Articolo pubblicato su FiscoOggi (https://fiscooggi.it/)

Giurisprudenza

Testimonianza vietata in giudizio,
però chi sa può parlare in verifica

Le dichiarazioni rese da terzi sono inammissibili solo quando vengono assunte direttamente dal giudice tributario e non se recepite nel corso delle indagini amministrative

testo alternativo per immagine
Nel processo tributario sono ammissibili le dichiarazioni rese da terzi, anche senza contraddittorio, nel corso di una verifica o, in generale, di un’attività amministrativa: a esse non si applica, infatti, il divieto di prova testimoniale di cui all’articolo 7, comma 4, del Dlgs 546/1992, che ha natura eminentemente processuale, limitando i poteri del giudice tributario ma non quelli degli organi di verifica.
Tali dichiarazioni hanno valore di elementi indiziari, che devono essere obbligatoriamente valutati dal giudice, seppur in concorso con altri elementi: ne consegue che è illegittima la sentenza che, nell’escludere una tale valenza, ne ometta una qualsiasi valutazione.
Lo ha ribadito (non a caso con ordinanza) la Corte di cassazione, con la pronuncia 19965 dello scorso 22 settembre, con cui ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate.
 
La vicenda processuale
La vicenda riguarda un avviso di accertamento, con il quale l’Agenzia delle Entrate contestava, a una società di capitali, l’inesistenza di alcune operazioni.
 
Giunto in contenzioso, l’atto veniva annullato dalla Ctp con decisione confermata, poi, in secondo grado.
In particolare, secondo la Ctr, mancava, in relazione agli elementi prodotti dall’Amministrazione finanziaria, un nesso causale tale da dimostrare in maniera univoca l’inesistenza delle operazioni contestate. Né tantomeno potevano essere considerate un indizio decisivo le dichiarazioni del legale rappresentante della società fornitrice della merce, sia perché non erano state rese nel rispetto del principio del contraddittorio sia per il divieto della prova testimoniale vigente nel processo tributario.
 
Col successivo ricorso in Cassazione, l’Agenzia delle Entrate denunciava, in relazione all’articolo 360, n. 3), cpc, violazione dell’articolo 7, comma 4, del Dlgs 546/1992, perché il giudice di merito aveva omesso qualsiasi valutazione riguardo alla rilevanza indiziaria delle suindicate dichiarazioni.
 
La pronuncia della Cassazione
La Corte suprema ha accolto per manifesta fondatezza il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate, cassando con rinvio la sentenza impugnata.
Richiamando, infatti, un ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr Cassazione 20032/2011 e 15331/2014), ricorda che “in tema di contenzioso tributario, la disposizione contenuta nell'art. 7, comma 4, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 - secondo cui nel processo tributario ‘non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale’ - in quanto limitativa dei poteri delle commissioni tributarie e non pure dei poteri degli organi amministrativi di verifica, disciplinati da altre disposizioni, vale soltanto per la diretta assunzione, da parte del giudice tributario, nel contraddittorio delle parti, della narrazione dei fatti della controversia compiuta da un terzo, ovverosia per quella narrazione che, in quanto richiedente la formulazione di specifici capitoli e la prestazione di un giuramento da parte del terzo assunto quale teste, acquista un particolare valore probatorio”.
Le dichiarazioni in questione, quindi, essendo state acquisite nell’ambito di indagini amministrative, erano pienamente utilizzabili, assieme ad altri, quali elementi di convincimento da parte del giudice.
Logico, quindi, il rinvio ad altra sezione della Ctr per la valutazione di tutto il materiale probatorio prodotto in giudizio.
 
Osservazioni
Le contestazioni dei contribuenti sull’ammissibilità delle dichiarazioni rese da terzi agli organi di verifica vengono puntualmente rigettate dalla giurisprudenza di legittimità, che ne ha sempre riconosciuto la valenza, se non probatoria, quanto meno indiziaria, da corroborare con ulteriori elementi: ciò vale non solo per l’Amministrazione finanziaria, ai fini della motivazione degli atti impositivi, ma anche per il giudice tributario che deve valutare “le dichiarazioni di terzi, anche assunte in sede di verifica, e nel disattenderne l’eventuale contenuto ha l’obbligo di motivarne gli aspetti ritenuti non veridici” (cfr Cassazione 25104/2008).
 
La limitazione posta dal legislatore, con l’articolo 7, comma 4, del Dlgs 546/1992, ha solo valenza processuale, riguardando la sola narrazione dei fatti resa da un terzo previo giuramento e, come tale, idonea ad acquisire un particolare valore probatorio; di contro, le dichiarazioni rese nell'ambito di un'attività amministrativa assurgono a meri indizi suscettibili di valutazione da parte del giudice.
 
Per quanto concerne la presunta violazione del diritto di difesa del contribuente, la Cassazione ha precisato che “le dichiarazioni rese da un terzo per essere utilizzate in sede di giudizio non devono essere rese necessariamente in contraddittorio con il contribuente, essendo in presenza di indizi che possono concorrere a formare il convincimento del giudice, salva la concreta verifica di attendibilità del dichiarante” (cfr Cassazione 21813/2012).
 
A ciò bisogna aggiungere l’esistenza di un altro principio costituzionale, parimenti importante, che è quello della parità delle armi sancito dall’articolo 111 della Costituzione: in base a esso, il contribuente, oltre che contestare la veridicità delle dichiarazioni dei terzi poste a base della pretesa impositiva, può introdurre a sua volta “controdichiarazioni di analoga natura, parimenti soggette al prudente apprezzamento delle commissioni tributarie” (Corte costituzionale 18/2000).
URL: https://www.fiscooggi.it/rubrica/giurisprudenza/articolo/testimonianza-vietata-giudizio-pero-chi-sa-puo-parlare-verifica