 2-ter, Dl 8/1999). Ma non è compatibile con le norme unionali. La Corte di giustizia, infatti, nella sentenza del 9 settembre 2004, Causa C-72/03, ha dichiarato che:  

  • tale tributo, in quanto commisurato al peso di una merce, riscosso soltanto in un comune di uno Stato membro e gravante su una categoria di merci a causa del loro trasporto oltre i confini comunali, costituisce una tassa di effetto equivalente a un dazio doganale all’esportazione (articolo 23 Ce), nonostante la tassa gravi anche sulle merci la cui destinazione finale si trova all’interno dello Stato membro interessato
  • la tassa si applica ai marmi di Carrara quando sono trasportati oltre i confini del comune di Carrara, con la conseguenza che il fatto generatore dell’imposizione deve essere ravvisato nel superamento di tali confini
  • il soggetto passivo della tassa deve essere individuato nel soggetto nel cui nome è effettuato il trasporto dei marmi al di fuori del comune di Carrara, indipendentemente dal fatto che tale trasporto sia eseguito per conto proprio o per conto del proprietario del marmo o, comunque, di terzi committenti.

Le indicazioni della Corte di giustizia sono state recepite dai giudici di legittimità che, dopo aver affermato l’incompatibilità della tassa con il principio di libera circolazione delle merci, hanno puntualizzato che il diritto al rimborso di quanto indebitamente pagato dal contribuente è subordinato alla presentazione della relativa istanza entro il termine di decadenza biennale decorrente dalla data del pagamento effettuato ex articolo 21, comma 2, Dlgs 546/1992 (Cassazione, n. 13959/16).

In particolare, con riferimento alla corresponsione di tali somme, la Cassazione (n. 13324/2011) ha osservato che costituisce una semplice partita di giro, e quindi, proprio come partita di giro, non ha natura di corrispettivo per la prestazione del servizio. La Corte, poi, ha verificato se tali pagamenti rientrassero o meno nell’articolo 15, comma 1, n. 3, Dpr 633/1972 (coerente con l’articolo 11, lettera A, paragrafo 3, lettera c), direttiva 77/388/Cee) secondo il quale non concorrono a formare la base imponibile Iva “le somme dovute a titolo di rimborso delle anticipazioni, fatte in nome e per conto della controparte, purché regolarmente documentate”.
Al riguardo, i giudici di legittimità hanno distinto le prestazioni di servizi rese dai mandatari con rappresentanza dalle stesse prestazioni rese da mandatari senza rappresentanza: il rimborso delle prime, se anticipazioni regolarmente documentate, non concorre a formare la base imponibile del corrispettivo dovuto per i servizi svolti dal prestatore; le seconde, invece, sono considerate autonomi presupposti per l’applicazione del tributo anche nei rapporti tra mandante e mandatario, per cui le somme dovute a titolo di rimborso delle “anticipazioni” fatte da un mandatario senza rappresentanza nell’interesse della controparte, ma in nome proprio, concorrono a formare la base imponibile (cfr Cassazione, pronunce nn. 17612, 23999 e 28285 tutte del 2013).

A sostegno di tali conclusioni, la Corte ha richiamato l’articolo 13, comma 1, Dpr 633/1972 secondo il quale, in adesione alla richiamata sesta direttiva, la base imponibile delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi è costituita dall’ammontare complessivo dei “corrispettivi dovuti dal cedente”. I giudici di legittimità hanno affermato, quindi, che esulano dalla stessa base imponibile quei corrispettivi e quelle integrazioni del prezzo non dovuti, inclusi quelli riconducibili alla traslazione di imposte chieste o applicate dall’amministrazione finanziaria in difetto di una legittima previsione di legge o dei relativi presupposti.

Nella fattispecie esaminata, la Commissione regionale non ha fatto corretta applicazione delle disposizioni di legge, avendo individuato il presupposto impositivo della “tassa marmi” nella estrazione e nella proprietà del marmo, piuttosto che nel trasporto del marmo oltre i confini del comune di Carrara. Al riguardo, i giudici di legittimità hanno osservato che, ai fini di una corretta applicazione della disciplina fiscale in materia, il giudice d’appello, avrebbe dovuto verificare, piuttosto, se il pagamento della tassa era stato effettuato dalla srl in nome e per conto della committente, ossia previa spendita di un potere rappresentativo, ovvero in nome proprio, sia pure per conto altrui: solo nel primo caso, il pagamento della tassa avrebbe potuto dare luogo a un’anticipazione, irrilevante, se regolarmente documentata, ai fini della determinazione della base imponibile Iva.
Qualora, invece, il pagamento fosse stato effettuato in nome proprio, il giudice avrebbe dovuto escludere la sussistenza di un’anticipazione e valutare, ai fini della determinazione della base imponibile del servizio, se il costo traslato, rappresentato dalla “tassa marmi”, fosse stato dovuto, alla luce del contenuto delle previsioni negoziali e della doverosità del tributo. Sarà il giudice del rinvio a riesaminare la questione dell’inclusione della tassa pagata dalla contribuente nella base imponibile Iva secondo le indicazioni fornite dai giudici di piazza Cavour.

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