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Giurisprudenza

Valido l’avviso di accertamento
per la detrazione di costi non inerenti

È corretto l’operato dell’ufficio che recupera a tassazione le provvigioni per le quali manca documentazione idonea a dimostrare la certezza e la determinabilità della spesa

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Il contribuente è tenuto a provare l’esistenza, l’inerenza e, se contestata dall’Amministrazione finanziaria, la coerenza economica dei costi deducibili, come quelli legati a ristoranti e hotel o consulenze legali e professionali, non essendo sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore. È, in sintesi, la conclusione dell’ordinanza della Cassazione n. 17701 del 2 luglio 2019.
 
La vicenda trae origine dall’avviso di accertamento notificato alla società contribuente, con il quale l’Agenzia delle entrate riprendeva a tassazione maggior reddito imponibile per costi non inerenti relativi a “provvigioni passive”, “spese per trasporti e viaggi”, “consulenza per sicurezza lavoro”, “affitto sede” e “consulenze legali e professionali”, nonché spese non documentate relative a “consulenze tecniche” e “consulenze legali e professionali”.
 
La società impugnava l’avviso di accertamento dinnanzi la Commissione tributaria provinciale che accoglieva, in parte, il ricorso ritenendo, tra l’altro, detraibile, in applicazione del principio di neutralità dell’Iva intracomunitaria, l’Iva relativa alle provvigioni.
L’ufficio e la contribuente ricorrevano in appello. La Commissione tributaria regionale annullava il recupero relativo alle provvigioni passive, per spese legate a ristoranti e hotel, per consulenze legali e professionali; accoglieva, altresì, in parte, l’appello dell’Ufficio, dichiarando legittimo il recupero del costo relativo alle provvigioni passive e non dovuta, in quanto non detraibile, l’Iva relativa, confermando per il resto la sentenza impugnata.
Avverso la suddetta decisione la società propone ricorso in Cassazione per violazione e falsa applicazione dell’articolo 109 del Dpr 917/1986. L’Agenzia propone ricorso incidentale.
 
Pronuncia della Cassazione
La Suprema corte, decidendo la controversia in esame, ha confermato la correttezza dell’operato dell’Ufficio nel recupero a tassazione relativo alle provvigioni per le quali manca documentazione idonea a dimostrare la certezza e determinabilità del costo.
La stessa Ctr, correttamente – a parere della Cassazione - ha sostenuto che “pur ammettendo che il servizio di marketing, ricerche di mercato, assistenza commerciale, partecipazione a fiere, fornito alla contribuente venisse retribuito, a termini di contratto, con una percentuale forfettaria del fatturato della zona di competenza o, in un secondo momento, con una somma forfettaria mensile oltre a premi e incentivi determinati volta per volta, e che quindi non si trattasse nel caso di provvigioni in senso proprio, risulta comunque anomalo che la società contribuente, in relazione ad un contratto che ha comportato un notevole impegno finanziario, non sia stata in grado di documentare le attività rese dalla società di servizi a fronte del compenso versato”.
 
Tutto ciò in coerenza con la costante giurisprudenza della Cassazione secondo la quale “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, spetta al contribuente l’onere della prova dell’esistenza, dell’inerenza e, ove contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi deducibili” e, a tal fine, non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa (Cassazione n. 13300/2017).
 
In riferimento alla indetraibilità dell’Iva relativa all’operazione per la quale non è stato riconosciuto il costo per provvigioni passive, i giudici di legittimità sostengono che la ripresa dell’imposta, indebitamente detratta, si basa sulla riscontrata mancanza della documentazione giustificativa dei costi per provvigioni e sul conseguente mancato riconoscimento della spesa. Inoltre, il diritto alla detrazione è connesso alla effettività dell’operazione (requisito sostanziale) e non può essere subordinato ad adempimenti e obblighi meramente formali.
 
Infatti, la detrazione di cui all’articolo 19 del Dpr 633/1972 non si ricollega alla formale corresponsione dell’imposta, che il soggetto passivo afferma a sua volta assolta o dovuta per l’acquisto di beni o servizi nell’esercizio dell’impresa, ma richiede che l’Iva sia effettivamente dovuta, e cioè che tale imposta corrisponda a operazioni realmente poste in essere (Cfr Corte di giustizia, sentenza 13 dicembre 1989, C- 342/87).
 
La Suprema corte affronta le questioni sollevate dall’Agenzie della entrate, nel ricorso incidentale, in merito alle voci di spesa concernenti le provvigioni (corrisposte in misura superiore a quella maturata in adempimento del contratto in assenza di qualsiasi giustificazione), le spese per ristoranti ed hotel (in alcun modo riferibili all’attività della società, dato che il documento giustificativo di spesa non consentiva di determinare l’inerenza del costo all’attività d’azienda), le consulenze legali e professioniali sostenute nell’anno precedente, le consulenze per la sicurezza sul lavoro.
 
La Cassazione accoglie le doglianze dell’Ufficio, sostenendo che in assenza di qualsiasi prova offerta dalla contribuente, ha errato la Commissione tributaria regionale nel ritenere deducibile il costo sul presupposto che apparisse “verosimile” (nel caso delle provviggioni) o “credibile” (nell’ipotesi di spese per ristoranti e hotel).
 
Infatti, la mancanza di qualsiasi documentazione giustificativa, dalla quale poter desumere l’ammontare delle provvigioni effettivamente corrisposte o delle spese per ristoranti ed hotel effettivamente sostenute, impedisce la detrazione del costo, perché non risultano soddisfatti i requisiti di certezza e oggettiva determinabilità richiesti dall’articolo 109 del Tuir.
 
La Commissione, quindi,  in difetto di qualsiasi documento giustificativo della spesa e di prova della inerenza del costo all’attività d’impresa, non ha fatto corretta applicazione dell’articolo 109, laddove si è limitata ad affermare che risulta credibile, secondo la prassi del commercio, che la relativa spesa, effettuata valendosi delle carte di credito aziendale, sia stata legata da ragioni di accoglienza ed ospitalità di clienti, e quindi attinente all’attività aziendale.
 
Quanto, inoltre, al recupero a tassazione dell’importo relativo a consulenze legali e professionali, va ribadito che “in tema di imposte sui redditi, i costi relativi a prestazioni di servizio sono, a norma dell’art. 109, comma 2, del d.P.R. n. 917/1986, di competenza dell'esercizio in cui le prestazioni medesime sono ultimate, senza che abbia rilievo alcuno il momento in cui viene emessa la relativa fattura o effettuato il pagamento” (Cassazione n. 27296/2014).

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