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Giurisprudenza

Ue, niente ritenuta sui servizi
prestati all’interno dell’Unione

Nel caso in cui destinatario e operatore siano residenti in Stati membri diversi, la trattenuta sul corrispettivo può essere operata soltanto se necessaria a garantire la riscossione dell’imposta

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L’applicazione di una ritenuta alla fonte sui redditi percepiti per una prestazione di servizi realizzata da un non residente costituisce una restrizione alla libera prestazione se una prestazione equivalente realizzata da un residente non vi è soggetta.
La Corte Ue, nella sentenza "causa C 461/2021", osserva che l’obbligo di procedere a una ritenuta alla fonte, comportando un onere amministrativo supplementare, ma anche rischi in materia di responsabilità, rende i servizi transfrontalieri meno attraenti per destinatari di servizi residenti rispetto a quelli forniti da prestatori anch’essi residenti.

Gli eurogiudici chiariscono, inoltre, che tale restrizione può essere giustificata dalla necessità di garantire l’efficace riscossione dell’imposta, nella misura in cui sia idonea a conseguire tale obiettivo non eccedendo quanto necessario per raggiungerlo.

La fattispecie e le questioni pregiudiziali
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione, tra l’altro, degli articoli 56 e 57 Tfue.
La richiesta è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone una società all’amministrazione tributaria rumena in relazione all’obbligo imposto alla società di pagare, da un lato, un importo supplementare d’Iva relativa a servizi di trasporto di beni destinati a essere importati in Romania e, dall’altro, un’imposta ritenuta alla fonte sui redditi versati dalla società a una società non residente sua controparte contrattuale per servizi di recupero dell’Iva all’estero.
L’impresa stabilita in Romania fornisce servizi di trasporto su strada di merci ed è stata oggetto di un accertamento a seguito del quale l’autorità fiscale ha emesso un avviso di accertamento che poneva a suo carico un supplemento di Iva.
Dalla pretesa fiscale è quindi sorta una controversia e la competente autorità giurisdizionale ha sottoposto al vaglio pregiudiziale della Corte Ue, tra le altre, alcune questioni, che saranno oggetto di approfondimento, con cui il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 56 e 57 Tfue debbano essere interpretati nel senso che, da un lato, costituisce una prestazione di servizi una attività consistente nel recuperare l’Iva e i diritti di accisa per conto di un’impresa presso amministrazioni finanziarie di diversi Stati membri e che, dall’altro, tali disposizioni ostino alla normativa di uno Stato membro che impone al destinatario, stabilito in tale Stato, di un servizio fornito da un prestatore di un altro Stato membro di procedere alla ritenuta alla fonte dell’imposta sui redditi percepiti per tale prestazione, considerato che l’obbligo di ritenuta non sussiste quando lo stesso servizio è fornito da un soggetto stabilito nello Stato membro del destinatario della prestazione.

Le valutazioni della Corte Ue
Ai sensi dell’articolo 57 Tfue, sono considerate “servizi” le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, in quanto non regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone.
Pertanto, il Trattato Fue fornisce una definizione ampia della nozione di servizio, tale da ricomprendere qualsiasi prestazione che non ricada nelle altre libertà fondamentali.
Nel caso specifico, la conclusione di un contratto a titolo oneroso in cui la prestazione principale consiste nel recupero dell’Iva e delle accise presso le amministrazioni finanziarie di più Stati membri, implica, la prestazione di un “servizio”, ai sensi dell’articolo 57 Tfue.
Tale qualificazione non può essere messa in discussione dalla circostanza che, nel caso in esame, gli importi versati dalla società in base al contratto sono stati qualificati dalle autorità fiscali rumene come “commissioni” in applicazione del diritto rumeno e della convenzione diretta a evitare la doppia imposizione.
Infatti, dal momento che gli importi versati dall’impresa costituiscono il corrispettivo economico della prestazione di servizi effettuata da una società danese non residente, i medesimi devono essere considerati come la retribuzione di una prestazione di servizi, e ciò indipendentemente dalla loro qualificazione in forza del diritto rumeno o della convenzione diretta a evitare la doppia imposizione.
La conclusione è peraltro conforme alla giurisprudenza della Corte secondo cui gli Stati membri, nell’ambito della loro competenza a determinare i criteri d’imposizione sui redditi e sul patrimonio, al fine di eliminare, mediante convenzioni, le doppie imposizioni, restano liberi di qualificare i corrispettivi economici versati per la prestazione di servizi nel rispetto, tuttavia, delle libertà di circolazione garantite dal Trattato Fue.

La Corte intende verificare se la disciplina di uno Stato dell’Unione europea, che impone, al destinatario di una prestazione di servizi di trattenere alla fonte l’imposta sui redditi percepiti da un prestatore di servizi di un altro Stato membro costituisca una restrizione alla libera prestazione dei servizi ai sensi dell’articolo 56 Tfue.
A tal proposito va ricordato che i Paesi Ue devono esercitare la propria competenza in materia di fiscalità diretta nel rispetto del diritto dell’Unione e, in particolare, delle libertà fondamentali garantite dal Trattato Fue.

Al riguardo si fa presente che l’articolo 56 Tfue osta all’applicazione di una normativa nazionale, che abbia l’effetto di rendere la prestazione di servizi tra Stati membri più difficile rispetto alla prestazione di servizi puramente interna. La norma dispone, infatti, l’eliminazione di ogni restrizione alla libera prestazione dei servizi derivante dalla residenza del prestatore.
Costituiscono restrizioni le misure nazionali che vietano, ostacolano o rendono meno allettante l’esercizio di tale libertà.

Dalla controversia in commento risulta, in sostanza, che secondo la normativa rumena, quando una prestazione di servizi è fornita a un residente rumeno da un non residente, il destinatario della prestazione deve procedere, a titolo dell’imposta sui redditi dei soggetti non residenti, a una ritenuta alla fonte pari al 16% sui redditi lordi versati all’operatore. Se il prestatore è danese, come nel caso in esame, l’aliquota della ritenuta è tuttavia ridotta al 4% in forza della convenzione diretta a evitare la doppia imposizione. Per contro, in caso di prestazione degli stessi servizi effettuata da un residente, non si applica alcuna trattenuta.
In sintesi, la società ha dovuto operare una ritenuta alla fonte sui corrispettivi pagati al soggetto danese mentre non sarebbe stata gravata dallo stesso obbligo se si fosse rivolta a un rumeno.

La Corte ha dichiarato che il prestatore e il destinatario dei servizi sono due soggetti di diritto diversi, ciascuno portatore di interessi propri, ognuno dei quali deve potersi avvalere della libera prestazione dei servizi, qualora i suoi diritti subiscano un pregiudizio.
Da ciò deriva che l’obbligo di procedere a una ritenuta alla fonte, in quanto comporta un onere amministrativo supplementare, ma anche rischi in materia di responsabilità, è tale da rendere i servizi transfrontalieri meno attraenti rispetto a quelli forniti da residenti. Di conseguenza viene a configurarsi una restrizione alla libera prestazione dei servizi.

Tuttavia, secondo la giurisprudenza della Corte, la necessità di garantire l’efficacia della riscossione dell’imposta costituisce un motivo imperativo di interesse generale che può giustificare una restrizione alla libera prestazione dei servizi.
La procedura della ritenuta alla fonte e il sistema della responsabilità che opera a sua garanzia rappresentano un mezzo legittimo per garantire la tassazione dei redditi di un soggetto stabilito al di fuori dello Stato dell’imposizione e per evitare che i redditi sfuggano alla tassazione sia nello Paese di residenza che in quello in cui i servizi sono forniti, tanto più quando l’operatore fornisce soltanto servizi occasionali nel territorio e vi resta per poco tempo.

Infine, la Corte ha giudicato che la riscossione diretta di un’imposta presso un prestatore di servizi non residente non rappresenterebbe necessariamente una misura meno vincolante della ritenuta alla fonte, e ha dichiarato la ritenuta alla fonte può essere considerata giustificata dalla necessità di garantire l’efficace riscossione dell’imposta.
Da ciò deriva che l’imposizione al destinatario della prestazione di servizi, di un onere amministrativo e di una responsabilità derivante dall’obbligo di procedere alla ritenuta alla fonte sulle retribuzioni versate al prestatore non residente appare idonea e necessaria per garantire la riscossione efficace dell’imposta.
Spetta al giudice del rinvio esaminare, alla luce di tali elementi, se una normativa come quella in discussione nella controversia in esame sia in grado di rispondere a un motivo imperativo di interesse generale che può giustificare una restrizione alla libera prestazione dei servizi, se essa sia appropriata per realizzare un tale obiettivo siffatto e se si riveli proporzionata riguardo allo stesso obiettivo.

Le conclusioni della Corte Ue
Ciò premesso, la Corte Ue perviene alla conclusione che gli articoli 56 e 57 Tfue devono essere interpretati nel senso che, da un lato, costituisce una prestazione di servizi, ai sensi degli articoli suddetti, una prestazione consistente nel recuperare l’Iva e i diritti di accisa presso le amministrazioni finanziarie di più Stati membri e, dall’altro, che l’applicazione di una ritenuta alla fonte sui redditi percepiti per una prestazione di servizi realizzata da un prestatore non residente, diversamente da quanto avviene, invece, per la prestazione equivalente realizzata da un operatore residente, costituisce una restrizione alla libera prestazione dei servizi. Tale restrizione può essere giustificata dalla necessità di garantire l’efficace riscossione dell’imposta, nella misura in cui sia idonea a conseguire detto obiettivo e non ecceda quanto necessario per raggiungerlo.


Data sentenza:
7 settembre 2023

Numero sentenza:
causa C-461/21

Nome delle parti:
SC Cartrans Preda SRL
contro
Direcția Generală Regională a Finanțelor Publice Ploiești – Administrația Județeană a Finanțelor Publice Prahova

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