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Giurisprudenza

Un ufficio è stabile organizzazione, ininfluente il potere dell’impiegato

Per le imposte sul reddito è sufficiente l’elemento “materiale” e non anche quello “personale”

Con la pronuncia n. 8488 del 9 aprile, la sezione tributaria della Cassazione - nell'interpretare gli articoli 5 e 7 della Convenzione italo-svizzera ratificata dalla legge 943/1978 e diretta a disciplinare i rapporti tributari tra i due Paesi al fine di evitare doppie imposizioni - ha fornito ulteriori precisazioni in ordine al concetto di "stabile organizzazione", fondamentale per la definizione della territorialità dei redditi d'impresa, e che riguarda, per lo più, le diramazioni delle imprese multinazionali.
Prima di esaminare la sentenza, si ricorda che la definizione comunitaria di "stabile organizzazione" è contenuta nell'articolo 5 del "Modello convenzionale" Ocse, mentre, per quanto riguarda la normativa nazionale, si rinvia all'articolo 162 del Tuir.

I fatti di causa
A fronte dell'attività accertativa effettuata dalla Guardia di finanza presso un professionista, un ufficio finanziario rileva che una società svizzera - cliente del professionista accertato - non aveva dichiarato, ai fini Irpeg e Ilor, redditi percepiti negli anni 1982/1988 (derivanti da contratti stipulati dalla stessa società con la Ferrovie dello Stato italiane), ed emette i relativi avvisi di accertamento.
La società impugna tali avvisi sostenendo la mancanza dei presupposti per l'imposizione fiscale in Italia dei redditi percepiti, sulla base della Convenzione italo-svizzera.

La Commissione tributaria di 1° grado di Roma accoglie i ricorsi con sentenza confermata in appello.
Il successivo ricorso proposto dall'ufficio finanziario in Commissione tributaria centrale viene respinto, con sentenza impugnata poi in Cassazione.

La tesi dell'ufficio
L'Amministrazione finanziaria lamenta la violazione e la falsa applicazione degli articoli 5 e 7 della Convenzione italo-svizzera, nonché dell'articolo 19 del Dpr 597/1973 e dell'articolo 23 del Tuir, laddove la Commissione tributaria centrale ha ritenuto che l'articolo 5 della citata Convenzione, nel regolare i presupposti per l'imposizione fiscale tra i due Paesi, sostiene che occorre fare riferimento a due elementi per identificare l'ipotesi in questione. Uno di natura oggettiva, ovvero la "stabile organizzazione" - intesa come una organizzazione produttiva stabile in Italia - mediante la quale si producono redditi di impresa di un soggetto non residente ma tassabili in Italia, e uno di natura soggettiva, ovvero l'esistenza in Italia di un soggetto dotato di poteri che gli permettono di concludere contratti in favore dell'impresa estera.

Sulla base di tali considerazioni, la Commissione centrale ha ritenuto sussistente il requisito oggettivo concernente una stabile organizzazione produttiva, e inesistente il secondo, in quanto il dipendente italiano della società estera, sebbene autorizzato a sottoscrivere i contratti per conto di quest'ultima, non aveva alcun potere decisorio in ordine al contenuto degli stessi e a eventuali modifiche, riservati alla direzione della società svizzera.

Per l'ufficio, invece, l'articolo 5 della Convenzione non prevede un doppio requisito, ma solo un presupposto, al fine di sottoporre a tassazione il reddito prodotto in Italia, ovvero l'esistenza sul territorio di una "stabile organizzazione" intesa, ai sensi del comma 1 del citato articolo, come la "...sede fissa di affari in cui la impresa esercita in tutto od in parte la sua attività", caratterizzata dagli elementi organizzativi elencati nel successivo comma 2 (ossia, una sede di direzione, una succursale, un ufficio, una officina, un laboratorio, una miniera, una cava, un cantiere di costruzione o di montaggio di durata superiore a dodici mesi).
Il successivo comma 4 dell'articolo 5, prevede poi che "Una persona che agisce in uno Stato contraente per conto di una impresa dell'altro Stato contraente - diversa da un agente che goda di uno status indipendente di cui al paragrafo 5 - è considerata 'stabile organizzazione' nel primo Stato se dispone nello Stato stesso di poteri che esercita abitualmente e che le permettono di concludere contratti a favore della impresa, salvo il caso in cui la attività di detta persona sia limitata all'acquisto di merci per la impresa".

Per l'ufficio, ne consegue che i due presupposti (commi 1, 2 e 4 dell'articolo 5 della Convenzione) non debbono sussistere entrambi contemporaneamente affinché si possa parlare di "stabile organizzazione", ma è sufficiente che ne ricorra almeno uno, per realizzare il presupposto richiesto per l'imposizione fiscale nel paese contraente, nella specie l'Italia.

La società intimata, seppur conviene sull'interpretazione della norma fornita dall'Amministrazione finanziaria, nel senso della alternatività dei requisiti per l'integrazione della "stabile organizzazione", rileva la mancanza ab origine del requisito oggettivo in forza di una durata della stessa organizzazione inferiore rispetto al periodo minimo (un anno) richiesto a tal fine dall'articolo 5 della Convenzione.

La sentenza della Cassazione
La Corte suprema accoglie il ricorso sulla base di un'univoca interpretazione dell'articolo 5 della Convenzione italo-svizzera, fondata sia sulla collocazione sistematica delle disposizioni ivi contenute (una di seguito all'altra, in modo distinto) sia sull'interpretazione letterale del testo, in cui manca qualunque espressione che leghi tra loro le rispettive enunciazioni o che subordini l'una all'altra, e infine sulla ratio legis della Convenzione stessa, consistente nella previsione di una duplice ipotesi di sussistenza di una stabile organizzazione: una fondata su elementi oggettivi e materiali (comma 2, con le esclusioni di cui al comma 3), l'altra costituita dalla presenza nel territorio di uno Stato contraente di un rappresentante di un'impresa dell'altro Stato contraente dotato di determinati poteri (comma 4).
Pertanto, l'esistenza anche di una sola di esse è idonea a concretizzare il presupposto impositivo, almeno ai fini delle imposte sul reddito, laddove è configurabile oltre alla stabile organizzazione "materiale", anche quella "soggettiva o personale" (di contro, ai fini Iva, come più volte ribadito dalla Cassazione - cfr, sentenze nn. 3367, 3368, 7682 del 2002, meglio note come sentenze "Philip Morris" - l'esistenza del duplice presupposto è richiesta soltanto per la configurazione di un "centro di attività stabile").

I giudici di piazza Cavour affrontano, poi, anche la questione relativa ai poteri dell'incaricato della società estera in Italia, alla luce dei principi già espressi dalla stessa Cassazione (cfr, sentenze nn. 17206/2006 e 7682/2002), con particolare riferimento alla sussistenza o meno, in capo al medesimo, dello status di agente indipendente. Al riguardo, il comma 5 dell'articolo 5 della Convenzione italo-svizzera dispone che non costituisce "stabile organizzazione", nell'altro Stato contraente, la presenza "...di un mediatore, di un commissionario generale o di ogni altro intermediario che goda di uno status indipendente, a condizione che dette persone agiscano nell'ambito della loro ordinaria attività".

Sul concetto di status indipendente, la Cassazione si riporta al Commentario dell'articolo 5 del modello Ocse - cui peraltro la Convenzione si uniforma - "...secondo cui un soggetto anche non legato da rapporti di dipendenza legale con la impresa straniera, che comunque esegua senza autonomia ed in modo abituale istruzioni della stessa impresa, e che in tale veste compia atti che siano essenziali per la conclusione dei contratti che obbligano la impresa medesima, integra l'ipotesi di stabile organizzazione".
Ne consegue, sempre per la Cassazione, l'inesattezza di quanto sostenuto dalla società controricorrente, secondo cui il potere di concludere contratti si riferirebbe soltanto al caso di un effettivo potere di svolgere trattative e di determinazione del contenuto del contratto, mentre ne sarebbe escluso il caso, come quello di specie, in cui l'agente, pur avendo un potere di rappresentanza, non gode di un'autonomia contrattuale in quanto deve uniformarsi a ordini e direttive della società stessa.
Infatti, sempre in base al commentario dell'articolo 5 del modello Ocse, un soggetto non è considerato "stabile organizzazione" dell'impresa estera per la quale agisce soltanto quando: è indipendente dall'impresa (sia giuridicamente che economicamente) e, pur quando agisce per conto della stessa, compie operazioni che rientrano nell'ambito della sua ordinaria attività industriale o commerciale.

Da ultimo, la Cassazione ribadisce che - come già osservato nella sentenza 17206/2006 - non hanno alcun rilievo le modifiche al commentario, introdotte nel 2004, secondo cui la partecipazione alla fase delle trattative da parte di agenti non muniti di poteri di rappresentanza non sarebbe elemento sufficiente a costituire una stabile organizzazione "personale".
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