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Giurisprudenza

Valida l’ispezione fiscale
anche se non c’è il difensore

Perché il controllo sia regolare è sufficiente che i verificatori abbiano informato il contribuente della facoltà di farsi rappresentare da un professionista di fiducia

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Con la sentenza 19524 del 23 settembre, la Corte di cassazione ha chiarito che è legittima l’ispezione fiscale in azienda, anche se l’imprenditore non è assistito dal difensore. E’ sufficiente, infatti, l’informazione dei verificatori circa la presenza di un professionista, come voluto dallo Statuto del contribuente.
 
Il fatto
La vicenda nasce dalla notifica a una società di capitali di un avviso di accertamento Irpef/Ilor, con il quale erano stati contestati ricavi non contabilizzati, a seguito di verifica effettuata in azienda dalla Guardia di finanza.
Il ricorso era stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale ma ha subito un ribaltamento in sede di appello, ove la Ctr ha ritenuto legittime le contestate operazioni di verifica per presunte irregolarità sulla conduzione dei controlli. Il giudice di appello ha ritenuto, infatti, che i verificatori, sin dall’accesso presso la sede sociale, avevano espletato in modo regolare tutte le formalità previste dalla legge, sia nella presentazione sia nella motivazione dei controlli eseguiti, informando il contribuente sull’opportunità di farsi assistere da un professionista di fiducia durante le operazioni di verifica, così come previsto dall’articolo 12 della legge 212/2000. Da qui, quindi, l’inesistenza di qualsiasi illegittimità in eccesso dell’imponibile accertato.
 
La società ricorre in Cassazione per vizi di motivazione e per violazione di legge, asserendo che l’informazione dei verificatori - di poter farsi “rappresentare” anziché “assistere” da un professionista abilitato alla difesa nel corso delle operazioni ispettive - sarebbe stata fuorviante, perciò configgerebbe con la disposizione contenuta nel comma 2 dell’articolo 12 dello Statuto del contribuente, sia perché non è configurabile un’“equivalenza” fra le due nozioni, sia considerando che la facoltà di assistenza era di particolare rilevanza ai fini del successivo accertamento.
Quest’ultimo sarebbe di conseguenza affetto da invalidità perché fondato sulle sole dichiarazioni del rappresentante legale della società, senza avere avuto idonea assistenza da un professionista incaricato.
 
Occorre anche aggiungere, per completezza, che la verifica fiscale è essenzialmente un’operazione di polizia tributaria svolta dai militari della Guardia di finanza o dagli enti impositori, per la tutela degli interessi dello Stato posti dalle norme tributarie, finanziarie e di carattere politico economico, ed è finalizzata all’acquisizione e al reperimento di ogni elemento utile all’accertamento dei redditi.
Inoltre, proprio in tema di verifiche, l’articolo 52, comma 6, del Dpr 633/1972 - applicabile anche all’accertamento delle imposte dirette in forza del rinvio dell’articolo 33, comma 1, del Dpr 600/1973 - dispone che di ogni accesso deve essere redatto processo verbale - sottoscritto dal contribuente o da chi lo rappresenta - da cui risultino le ispezioni e le rilevazioni eseguite, le richieste fatte al contribuente o a chi lo rappresenta e le risposte ricevute.
 
Motivi della decisione
La Corte di cassazione, con la sentenza in esame ha, però, respinto le pretese della società dirette a invalidare l’accertamento tramite l’atto presupposto (il verbale di constatazione).
Un’imprecisione, quella denunciata, precisa la motivazione della sentenza, che è solo “un’inesattezza lessicale”, ma inidonea a compromette i diritti del contribuente.
 
Infatti, la Guardia di finanza può legittimamente limitarsi a informare la verificata che un professionista può essere presente, e la figura del “rappresentante” del contribuente in sede di accesso nei locali aziendali - afferma la Cassazione - è soggetto al quale i verbalizzanti possono fare richieste e che è tenuto, alla fine delle operazioni, a sottoscrivere il verbale.
 
Quindi, il professionista che il contribuente può designare per le operazioni di verifica è indubbiamente soggetto dotato di competenze tecniche che, secondo la lettera dello stesso Statuto del contribuente, “assiste o rappresenta” il contribuente.
 
Ma all’equivoco lessicale non può attribuirsi la valenza di inficiare la verifica eseguita, anche perché nessuna norma, né quella Iva né tantomeno quella dello Statuto, prevede espressamente una siffatta sanzione a carico dell’Amministrazione finanziaria. Tutt’al più si tratta di una mera irregolarità procedimentale che non riverbera effetti a livello sostanziale. Queste le conclusioni della Suprema corte.
 
Al riguardo, corre l’obbligo di sottolineare che proprio di recente, la Cassazione (sentenza 19338/2011) ha ritenuto che le irregolarità delle ispezioni fiscali, fra cui la ingiustificata protrazione delle operazioni di verifica, non fanno scattare tout court la nullità dell’accertamento perché basato su una verifica che si era protratta oltre i termini consentiti, senza alcuna lesione delle norme contenute nello Statuto del contribuente.
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