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Giurisprudenza

Valide in sede tributaria
le intercettazioni del penale

La Cassazione precisa che un atto legittimamente assunto e trasmesso al fisco entra a far parte, a pieno titolo, del materiale probatorio che il giudice di merito deve valutare

intercettazioni

Le intercettazioni raccolte nell’ambito di un’indagine penale sono utilizzabili in ambito tributario a sostegno della pretesa dell’Amministrazione finanziaria. Irrilevante che il procedimento penale non abbia poi portato all’apertura di un processo. È quanto affermato dalla Corte di cassazione che, con la sentenza n. 32185 del 10 dicembre 2019, ha rigettato il ricorso di una società.

La vicenda processuale
La vicenda parte da un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle entrate disconosceva a una società contribuente alcuni costi, in particolare, per l’impiego di lavoratori illecitamente somministrati.
Sia la Ctp di Napoli che la Ctr rigettavano le doglianze della contribuente ribadendo la natura fittizia dei contratti di appalto in quanto l’effettivo datore di lavoro era la ricorrente.
Col successivo ricorso per Cassazione la società denunciava violazione degli articoli 2697 e 2729 del codice civile, e dell’articolo 7, comma 4, del Dlgs n. 546/1992, in quanto la Ctr aveva ritenuto fornita la prova dei fatti contestati dall'Agenzia delle entrate mediante le dichiarazioni di terzi assunte dalla Guardia di finanza e le intercettazioni telefoniche e ambientali, che la ricorrente assume inutilizzabili perché formate in sede di indagine penale, mai sfociate in un processo e, quindi, selezionate esclusivamente dagli accertatori, con conseguente alterazione del giusto processo e del principio di parità delle armi.

La pronuncia della Cassazione
Nel rigettare il ricorso la Cassazione precisa che un atto legittimamente assunto in sede penale – nella specie, sommarie informazioni testimoniali della Guardia di finanza e intercettazioni telefoniche – e trasmesso all'Amministrazione tributaria entra a far parte, a pieno titolo, del materiale probatorio che il giudice tributario di merito deve valutare, così come previsto dall'articolo 63 del Dpr n. 633/1972. Tale norma, infatti, non contrasta né con il principio di segretezza delle comunicazioni (articolo 15 della Costituzione), perché le intercettazioni che hanno permesso il reperimento dell'atto sono autorizzate da un giudice, né con il diritto di difesa di cui (articolo 24 della Costituzione), perché, se è vero che il difensore non partecipa alla formazione della prova, è anche vero che nel processo tributario l'atto acquisito ha un minor valore probatorio rispetto a quello riconosciutogli nel processo penale (cfr Cassazione, pronuncia n. 2916/2013).

Nel caso in esame la contribuente non aveva neppure eccepito l’illegittima acquisizione delle intercettazioni. Ma anche qualora fosse stato così, la Cassazione ricorda che in materia tributaria, gli elementi raccolti a carico del contribuente dai militari della Gdf senza il rispetto delle formalità di garanzia difensiva prescritte per il procedimento penale non sono inutilizzabili nel procedimento di accertamento fiscale, stante l'autonomia trai due procedimenti, secondo un principio, oltre che sancito dalle norme sui reati tributari (articolo 12 del Dl n. 429/1982, successivamente confermato dall'articolo 20 del Dlgs n. 74/2000), desumibile anche dalle disposizioni generali dettate dagli articoli 2 e 654 cpp ed espressamente previsto dall'articolo 220 disposizioni attuative cpp, che impone l'obbligo del rispetto delle disposizioni del codice di procedura penale quando, nel corso di attività ispettive, emergano indizi di reato ma soltanto ai fini dell'applicazione della legge penale (cfr Cassazione, pronuncia n. 28060/2017).
Inoltre, non vi sono state violazioni né in ordine al riparto dell’onere probatorio né con riguardo al principio di parità delle armi o del giusto processo.
Quanto al primo aspetto, la Ctr non ha riversato l'onere della prova sulla parte non tenutavi per legge, ma ha solo utilizzato detti elementi, in chiave indiziaria, risalendo dai fatti noti al fatto ignoto.
Quanto al diritto di difesa la Ctr si è attenuta al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di Iva, una volta assolta da parte dell'Amministrazione finanziaria la prova dell'oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell'Iva e/o della deduzione dei relativi costi, provare l'effettiva esistenza delle operazioni contestate, senza che, tuttavia, tale onere possa ritenersi assolto con l'esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un'operazione fittizia (cfr Cassazione, pronuncia n. 17619/2018).

Ulteriori osservazioni
In ambito tributario non vige alcuna previsione generale di inutilizzabilità della documentazione irritualmente acquisita, come accade invece in ambito penale con la previsione di cui all’articolo 191 cpp (cfr Cassazione, pronunce nn. 8605/2015, 8606/2015 e 33223/2018).
Di conseguenza, non qualsiasi irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale comporta, di per sé, la inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso ed esclusi, ovviamente, i casi in cui viene in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale (cfr Cassazione, pronunce nn. 8272003, 19689/2004, 14058/2006 e 8990/2007).
In altri termini, in base al consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, in assenza di una norma generale sull’inutilizzabilità in ambito tributario, eventuali illegittimità nelle procedure di acquisizione della documentazione non si riverberano sulla legittimità dell’atto tributario, salvo che:

  • l’acquisizione non sia avvenuta in violazione di una norma tributaria sanzionata con l’inutilizzabilità della documentazione stessa
  • l’acquisizione non sia avvenuta in violazione di un diritto fondamentale di rango costituzionale.
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