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Giurisprudenza

Il titolare dell’impresa familiare
non può "scappare" dall’Irap

L’elenco delle figure colpite dal tributo, contenuto nell’articolo 3 del Dlgs 446/1997, ha soltanto valore esemplificativo. Esenti, invece, i redditi dei congiunti collaboratori

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Poiché 1’Irap afferisce allo svolgimento di un’attività autonomamente organizzata per la produzione di beni e di servizi, ne è soggetto passivo anche l’imprenditore familiare, mentre non lo sono i familiari collaboratori, colpendo tale imposta il valore della produzione netta dell’impresa e integrando la collaborazione dei partecipanti quel quid pluris dotato di attitudine a produrre una ricchezza ulteriore, o valore aggiunto, rispetto a quella conseguibile con il solo apporto lavorativo personale del titolare.
Questo il principio di diritto stabilito dalla sentenza n. 1537 del 27 gennaio 2014 della Corte di cassazione.
 
I fatti in causa
Si controverteva in ordine alla spettanza o meno di un rimborso dell’Irap corrisposta, per un determinato biennio, da un agente di commercio.
Sia una Ctp lombarda che la Ctr della Lombardia propendevano per la posizione del contribuente, riconoscendogli il diritto al rimborso.
Il giudice di seconde cure osservava, in particolare, che la qualifica di imprenditore, nell’ambito dell’impresa familiare, “non faccia venire meno la sostanziale autonomia organizzativa di lavoro autonomo, caratteristica ordinaria dell’agente di commercio, che esplica il proprio lavoro con il preponderante accordo della gestione personale e con pochi beni strumentali”.
 
Il ricorso dell’Amministrazione finanziaria
L’Agenzia delle Entrate ricorreva per cassazione, denunciando la violazione degli articoli 2 del Dlgs 446/1997 e 230-bis del codice civile, e assumendo - di contro - la soggettività Irap dell’imprenditore commerciale, titolare di un’impresa familiare, alla quale collabora in modo continuativo sua moglie, in quanto il presupposto impositivo, rappresentato dall’autonoma organizzazione, è connaturato alla nozione stessa di impresa.
 
Le motivazioni della pronuncia
La Cassazione concorda con la prospettazione dell’ufficio.
 
Difatti, osservano i supremi togati, “afferendo 1’Irap non al reddito o al patrimonio in sé, ma allo svolgimento di un’attività autonomamente organizzata per la produzione di beni e di servizi, ne è soggetto passivo anche l’imprenditore familiare, stante il valore esemplificativo dell’elencazione delle figure nell’articolo 3 Dlgs 446/1997, mentre non lo sono i familiari collaboratori – cui viene imputato, a determinate condizioni e proporzionalmente alle rispettive quote di partecipazione, il reddito derivante dall’impresa familiare – colpendo tale imposta il valore della produzione netta dell’impresa e integrando la collaborazione dei partecipanti quel quid pluris dotato di attitudine a produrre una ricchezza ulteriore, o valore aggiunto, rispetto a quella conseguibile con il solo apporto lavorativo personale del titolare” (cfr Cassazione 10777/2013 e, con riguardo all’applicazione dell’Irap all’attività di agente di commercio, Cassazione 12108/2009).
 
Commento
Il principio di diritto espresso dalla sentenza in rassegna è stato di recente affermato dalla Cassazione.
La suprema Corte, infatti, ha stabilito che “i soggetti che producono reddito di impresa, commerciale o agricola, e quindi anche le imprese familiari, di cui all'articolo 230-bis del codice civile, sono colpiti dall’imposta regionale sulle attività produttive, laddove non espressamente esentati; debitore è solo l'imprenditore familiare, non i familiari collaboratori” (cfr Cassazione 10777/2013).
 
Detta sentenza ha rappresentato il primo pronunciamento dei giudici di legittimità in ordine all’assoggettamento a Irap delle imprese familiari e ha sancito l’imponibilità in capo all’imprenditore familiare.
In questo senso, infatti, è irrilevante che l’impresa familiare non sia richiamata tra i soggetti passivi dell’imposta, ex articolo 3, Dlgs 446/1997, posto che la produzione di un reddito d’impresa e la presenza di collaboratori familiari, rappresentano di per sé elemento sufficiente al suo inquadramento in questo ambito.
 
A tal proposito, la dottrina ha osservato come vi sia una congrua riduzione dell’imposta riservata, in tal modo, all’impresa familiare: il fatto che sia considerato solo l’imprenditore familiare ai fini dell’imposizione, come nell’ambito delle imprese individuali, comporta l’esclusione, dei redditi dei collaboratori, dalla base imponibile dell’imposta, producendosi, allora, un differente trattamento rispetto all’imprenditore che svolge la propria attività commerciale con l’ausilio di lavoratori subordinati.
 
Infine, deve essere osservato che, alle medesime conclusioni – e con riguardo alla stessa tipologia di attività – era giunta anche la giurisprudenza di merito, secondo la quale “paga l’Irap l’agente di commercio che si sia avvalso dell’apporto di un collaboratore nell’impresa familiare” (cfr Ctr Friuli – Trieste n. 89/08/2011 depositata l’11 luglio 2011).
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