Se nel corso delle verifiche tributarie eseguite dalla Guardia di Finanza soggetti terzi rilasciano dichiarazioni, queste potranno essere fatte valere in sede processuale.
Questo importante principio è contenuto nella sentenza emanata dalla Corte di cassazione (29 luglio 2005, n. 16033), con la quale è stato affermato che le dichiarazioni rese da terzi ai militari accertatori, anche se non assurgono a prove testimoniali, possono essere utilizzate in sede processuale. Il contribuente ha facoltà comunque di produrre a sua volta documenti contenenti dichiarazioni finalizzate a smentire quanto accertato dagli organi di controllo.
E' opportuno preliminarmente soffermarsi sulla mancata previsione da parte del legislatore tributario dell'ammissione della prova testimoniale, nonché del giuramento decisorio o suppletorio.
La natura potestativa del rapporto di imposta e l'esigenza di speditezza fanno sì che il processo tributario si fondi essenzialmente su prove documentali, per cui non sono ammessi il giuramento decisorio o suppletorio e la prova testimoniale. In tale ambito, l'articolo 7 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, recante disposizioni sui poteri delle Commissioni tributarie, ha attenuato la natura inquisitoria del processo tributario conferendo allo stesso un carattere prevalentemente dispositivo, per cui il giudice tributario ha ampio spazio ai fini istruttori e circa i limiti dei fatti dedotti dalle parti processuali. Pertanto, nel considerare il rito tributario fondamentalmente scritto e non orale nella cui dinamica il legislatore non ha ritenuto opportuno inserire la prova testimoniale (articolo 7, comma 4, Dlgs 546/92), il divieto di tale istituto nel processo tributario è di fatto un divieto di carattere meramente processuale.
La prova testimoniale, istituto insieme al giuramento tipico del giudizio ordinario, rappresenta la narrazione dei fatti della controversia resa al giudice e con determinate forme da soggetti che non sono parti del rapporto controverso. La prova testimoniale, quindi, deve avere a oggetto fatti e non apprezzamenti o giudizi, nel senso che essa non può tradursi in una interpretazione del tutto soggettiva o indiretta o in un apprezzamento tecnico o giuridico del fatto. Essa presenta le caratteristiche della terzietà del testimone rispetto alle parti, della processualità poiché è assunta nel rispetto del contraddittorio, dell'oralità in quanto la stessa è poi riportata in un processo verbale e della sua inclusione tra le prove costituende(1).
La giurisprudenza della Corte costituzionale ha affermato che l'esclusione della prova testimoniale nell'ambito del processo tributario non viola il principio di parità delle parti, essendo giustificata dalla natura documentale del processo tributario, dalla specificità del medesimo giudizio tributario rispetto a quello civile o amministrativo e il risultato di una scelta discrezionale del legislatore. E' stato escluso che le dichiarazioni rese da terzi abbiano valore probatorio e, quindi, le stesse hanno una efficacia diversa da quella testimoniale e non sono idonee, senza il supporto di altri elementi, a rappresentare il fondamento della pronuncia (sentenza n. 18 del 2000).
Su tale argomento, la Consulta recentemente ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento agli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione, dell'articolo 7, comma 4, del Dlgs 546/92, nella parte in cui esclude la prova testimoniale nel processo tributario. In particolare, i giudici delle leggi hanno affermato che non sussisterebbe la violazione dell'articolo 24 della Costituzione, atteso che l'eventuale esistenza dei limiti probatori non determinerebbe di per se né l'impossibilità né l'estrema gravosità dell'esercizio di difesa(2).
Nel corso degli ultimi anni, la stessa giurisprudenza ha ritenuto che possa essere ammessa nel processo tributario, con valore di prova liberamente valutabile dal giudice, la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà rilasciata da un terzo e prodotta dal ricorrente a sostegno delle proprie argomentazioni. Detto atto di notorietà, che ha il valore proprio delle dichiarazioni provenienti da terzi, per la parte in cui il pubblico ufficiale assume direttamente attestazioni, ha valore di prova legale, mentre, per il contenuto delle dichiarazioni rese dal dichiarante, assume valore di prova indiziaria, liberamente valutabile dal giudice, e non di prova legale(3).
Del resto, la dottrina processualtributaria ammette nel giudizio tributario sia le semplici dichiarazioni di natura narrativa che le dichiarazioni rafforzate dalla forma dell'atto di notorietà.
Nella fattispecie in esame, nel corso di verifica eseguita dalla Guardia di Finanza, soggetti terzi hanno reso dichiarazioni ai militari accertatori sui fatti in contestazione.
I giudici di legittimità hanno ritenuto che dette dichiarazioni non assurgono a prove testimoniali e per tale motivo non sono ammesse nel giudizio tributario. Attesa la mancata natura di prova, tali dichiarazioni possono essere comunque utilizzate in sede processuale. I giudici hanno anche riconosciuto che il contribuente può produrre a sua volta documenti contenenti dichiarazioni per smentire le risultanze dell'accesso eseguito dalla Polizia tributaria, sottolineando che ciò che rileva è assicurare la parità delle armi tra le parti processuali.
Nelle motivazioni della sentenza vi è la conferma di tale assunto nella parte in cui si legge che "atteso che il contribuente poteva (e non lo ha fatto, o, almeno, non eccepisce di averlo fatto), produrre documenti contenenti dichiarazioni dei soci che potessero smentire le risultanze dell'accesso". Tali dichiarazioni prodotte dal contribuente avrebbero assunto lo stesso valore probatorio, in ossequio al principio del giusto processo ex articolo 111 della Costituzione e per garantire il diritto di difesa.
NOTE
1. Ctr Lazio, 13 ottobre 2004. Le dichiarazioni rese da terzi, in forma scritta e orale, fuori dal processo non possono essere considerate tecnicamente come testimonianze, in quanto solo queste ultime si costituiscono in giudizio: per tale motivo, le dichiarazioni raccolte e verbalizzate nel corso delle indagini, che non hanno la valenza della prova testimoniale, possono essere utilizzate in sede processuale.
2. Corte costituzionale, ordinanza 29 novembre 2004, n. 375. Nel caso di specie, l'atto impugnato si fondava su un processo verbale della Guardia di Finanza basato a sua volta su dichiarazioni di terzi estranei acquisite in modo sommario e senza alcun riscontro contabile, sicché la veridicità delle medesime poteva essere accertata solo mediante l'audizione in sede giudiziale degli stessi soggetti.
3. Cassazione n. 7107 del 1998; Ctr di Perugia, sezione VI, 10 ottobre 2000, n. 562. Le dichiarazioni scritte contenenti testimonianze, raccolte dall'ufficio finanziario e dalla Guardia di Finanza devono ritenersi ammesse nel processo tributario.
Cfr. anche Cassazione 12 gennaio 2000, n. 18; 14 luglio 1999, n. 14427.
Utilizzabili le dichiarazioni rese da altri anche se non sono prove testimoniali
Il contribuente può produrre a sua volta documenti per smentire quanto accertato dalla Polizia tributaria
