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Giurisprudenza

Valido l’accertamento sintetico
senza convincente prova contraria

Il contribuente è tenuto a dimostrare l’inesistenza degli elementi e delle circostanze di fatto con cui l’Amministrazione finanziaria ha determinato il reddito complessivo

La Commissione tributaria provinciale di Ravenna, con la sentenza n. 579/03/14 del 7 luglio, ha sancito la piena legittimità di un avviso di accertamento sintetico emesso dall’Agenzia delle Entrate, attribuendogli, inoltre, l’efficacia probatoria di presunzione legale relativa, non avendo il contribuente fornito una prova contraria convincente.
La Ctp ha ritenuto del tutto legittimo l’operato dell’Amministrazione finanziaria affermando, fra l’altro, che “…l’accertamento sintetico è legittimo, correttamente motivato, gli elementi indicativi della capacità reddituale sono certi ed incontestabili e la parte non ha dimostrato la provenienza nonché la rilevanza fiscale delle fonti finanziarie connesse alle spese sostenute e non ha integrato l’onere della prova posto a suo carico…”.
 
La vicenda processuale
I fatti oggetto della causa sono ben riassunti dal Collegio giudicante che, nella sentenza ha osservato, in primo luogo, che “in data 26/07/2011 l’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Ravenna, notificava alla Signora S. S., il questionario n…, ai sensi dell’art. 32, comma 1, n.4 del D.P.R. n. 600/73, al fine di raccogliere informazioni in relazione alla propria capacità contributiva, quali abitazioni, autovetture e incrementi patrimoniali rilevanti per i periodi d’imposta 2006 e 2008 e a dimostrazione, mediante idonea documentazione, la disponibilità nel periodo oggetto del controllo, di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, derivanti da disinvestimenti patrimoniali, finanziamenti bancari nonché la percezione di indennizzi, somme derivanti da eredità, vincite o da atti di liberalità”.
 
In particolare, dall’accurata e approfondita attività istruttoria dell’Agenzia delle Entrate e dalle risposte fornite dalla parte privata al questionario, emergeva che la contribuente, nel 2007, era in possesso di un immobile, di una autovettura di grossa cilindrata, di un fabbricato a uso ristorante acquistato nel 2006 per il corrispettivo di 330mila euro e di un’azienda acquistata per 60mila euro.
La stessa contribuente, per effettuare tali investimenti, aveva stipulato un contratto di mutuo presso una banca per il valore di 450mila euro per il quale, nell’anno 2007, sosteneva il pagamento delle rate di ammortamento di 1.500 euro mensili.
 
I giudici tributari hanno sottolineato, quindi, che “per l’Ufficio tali indici di capacità contributiva apparivano non coerenti con il reddito imponibile dichiarato dalla contribuente e pertanto procede alla determinazione sintetica del reddito imponibile ed accerta, per l’anno 2007, ai sensi dell’art. 38, commi 4, 5 e 6, del D.P.R. n. 600/73, il reddito di € 38.291,00, a fronte di un reddito dichiarato di € 6.944,00, da recuperare a tassazione ai fini delle imposte dirette”.
 
L’avviso di accertamento, emesso dall’ufficio, veniva impugnato dalla parte privata davanti alla Commissione tributaria provinciale sulla base di una presunta illegittimità e infondatezza. Più in dettaglio, il ricorrente ne chiedeva l’annullamento, cercando di dimostrare “a mezzo di e/c allegato in atti che il maggior reddito accertato dall’Ufficio proveniva da: 1) donazione ricevuta di € 30.000,00, quale ripartizione del ricavato della vendita di un immobile da parte della madre, deceduta in data 10/09/2009; 2) bonifico mensile effettuato da parte del Sig. S. G. per contribuire al mantenimento del figlio; 3) smobilizzo di investimenti in titoli in data 19/02/2007, 13/07/2007 e 20/11/2007 e accreditati in C/C per diverse decine di migliaia di Euro”.
 
L’Agenzia delle Entrate, successivamente, si costituiva in giudizio con analitiche controdeduzioni, nelle quali rivendicava la fondatezza e la legittimità del proprio operato.
In primo luogo, l’ufficio rappresentava che la norma (vigente dizione dell’articolo 38) posta alla base della propria attività accertativa prevedeva la possibilità di “procedere all’accertamento nel caso in cui: il reddito accertabile determinato in base agli elementi indicatori di capacità contributiva si discosti da quello dichiarato per almeno un quarto il reddito dichiarato non risulti congruo rispetto agli elementi indicatori della capacità contributiva per due o più periodi di imposta…”.
In secondo luogo, l’Amministrazione finanziaria sosteneva che il contribuente “nel corso del procedimento per adesione, avrebbe dovuto produrre l’estratto conto integrale relativo all’anno di imposta oggetto del controllo, al fine di verificare che le somme confluite sul c/to titoli fossero rimaste nella sua disponibilità, così da poter essere utilizzate per il mantenimento dei beni in suo possesso; tali estratti conto, utili al fine del superamento della presunzione della capacità di spesa correlata alle spese di gestione sostenute dalla ricorrente, non sono mai stati prodotti”.
 
L’ufficio finanziario nelle proprie controdeduzioni affermava, inoltre, che, come ribadito ripetutamente dalla Corte di cassazione, il contribuente al quale è stato notificato un avviso di accertamento sintetico è sempre ammesso a fornire la prova contraria, precisando comunque che la stessa deve essere convincente.
In conclusione, l’Amministrazione chiedeva il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese giudiziali.
 
Accertamento sintetico: presunzione legale relativa
La Commissione tributaria, nella parte iniziale della motivazione, fornisce delle precisazioni sull’accertamento sintetico (ex articolo 38, comma 4 e seguenti, Dpr 600/1973, secondo la formulazione anteriore alla modifica apportata dall’articolo 22 del Dl 78/2010).
 
In primo luogo, il Collegio giudicante sottolinea che “il ricorso in esame deriva dall’impugnazione di un avviso di accertamento scaturente dall’attività di verifica posta in essere dall’Ufficio ai sensi dell’art. 38, comma quarto e seguenti del D.P.R. 600/73, meglio conosciuto come ‘redditometro’, ovverosia la possibilità dell’Amministrazione Finanziaria di poter determinare sinteticamente il reddito complessivo netto delle persone fisiche, sulla scorta di elementi e circostanze di fatto certi prescindendo dalla dichiarazione presentata. Attraverso Decreto del Ministero delle finanze vengono stabilite le modalità mediante cui può avvenire tale determinazione induttiva e ciò, qualora il reddito così ottenuto, si discosti di almeno un quarto (cosiddetta non congruità) per due o più periodi di imposta da quello dichiarato dal contribuente”. La Cassazione ha chiarito che lo scostamento può riguardare anche periodi di imposta non consecutivi (cfr Cassazione, sentenza 237/2009).
 
In secondo luogo, i giudici tributari si sono soffermati sull’efficacia probatoria da attribuire all’accertamento sintetico, nonché sul sistema delle garanzie riconosciute dall’ordinamento tributario ai destinatari dell’atto impositivo. Riguardo quest’ultimo aspetto, la Commissione precisa che la tutela di cui godono tali contribuenti è riconosciuta “mediante la previsione della possibilità di poter dimostrare – così come previsto dall’art. 38, comma 6, D.P.R. 600/73 – all’Amministrazione Finanziaria l’infondatezza delle presunzioni legali relative – ex art. 2728 c.c. – e dunque l’inesistenza, o minor esistenza, di quanto sinteticamente accertato, a fronte di prove giustificative concrete, a dimostrazione che il reddito può essere frutto di disinvestimenti patrimoniali o indennizzi non ‘entrati’ in dichiarazione (cfr Cassazione, sentenze nn. 3316/2009 e 16472/2008)”.
 
Riguardo all’efficacia probatoria da attribuirsi all’attività accertativa operata con metodo sintetico, quindi, il Collegio giudicante attribuisce a tale accertamento il valore di presunzione legale relativa.
 
Anche la Suprema corte, con la sentenza n. 16832/2014, ha affermato che la disponibilità in capo al contribuente dei beni considerati dal “vecchio” redditometro “…costituisce, quindi, una presunzione di ‘capacità contributiva’ da qualificare ‘legale’ ai sensi dell’art. 2728 cod. civ., perché è la stessa legge che impone di ritenere conseguente al fatto (certo) di tale disponibilità la esistenza di una capacità contributiva ” (vedi anche Cassazione, sentenze 14168/2012, 2726/2011, 27545/2011, 9549/2011, 16284/2007, 14367/2007 e 19252/2005).
 
Eccezioni di merito del ricorrente
I giudici tributari, poi, nella parte centrale della motivazione della sentenza, hanno analizzato le eccezioni di merito sollevate dal contribuente, ritenendole del tutto “infondate ed inconferenti rispetto alla questione controversa”.
 
Più in dettaglio, la Commissione ha osservato che:
1) la donazione di € 30.000,00 che la Signora S. avrebbe ricevuto dal ricavato della vendita di un non meglio precisato immobile, da parte della madre, deceduta nel 2009, si ricava da un e/c (n.3) allegato al ricorso, relativo ad un c/c di cui non è dato conoscere il titolare e, comunque detta somma non risulta che corrisponda alla donazione, ed inoltre nel c/c nello stesso giorno risulta un bonifico in uscita, per l’importo di € 25.000,00; la stessa Corte di Cassazione con sentenza depositata il 20/06/2014, n. 14063 in un caso simile, afferma che: ‘…il contribuente che si oppone all’accertamento sintetico, giustificando la maggiore capacità contributiva con elargizioni ricevute da un genitore, è tenuto a provare in giudizio tale circostanza, servendosi di idonea documentazione…consentendo così al giudice di ritenere l’esistenza dell’atto di liberalità, quindi di annullare l’accertamento’. Nel nostro caso di specie, la parte non documenta la veridicità di quanto afferma.
2) La parte ricorrente si trova nel c/c dei bonifici mensili effettuati da parte del Sig. S. G. per contribuire al mantenimento del figlio S. G., pari ad € 234,76, per un totale di € 2.817,12 all’anno, trattasi di importi modesti destinati a soddisfare le esigenze quotidiane di un bambino di 13 anni.
3) Con riferimento allo smobilizzo di investimenti in titoli in data 19/02/2007, 13/07/2007 e 20/11/2007 e accreditati in c/c a titolo di rimborso fondi comuni per diverse decine di migliaia di Euro, osserva che detta documentazione è priva di efficacia probatoria, trattandosi di un semplice ‘collage’, da cui risultano leggibili solo le operazioni che la ricorrente ha interesse a rendere note, mentre tutte le altre operazioni sono state omesse. Anche in questo caso la parte non documenta la veridicità di quanto afferma”.
 
Il Collegio giudicante, dunque, sostiene la piena legittimità dell’operato dell’ufficio.
 
Nessuna prova contro il maggior reddito accertato
La commissione tributaria provinciale, infine, sottolinea che, nel caso in esame, il contribuente non ha fornito alcuna prova che possa contestare la determinazione sintetica del reddito.
Di conseguenza, l’operato dell’Amministrazione finanziaria deve considerarsi pienamente legittimo “poiché la Sig.ra S. non aveva dimostrato la rilevanza fiscale delle fonti finanziarie, atti a dimostrare documentalmente che il maggior reddito accertabile sinteticamente traesse origine da fonti finanziarie irrilevanti quali redditi esenti o assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta oppure somme originate da disinvestimenti, connesse alle spese contestate, l’Ufficio provvedeva ad accertare in via sintetica il reddito imponibile per l’anno 2007, in quanto gli elementi rivelatori di capacità contributiva non apparivano compatibili con il reddito dichiarato ed il reddito accertabile ex art. 38, comma 4, D.P.R. n. 600/73 visto che si discostava di oltre un quarto da quello dichiarato per due periodi di imposta ( 2006 – 2008 ) realizzandosi così i presupposti per l’accertamento sintetico previsti dalla normativa”.
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