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Giurisprudenza

Utilizzabile e abitabile, due criteri
che nel “lusso” fanno la differenza

È l’area complessiva dell’appartamento a determinare la sua classificazione e per il bonus prima casa è irrilevante se un locale è diventato agibile soltanto dopo l’acquisto

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Nella superficie utile complessiva, necessaria per qualificare un immobile “non di lusso” (240 metri quadrati, ex articolo 6 del decreto 2 agosto 1969 del ministero dei Lavori pubblici) e, di conseguenza, per usufruire delle agevolazioni fiscali “prima casa” (articolo 1, comma 3, nota II-bis, parte I, Tariffa, parte I, allegata al Dpr 131/1986), deve essere incluso anche il vano deposito, nonostante sia privo dei requisiti minimi di abitabilità stabiliti dal regolamento edilizio del Comune in cui l’immobile è situato.
Lo ha chiarito la Cassazione, con la sentenza 25674 del 15 novembre.
 
I fatti
Con avviso di liquidazione notificato ai “coniugi x”, l’ufficio ha revocato l’agevolazione fiscale “prima casa”, recuperando a tassazione l’ordinaria imposta di registro e irrogando le conseguenti sanzioni, sul presupposto che l’immobile acquistato (rogito del 21 marzo 2002), registrato con i benefici “prima casa”, aveva caratteristiche “di lusso”, perché di superficie superiore a 240 metri quadrati.  
Sia in primo grado che in appello i contribuenti sono stati soccombenti.
In particolare, la Commissione tributaria regionale ha affermato che l’ufficio aveva correttamente ritenuto l’abitazione di “lusso”, con la conseguente revoca del beneficio fiscale. Ciò in quanto l’immobile aveva una “superficie utile complessiva” superiore a 240 metri quadrati, facendo rientrare nel computo anche il vano deposito privo della destinazione di abitabilità.

I contribuenti hanno proposto ricorso per cassazione lamentando, tra l’altro, violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 1, comma 3, nota II-bis, Tariffa, parte I, allegata al Dpr 131/1986, in combinato disposto con l’articolo 6, del Dm 2 agosto 1969 e con l’articolo 56 del regolamento edilizio del Comune di Poggio Caiano perché, nell’accezione di “superficie utile complessiva”, doveva intendersi soltanto la “superficie abitabile” e tale non era, al momento dell’acquisto, il “vano deposito”, come emergeva dai gravosi lavori di ristrutturazione effettuati successivamente all’acquisto per ottenere l’abitabilità. L’ambiente, infatti, non rispettava i rapporti aero-illuminanti previsti dal regolamento edilizio, non avendo finestre di adeguata ampiezza.

La Corte, rigettando il ricorso, ha affermato che la “… ‘superficie utile complessiva’… non può restrittivamente identificarsi con la sola ‘superficie abitabile’…”.

Osservazioni
L’articolo 6 del decreto ministeriale 2 agosto del 1969 prevede espressamente che sono considerati immobili di lusso “le singole unità immobiliari aventi superficie utile complessiva superiore a mq. 240 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine)”.
La disposizione riconnette, dunque, al dato quantitativo della superficie dell’immobile la caratteristica di immobile di lusso, escludendo dal computo solo determinati ambienti (Cassazione, sentenza 17439/2013).

Tale indicazione attribuisce all’unità immobiliare la caratteristica “di lusso” e assume rilevanza sul piano delle agevolazioni fiscali “prima casa” previste in materia di imposta di registro.L’applicazione dell’aliquota agevolata del 3% in luogo di quella ordinaria (7%) è connessa, infatti, all’acquisto di immobili non appartenenti a tale categoria. Nella fattispecie sottoposta al suo vaglio, la Corte ha ritenuto che il vano deposito, anche se non abitabile, rientrava nella superficie utile complessiva dell’appartamento acquistato e, quindi, superando la previsione della norma, costituiva vano utile per qualificare l’immobile “di lusso”.

I giudici di legittimità sono giunti a tale conclusione distinguendo tra utilizzabilità e abitabilità. Lo hanno fatto richiamando il proprio orientamento, seppur con riferimento all’alloggio padronale (articolo 5 del Dm 2 agosto 1969): “l’abitabilità deve essere ritenuta un criterio non esclusivo per individuare la superficie utile complessiva” (Cassazione, sentenze 10807/2012 e 6466/1985).  
E non solo è “un indicatore non esclusivo”, ma è anche diverso dalla “utilizzabilità” della superficie complessiva prevista dalla norma. A tale riguardo, i giudici di legittimità hanno chiarito che l’utilizzabilità di una superficie è concetto che prescinde dalla sua abitabilità “ed è quello più idoneo ad esprimere il carattere ‘lussuoso’ o meno di una casa”.
Anzi, secondo il dettato normativo, il requisito dell’abitabilità resta estraneo al rapporto tributario, in quanto non richiamato espressamente dal Dm del 1969 (Cassazione, sentenza 22279/2011).
 
In mancanza di una definizione giuridica generale di “superficie utile complessiva”, il calcolo va compiuto a prescindere dalla circostanza che parte degli ambienti non sia conforme alle prescrizioni urbanistiche sotto il profilo dell’abitabilità (ora “agibilità”, articolo 24 del Dpr 380/2001), in quanto ciò che rileva è piuttosto l’intero complesso costruttivo (Cassazione, sentenza 10807/2012; ad esempio, una tavernetta e un ripostiglio, sebbene qualificati come “non abitabili” dal punto di vista urbanistico, configurano ‘vani utili’ per calcolare la superficie di un immobile e considerarlo di lusso – Ctr Torino, sentenza 31/28/2010 e Cassazione, sentenza 17439/2013) e l’idoneità di fatto degli ambienti allo svolgimento di attività proprie della vita quotidiana (Cassazione, sentenza 23591/2012).
E non che l’abitabilità sia del tutto irrilevante. La Corte ha precisato che, ai fini tributari, costituisce una potenzialità dell’immobile “di lusso”, nel senso che una maggiore disponibilità di superficie abitabile valorizza e accresce tale caratteristica sul piano del mercato immobiliare.
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