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Giurisprudenza

Utilizzo di dichiarazioni rese da terzi

Il giudice può valutare le testimonianze rese in altre sedi giuridicamente rilevanti purché esse non costituiscano il solo elemento posto a fondamento della pronuncia

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L'utilizzo ai fini tributari delle testimonianze rese da terzi nel corso di un processo penale non dà luogo a violazione del segreto istruttorio, qualora il giudice penale abbia fornito la propria autorizzazione, né viola la norma contenuta nell'articolo 7 del Dlgs n. 546/1992 che sancisce il divieto di utilizzo di prove testimoniali nel processo tributario. E' legittimo, pertanto, l'operato dell'ufficio che ha provato la pretesa fiscale contenuta in un avviso di accertamento avvalendosi anche delle dichiarazioni confessorie rilasciate nel corso di un procedimento penale da amministratori e dirigenti di società coinvolte in operazioni finalizzate all'evasione fiscale.
Questo, in sintesi, il contenuto della sentenza n. 30/02/05 resa dalla Commissione tributaria regionale dell'Emilia Romagna, sezione II, depositata il 12 aprile 2005.

Il caso affrontato dalla Commissione tributaria regionale
La controversia nasce da un avviso di accertamento per Irpeg e Ilor, scaturito da un processo verbale di constatazione contenente rilievi riscontrati nel corso di indagini avviate dalla Procura della Repubblica.

In particolare, nel corso delle suddette indagini era emerso che la società destinataria dell'atto impositivo si era avvalsa di costi fittizi connessi a fatture per operazioni inesistenti emesse da una seconda società, mediante un meccanismo confermato, tra gli altri, dall'amministratore di quest'ultima nel corso di un procedimento penale a suo carico.
Più in dettaglio, la società in questione aveva contabilizzato talune fatture passive relative a operazioni inesistenti, in relazione alle quali, dopo averne effettuato il regolare pagamento (secondo l'importo indicato sulle stesse), riceveva in nero il 30 per cento della somma pagata.

L'avviso di accertamento con cui venivano ripresi a tassazione i costi fittizi di cui la società si era avvalsa veniva impugnato innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Forlì, eccependo la nullità dell'atto per carenza di motivazione (derivante da un acritico recepimento dei rilievi contenuti nel processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza) e l'illegittimo utilizzo delle dichiarazioni rese nel corso del processo penale, da cui sarebbero derivate la violazione del segreto istruttorio e l'inosservanza del divieto di utilizzo della prova testimoniale sancito dall'articolo 7, comma 4, del Dlgs n. 546/1992.

Avverso la sentenza con cui i giudici di primo grado hanno accolto il ricorso presentato dalla società, ha proposto appello l'ufficio, sostenendo la legittimità del proprio operato.

La posizione della Commissione tributaria regionale
Investita della problematica, la Commissione tributaria regionale dell'Emilia Romagna ha riformato la sentenza di primo grado, ritenendo meritevole di accoglimento l'appello proposto dall'ufficio.

Il collegio, in particolare, ha preliminarmente respinto l'eccezione di difetto di motivazione sollevata dalla società in ordine all'avviso di accertamento che ha dato origine alla controversia, precisando come nell'atto siano stati, invece, opportunamente indicati i presupposti e le ragioni giuridiche che ne stanno alla base, sebbene segnalati anche mediante il rinvio per relationem ai rilievi contenuti nel processo verbale di constatazione dal quale è scaturito l'atto. Più in dettaglio, il richiamo al pvc, secondo la Commissione regionale, va considerato legittimo in quanto effettuato in relazione a un atto i cui contenuti erano già noti al contribuente (per essergli stato regolarmente notificato), allo scopo di condividerne le conclusioni.

Quanto alla presunta violazione del segreto istruttorio che si sarebbe originata dall'utilizzo delle testimonianze rilasciate, in sede penale, da amministratori e dirigenti di società coinvolte nel meccanismo finalizzato all'evasione fiscale, l'eccezione sollevata dalla società appellata risulta superata, a giudizio del collegio, per effetto del Dpr n. 463 del 1982, che ha consentito ai giudici penali di autorizzare l'utilizzo delle indagini ai fini tributari; autorizzazione che risulta formalmente acquisita nel caso in esame.

Con riferimento, infine, alla violazione dell'articolo 7, comma 4, del Dlgs n. 546/1992, in base al quale non sono ammessi nel processo tributario il giuramento e la prova testimoniale, i giudici di secondo grado hanno precisato che la norma riguarda solo l'assunzione di testimoni ad opera delle Commissioni tributarie; essa, pertanto, non impedisce di prendere in considerazione e valutare le dichiarazioni testimoniali o confessorie rese in altre sedi giuridicamente rilevanti, purché tali dichiarazioni non siano il solo elemento posto a fondamento della pronuncia.
Le dichiarazioni rese da terzi, infatti, hanno di per sé un valore puramente indiziario; risultano, pertanto, prive di autonoma efficacia probatoria, ma possono legittimamente costituire un ulteriore riscontro a quanto accertato sulla base di evidenze documentali.

In base a tale principio, la Commissione ha concluso ritenendo assolutamente legittimo l'operato dell'ufficio, che, avendo provato la pretesa contenuta nell'avviso di accertamento avvalendosi, tra l'altro, di dichiarazioni di terzi opportunamente confermate da riscontri documentali (acquisiti attraverso controlli contabili), ha agito nei modi e tempi consentiti dalla legge.

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