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Giurisprudenza

Tassa sulla telefonia mobile,
i Comuni non sono esentati

Non sussiste il diritto al rimborso di quanto versato allo Stato per l’impiego degli apparecchi, dal momento che i presupposti normativi dell’imposta sono ancora vigenti

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La tassa di concessione governativa, da corrispondere per l’utilizzo dei cellulari, non è stata eliminata e va, dunque, applicata fino a quando non interviene un’espressa abrogazione. Legittimi, pertanto, i dinieghi opposti dagli uffici alle istanze di rimborso avanzate dai Comuni. Lo ha stabilito la Commissione tributaria regionale di Venezia, con la sentenza n.76/6/11.
 
I fatti
La vicenda trae origine da alcune istanze di rimborso presentate nel 2009 all’ufficio delle Entrate di Vicenza 1, da parte di sette Comuni, per la restituzione di quanto versato a titolo di tassa di concessione governativa. La norma prevede il pagamento mensile, tramite il gestore di telefonia mobile in qualità di sostituto d’imposta, di un importo di 5,16 o 12,91 euro, per ogni singola utenza telefonica acquistata dall’ente locale.
 
Contro il diniego opposto dall’ufficio i Comuni vicentini presentavano ricorso davanti alla Commissione tributaria provinciale di Vicenza, censurando l’operato dell’Amministrazione finanziaria e chiedendo la declaratoria di illegittimità del rifiuto impugnato.
L’organo giudicante, con riferimento alle censure formulate dal patrocinio degli enti locali, previa declaratoria della non spettanza del rimborso de quo, nel dicembre 2009, con sentenza 154, ha accolto la tesi dell’ufficio di Vicenza 1, affermando che la tassa di concessione governativa non è stata eliminata nel 2003 con l’entrata in vigore del Codice delle comunicazioni, ma continua a essere applicata fino a quando non sarà espressamente abrogata dal legislatore.
I Comuni, quindi, non rientrando tra le Amministrazioni statali, non possono ritenersi esclusi dal versamento della tassa.
 
Nel caso di specie, i Comuni che avevano presentato ricorso, chiedevano il rimborso di 63.885,41 euro oltre agli interessi e, a seguito delle conclusioni del giudice di primo grado, proponevano appello, formulando numerosi e articolati motivi di gravame.
 
La sentenza della Ctr di Venezia
I giudici tributari di secondo grado, con dovizia di argomentazioni, hanno respinto tutte le eccezioni sollevate dal difensore dei Comuni contro la sentenza resa dal giudice a quo, ribadendo i principi chiave della diatriba sostenuti con successo dalla Dp di Vicenza.
L’attenta disamina della normativa di riferimento ha portato i giudici a ritenere tutt’ora vigente e applicabile agli enti locali la tassa in commento.
 
La tassa di concessioni governative sui servizi radiomobili venne introdotta dall’articolo 3 del Dl 151/1991, mediante l’aggiunta della voce 131 alla Tariffa annessa al Dpr 641/1972. Per consentire la speditezza dei commerci, il ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni, considerando l’opportunità di provvedere all’aggiornamento della disciplina del servizio radiomobile pubblico terrestre di conversazione al fine di consentire l’impiego anche di apparecchiature terminali portatili ed estraibili, emanò il decreto 33 del 13 febbraio 1990.
Osserva la Commissione tributaria che l’articolo del citato decreto ministeriale non essendo, a differenza dell’articolo 318 del Dpr 156/73, abrogato da successive disposizioni, costituisce il presupposto legislativo per l’applicazione, ai contratti di servizio radiomobile, della tassa di concessione governativa.
 
Il Collegio veneziano, invero, ammette giustamente l’applicabilità al caso di specie dell’articolo 21, Tariffa allegata al Dpr 641/1972, sul presupposto che la vigenza e conseguente non abrogazione implicita dello stesso trova conferma nel fatto che l’articolo è stato oggetto di modifica con la legge 244/2007, con evidente esclusione della possibilità che la tassa anzidetta sia stata eliminata nel 2003, ex articolo 218 del Dlgs 259/2003. Tale norma, emanata in sede di approvazione del nuovo Codice delle comunicazioni, non avendo inciso in alcun modo sull’applicabilità della “tassa”, ha di fatto confermato la vigenza dell’articolo 21.
 
Partendo dalla disamina del Dpr 641/1972, si osserva ulteriormente come esso introduce una specifica “Disciplina delle tasse sulle concessioni governative”, assoggettando alle predette tasse “i provvedimenti amministrativi e gli altri atti elencati nell’annessa tariffa (...) nella misura e nei modi indicati nella tariffa stessa” (articolo 1).
L’articolo 21 della Tariffa annessa prevede l’applicazione di un tributo a fronte del rilascio di ciascuna “Licenza o documento sostitutivo per l’impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione.
 
Ebbene, secondo i giudici regionali, appare evidente come sia la licenza sia il documento sostitutivo, che è costituito dall’abbonamento telefonico, rappresentano due tipologie di atti, alternativi, che il legislatore ha voluto assoggettare alle tasse menzionate.
In sostanza, posto che l’articolo 28 del Dm 484/88 dispone che ogni spesa, imposta o tassa, comunque inerente al contratto di abbonamento, è a carico dell’abbonato, nel caso in esame, la tassa sulle concessioni governative grava sulle Amministrazioni comunali che hanno concluso il contratto con il gestore. Infatti, l’abbonamento telefonico costituisce il documento sostitutivo della licenza che l’articolo 21 Dpr 641/72 della Tariffa individua quale presupposto della tassa in esame, alternativo alla licenza medesima.
 
I giudici di secondo grado confermano altresì la statuizione del Collegio vicentino in ordine alla equiparazione dei Comuni alle Amministrazioni dello Stato.
Secondo la Commissione regionale, atteso che se è vero che lo Stato è esonerato dal versamento a se stesso di un tributo di sua spettanza, è altrettanto pacifico che tale principio non possa trovare applicazione, in via analogica, a fattispecie diverse e non espressamente considerate dal legislatore. Come puntualmente già chiarito dai giudici di primo grado, perché si possa far luogo allo strumento dell’interpretazione analogica, è necessario che sussista un vuoto normativo da colmare mediante il rinvio ad altra norma che regolamenta una materia analoga. Ciò posto, nel caso della tassa di concessione governativa, con specifico riferimento alla questione delle esenzioni dalla tassa, non si evidenzia alcun vuoto normativo, stante la vigenza sia dell’articolo 13-bis del Dpr 641/1972, che espressamente individua i casi in cui è ammessa l’esenzione, sia dei singoli articoli dell’allegata Tariffa, in cui sono esplicitati i possibili casi di ulteriore esenzione.
 
Osservazioni
Con la sentenza in commento, i giudici tributari tornano a occuparsi dell’annosa questione relativa al versamento, da parte degli enti locali, della tassa di concessione governativa per i telefonini. Attraverso una ricostruzione analitica delle norme disciplinanti la tassa in esame, il Collegio veneziano valorizza la vigenza (rectius non abrogazione) dell’articolo 3 del decreto ministeriale 33/1990, come presupposto normativo per l’applicazione, ai contratti di servizio radio mobile, della tassa di concessione governativa, concludendo per l’assoggettabilità anche del contratto di abbonamento a ogni imposta o tassa comunque allo stesso inerente.
 
E’ pertanto evidente che, risultando a tutt’oggi ancora vigente la norma che disciplina la tassa, stante la sua né esplicita né implicita abrogazione da parte del nuovo Codice delle telecomunicazioni ovvero da altra norma, anche gli enti locali, in quanto soggetti non esonerati, sono tenuti al suo versamento.
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