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Giurisprudenza

Testimonianze nel processo tributario:
legittime se analizzate criticamente

Il divieto di utilizzo di deposizioni, connesso all’esigenza che i fatti economici siano documentali, non impedisce al giudice di valutare le dichiarazioni rese da terzi nell’iter penale

testimoni

La Corte di cassazione con l’ordinanza n. 17536 del 28 giugno 2019, ha rigettato il ricorso del contribuente, confermando l’operato dell’ufficio. In particolare la parte ricorrente contestava il giudizio della competente Commissione tributaria regionale, in quanto basato esclusivamente sulle prove testimoniali di un soggetto terzo, derivanti dal processo penale in cui era imputato il contribuente. Invero, i supremi giudici hanno riconosciuto la legittimità della pronuncia di secondo grado, in quanto la Ctr ha proceduto a un autonomo vaglio critico delle risultanze istruttorie, ancorché effettuato alla luce delle dichiarazioni testimoniali della parte civile nel processo penale a carico del contribuente.
 
 
Il caso e la pronuncia della Cassazione
La vicenda trae origine da un avviso d’accertamento emesso per l’anno d’imposta 2003, riguardante la ripresa a tassazione, in capo a una persona fisica, di un profitto illecito di oltre 100mila euro. Il meccanismo di evasione era stato implementato attraverso una fittizia cessione in franchising di un’agenzia viaggi, strumentale a determinare costi inesistenti rappresentati da una commissione iniziale (fee) e periodiche royalty.
Per la condotta avuta, il contribuente era stato condannato dal tribunale competente territorialmente per i reati di falso in scrittura privata (articolo 485 cp) e truffa (articolo 640 cp).
Il contribuente opponeva ricorso in Commissione tributaria provinciale, ottenendo il riconoscimento delle proprie doglianze, tuttavia il giudizio di secondo grado ribaltava la decisione, accogliendo l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate.
In particolare, il legittimo convincimento del giudice di secondo grado era dovuto alle prove testimoniali provenienti dal processo penale in capo al contribuente per i reati precedentemente indicati.
 
Avverso la sentenza della Commissione regionale competente, il contribuente opponeva ricorso in Cassazione, precisando che il giudice tributario, in presenza di divieto di prova testimoniale nel processo tributario, aveva uniformato il proprio convincimento esclusivamente sulla intervenuta statuizione penale, senza alcun autonomo vaglio critico e senza indicare gli elementi di prova sottesi alla decisione di accoglimento dell’appello della parte resistente.
 I supremi giudici hanno tuttavia confermato la decisione della Ctr, in considerazione del fatto che “la Commissione regionale ha più volte chiarito di voler procedere ad un autonomo vaglio critico delle risultanze istruttorie, poi effettuato alla luce delle dichiarazioni testimoniali della parte civile nel processo penale a carico del contribuente”.
Ha concluso la Corte di cassazione rigettando le considerazioni del contribuente e confermando la correttezza dell’operato dell’ufficio.
 
Osservazioni
Con l’ordinanza in esame, la Corte di cassazione è tornata sulla questione dell'ammissibilità delle prove testimoniali nel processo tributario. Infatti, la riforma del processo tributario non ha toccato l’articolo 7 del Dlgs n. 546/1992, relativo ai poteri delle Commissioni tributarie, che prevede il divieto di giuramento e prova testimoniale.
In particolare, l’esclusione della prova testimoniale trova la sua ragion d’essere nel carattere essenzialmente scritto e documentale del processo tributario, il quale non è strutturato in maniera tale da potere essere valutata una prova complessa come quella testimoniale. Questo, perché le dichiarazioni testimoniali acquisite fuori dal processo tributario possono essere raccolte senza le dovute garanzie (ovvero in sede di contraddittorio).
 
Secondo parte della dottrina, il divieto di utilizzo della prova testimoniale nel processo tributario si ricollega alla generale esigenza che i fatti economici, aventi rilevanza tributaria, siano prevalentemente documentali.
Tuttavia, la suprema Corte è più volte intervenuta sulla questione, affermando che le dichiarazioni rese da terzi, prodotte dall’Amministrazione finanziaria, entrano nel processo tributario ma solo con il valore probatorio proprio degli elementi indiziari. Infatti, nulla vieta che una sentenza tributaria invochi le risultanze dell’escussione testimoniale avvenuta in un processo penale e che esse siano apprezzate sotto l’aspetto indiziario. Le prove testimoniali non configurano una prova assoluta per il giudizio tributario. Il giudice tributario, deve quindi procedere al suo prudente apprezzamento “…con autonoma valutazione delle risultanze istruttorie provenienti dal processo penale”.
 
Proprio per le ragioni esposte, gli ermellini hanno ritenuto legittimo il giudicato della Commissione regionale, basato sulle prove testimoniali derivanti dall’intervenuto processo penale del contribuente. I giudici di seconde cure hanno infatti avuto un giudizio autonomo e indipendente della sentenza penale”, entrando nel merito dei fatti e precisando che il contribuente ha determinato un vero e proprio progetto criminale atto a stipulare contratti a nome di un terzo da utilizzare a proprio vantaggio, determinando il profitto illecito oggetto di accertamento fiscale.
Non vi è stata quindi, seconda la suprema Corte, la violazione del divieto di prova testimoniale di cui all’articolo 7, Dlgs n. 546/1992.
 

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