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Giurisprudenza

La trasformazione eterogenea
dà luogo a plusvalenze tassabili

Il passaggio a società semplice è equiparabile a un trasferimento a titolo oneroso, derivandone l’assunzione di una forma giuridica incompatibile con l’esercizio d’impresa commerciale

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La Corte di cassazione (ordinanza n. 30228/2018) si esprime, per la prima volta a quanto ci consta, sulla rilevanza fiscale sia di una trasformazione societaria “decrescente”, ossia quando la compagine sociale si muta da una società di capitali in società di persone, sia di una trasformazione eterogenea, ossia da una società di persone in una società semplice, la quale, come noto, non può avere a suo oggetto attività commerciali.
Infatti, l’articolo 2249 del codice civile prevede l’obbligo, per le società che intendono svolgere una delle attività di cui al precedente articolo 2195, di costituirsi nelle forme previste per le società in nome collettivo, in accomandita semplice o di capitali, con l’effetto che l’attività della società semplice trova spazio tra le attività non commerciali e la “comunione costituita o mantenuta al solo scopo del godimento di una o più cose”, che ex articolo 2248 è regolata dalle norme sulla comunione di cui agli articoli 1110 e seguenti cc.
La trasformazione di una società commerciale in una società semplice risulta essere una trasformazione eterogenea, quale quelle da società di capitali in enti associativi non societari, di cui all’articolo 2500-septies cc, e da enti associativi non societari in società di capitali, di cui all’articolo 2500-octies cc, espressamente indicate dalla pronuncia in commento, proprio per la modifica dell’attività da non commerciale a commerciale.
 
Il legislatore delle imposte dirette, come peraltro quello dell’Iva, ha fissato il principio della neutralità fiscale della trasformazione societaria in riferimento alle società che svolgono quell’attività rientrante nella stessa categoria reddituale ovvero, in campo Iva, le operazioni effettuate determinino l’assunzione in capo al cedente i beni o al prestatore di servizi della soggettività Iva.
In tal senso la disciplina del Tuir. espressa prima all’articolo 123, nella versione ante 2004, poi all’articolo 170, in quella post 2004, entrambi statuendo al primo comma che “la trasformazione della società non costituisce realizzo, né distribuzione delle plusvalenze e minusvalenze dei beni, comprese quelle relative alle rimanenze ed il valore di avviamento”.
La mancata previsione negli articoli 170 e seguenti della trasformazione delle società di persone in società semplice non permette di ritenere applicabile il principio di neutralità perché si tratta di una modifica della categoria di reddito cui deve applicarsi lo stesso principio fissato per le trasformazioni eterogene dalle società di capitali agli enti non commerciali, ossia quello della liquidazione della società stessa.
 
La decisione della Corte di legittimità in nota, coerentemente a tale prospettiva interpretativa, afferma che la trasformazione di una società commerciale in società semplice (“decommercializzazione” di un ente societario), ai fini delle imposte dirette e dell’Iva, è equiparabile a un trasferimento a titolo oneroso, in quanto la trasformazione comporta l’assunzione di una forma giuridica non compatibile con l’esercizio di un’impresa commerciale.
 
Nessun dubbio sulla correttezza anche dei conseguenti effetti fiscali, ossia del trasferimento del patrimonio sociale da un soggetto che per legge può conseguire solo redditi d’impresa a un soggetto che, invece, sempre per legge, non può essere titolare di tali redditi, con l’applicazione del regime previsto per la tassazione dei ricavi e della plusvalenza tassabile dettato dall’articolo 54, comma 1, lettera d, del Tuir ante 2004, ora articolo 85, comma 2, e 86, comma 1, lettera c.
Infatti, si rinviene l’assegnazione ai soci dei beni generanti ricavi o plusvalenze patrimoniali, a nulla rilevando che la società di persone beneficiaria della trasformazione eterogena e regressiva abbia a oggetto un’attività agricola, e non tanto perché non commerciale pel diritto comune, ma soprattutto perché sotto il profilo fiscale il reddito agrario risulta disciplinato diversamente da quello d’impresa, tanto che - da ultimo - l’articolo 55, comma 2, lettera c, del Tuir post 2004, considera reddito d’impresa “i redditi dei terreni, per la parte derivante dall’esercizio delle attività agricole di cui all’articolo 32, pur se nei limiti ivi stabiliti, ove spettino alle società in nome collettivo e in accomandita semplice nonché alle stabili organizzazioni di persone fisiche non residenti esercenti attività di impresa”.
 
 
a cura di Giurisprudenza delle imposte edita da ASSONIME
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