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Giurisprudenza

Termine per l’impugnazione: vale
la pubblicazione della pronuncia

La comunicazione informa solo del deposito della sentenza e, in caso di mancata riattivazione del giudizio, il processo si estingue e l’ufficio può far valere le proprie pretese

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A seguito di una pronuncia di cassazione con rinvio, il termine per la riassunzione del grado di merito decorre dalla pubblicazione della pronuncia stessa, mentre agli stessi fini non è richiesta la comunicazione alla parte rimasta contumace e soccombente nel giudizio di legittimità. Questo il principio affermato dalla Commissione tributaria provinciale di Asti nella sentenza n. 44/1/2021 del 13 luglio 2021, in cui viene altresì ribadito che, in conseguenza dell’omessa o tardiva riattivazione del giudizio di rinvio, l’intero processo si estingue e l’ufficio può far valere in modo definitivo e compiuto le proprie pretese impositive.
 
La vicenda processuale “a monte” e l’impugnazione delle intimazioni di pagamento
Una contribuente impugnava vittoriosamente dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Asti due avvisi di accertamento emessi a suo carico per altrettante annualità d’imposta.
Il favorevole verdetto veniva confermato dalla Ctr del Piemonte con sentenza n. 66/2/2017, gravata dall’ufficio in sede di legittimità.
In conseguenza dell’ordinanza n. 25453 del 2019 con la quale la suprema Corte cassava con rinvio la pronuncia di seconde cure, e decorso inutilmente il termine di sei mesi dalla relativa pubblicazione per la riassunzione dinanzi al giudice di merito, l’ufficio emetteva intimazioni di pagamento per il recupero delle somme dovute in base agli originari atti impositivi.
Ricorrendo con separate impugnazioni dinanzi alla Ctp di Asti avverso dette intimazioni di pagamento, l’interessata ne chiedeva l’annullamento lamentando che le fosse stata preclusa la possibilità di esercitare il diritto di difesa non avendo la stessa avuto comunicazione della citata ordinanza di rinvio emessa dal Collegio di nomofilachìa.
 
La pronuncia della Ctp di Asti
Con la sentenza in commento, l’adita Commissione tributaria ha dichiarato i ricorsi inammissibili rilevando che le intimazioni impugnate risultano emesse, ai sensi dell’articolo 63 del Dlgs n. 546/1992, in ragione dell’estinzione del giudizio di impugnazione e della conseguente definitività degli avvisi di accertamento originariamente impugnati.
In particolare, osservano i giudici astigiani, non può essere accolta la doglianza della ricorrente secondo la quale, non essendosi essa costituita nel giudizio di cassazione, la decisione della suprema Corte avrebbe dovuto esserle notificata o comunque comunicata.
Invero, precisa l’odierno arresto, l’articolo 63 del Dlgs n. 546/1992 individua in modo inconfutabile il dies a quo (sei mesi dalla pubblicazione della sentenza di legittimità) da cui decorre il termine per la riassunzione del giudizio e, così come per altre fattispecie, tale decorrenza non è influenzata dalla successiva comunicazione del deposito della pronuncia, la quale non configura elemento integrativo di tale pubblicazione, ma solo adempimento posteriore con finalità informative.
Tra l’altro, puntualizza la pronuncia in rassegna richiamando l’insegnamento di legittimità, le censure circa la mancata previsione della comunicazione del deposito della sentenza, da parte della cancelleria, anche alla parte rimasta contumace, non tengono conto “della funzione di garanzia di conoscibilità legale assolta dalla pubblicazione della sentenza” e trascurano di considerare che “un meccanismo di riassunzione rimesso alla mera volontà delle parti non è compatibile con il principio di ragionevole durata ex art. 111 Cost., in quanto suscettibile di provocare una quiescenza ‘sine die’ del processo”.
In definitiva, chiosa la Ctp piemontese, una volta spirato inutilmente il termine previsto dalla legge per la riassunzione, in applicazione dell’articolo 63 del Dlgs n. 546 del 1992, l’intero processo si estingue e l’ufficio è legittimato a far valere in via definitiva la propria pretesa con riguardo al complessivo importo indicato nell’atto originariamente impugnato.
 
Osservazioni
In base all’articolo 63, comma 1, del Dlgs n. 546 del 1992, quando la Corte di cassazione rinvia la causa alla commissione tributaria provinciale o regionale “la riassunzione deve essere fatta nei confronti di tutte le parti personalmente entro il termine perentorio di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza…”; mentre (successivo comma 2), se la riassunzione non avviene entro il termine di cui al comma precedente o si avvera successivamente ad essa una causa di estinzione del giudizio di rinvio, “l’intero processo si estingue”.
Inoltre, a norma del successivo articolo 68, nei casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto di giudizio davanti alle Commissioni, il tributo, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, “deve essere pagato… c-bis) per l’ammontare dovuto nella pendenza del giudizio di primo grado dopo la sentenza della Corte di cassazione di annullamento con rinvio e per l’intero importo indicato nell’atto in caso di mancata riassunzione”.
Come chiarito dalla circolare n. 38/E del 2015, la regola prevista dalla citata lettera c-bis) si è allineata alla giurisprudenza della Corte, e la stessa relazione illustrativa al decreto di riforma della disciplina sulla riscossione a seguito di omessa riassunzione ha evidenziato che “l’espressa previsione degli effetti della mancata riassunzione ha lo scopo di rendere chiare, soprattutto ai contribuenti, le conseguenze pregiudizievoli che derivano dalla mancata riassunzione del giudizio, indipendentemente da quale parte sia risultata vittoriosa in cassazione”.
Nella fattispecie, i giudici di Asti hanno aderito appieno alla descritta impostazione normativa, rigettando la doglianza dell’interessato che, contumace e soccombente in sede di legittimità, lamentava di non essere stato informato dell’esito del giudizio dinanzi alla suprema Corte.
Il giorno della pubblicazione della pronuncia è quindi il momento da cui inizia a decorrere il termine di legge per l’eventuale riassunzione, senza che a neutralizzare tale effetto possa invocarsi l’omessa comunicazione del provvedimento stesso.
Questo principio, che costituisce una regula iuris consolidata, è stato ribadito da ultimo da Cassazione con la sentenza n. 15206/2021, ove si legge che il termine per le varie forme di impugnazione ed altresì per la riassunzione decorre dalla pubblicazione della pronuncia, perché è rimesso alla diligenza del difensore l’onere di informarsi dell’ esito del giudizio, “in tal modo garantendo l’indispensabile esigenza di stabilità delle decisioni senza vulnerare il diritto di difesa”, mentre la funzione della comunicazione è soltanto quella di rendere edotta la parte del deposito della sentenza, fermo restando quindi che gli effetti legali della stessa restano ancorati esclusivamente alla pubblicazione.

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