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Giurisprudenza

Per valutare le partecipazioni in società, valgono i criteri omogenei

A questa conclusione è pervenuta la Corte di Giustizia con la sentenza pronunziata a conclusione del procedimento C-360/06

La controversia concerne una società di capitali non quotata in Borsa, il cui capitale è interamente detenuto dalla società madre. La società di capitali detiene partecipazioni in società straniere in accomandita semplice con sede in Spagna e Austria. La sentenza pronunziata il 2 ottobre dalla Corte di Giustizia, a definizione del procedimento C-360/06, concerne la compatibilità con il diritto comunitario delle disposizioni dell’ordinamento tributario tedesco nella parte in cui prevedono l’utilizzo di criteri di calcolo più svantaggiosi per determinare il valore delle partecipazioni detenute dalle società nazionali in società aventi sede in altro Stato membro e, ovviamente, non quotate in borsa. Più esattamente è stata sollevata dal giudice nazionale, a seguito di una controversia innescata dal ricorso proposto da una società di diritto tedesco, la "HBV", l’eccezione di incompatibilità con il principio di libertà di stabilimento di cui agli articoli 52 e 58 del Trattato in quanto, nel determinare la base imponibile dell’imposta sul patrimonio delle società non quotate in borsa, il diritto tedesco utilizza due distinti metodi di calcolo. Difatti, se la partecipazione delle predette società di capitali è detenuta in una società di persona nazionale, la valutazione viene operata esclusivamente in base al valore del patrimonio di queste ultime. Se, invece, la partecipazione è detenuta in società di persone straniere, l’ordinamento tributario tedesco tiene conto non soltanto del valore patrimoniale delle stesse ma anche della redditività futura.

I protagonisti della controversia
La controversia concerne la predetta "HBV", società di capitali non quotata in borsa, il cui capitale è interamente detenuto dalla società madre, "HB". La "HBV" detiene partecipazioni in società straniere in accomandita semplice aventi sede in Spagna e in Austria. Per stabilire il valore delle quote detenute dalla "HBV" nell’esercizio relativo all’anno di imposta 1988, il fisco tedesco, per applicare l’imposta sul patrimonio, ha determinato il valore delle partecipazioni nelle società straniere tenendo conto non soltanto del loro valore intrinseco ma inserendo nel computo anche il valore potenziale espresso dai loro previsti utili futuri.

L’intervento della Corte europea
Il contenzioso che ne è scaturito è stato devoluto all’attenzione dei giudici comunitari per stabilire se la normativa contestata è suscettibile di creare un "vulnus" nell’ambito dell’ordinamento comunitario con riferimento, in particolare, ai principi della libertà di circolazione dei capitali e di stabilimento. In via preliminare la Corte ha osservato che la materia delle imposte dirette non è stata finora oggetto di piena armonizzazione a livello comunitario, rientrando la stessa nelle competenze dei singoli ordinamenti nazionali. Ciò non comporta, tuttavia, che gli Stati membri non siano tenuti a esercitare la competenza predetta nel rispetto del diritto comunitario, astenendosi, in particolare, da qualsiasi trattamento discriminatorio fondato sulla cittadinanza e/o residenza.

Il giudizio di merito
Passando al merito della questione, i giudici rilevano che all’epoca dei fatti della causa (1988), la Repubblica austriaca non faceva ancora parte della Comunità europea. Ne consegue che alcuno dei principi invocati, segnatamente libertà di stabilimento e di circolazione dei capitali, poteva risultare applicabile per quanto concerne la valutazione delle quote possedute dalla ricorrente nel patrimonio della partecipata austriaca. Per quanto, invece, concerne l’accertamento della effettiva violazione degli anzidetti principi con riferimento alle partecipazioni detenute dalla ricorrente nella società con sede in Spagna, i giudici rilevano che spetta al giudice del rinvio accertare se le partecipazioni detenute dalla ricorrente nella società spagnola siano di tale rilevanza da attribuire alla ricorrente "la sicura influenza sulle decisioni di tale società e da consentirle di indirizzarne le attività".

Disposizioni comunitarie e nazionali
Difatti, per costante giurisprudenza, rientrano nel campo di applicazione delle disposizioni comunitarie relative alla libertà di stabilimento, le disposizioni nazionali che si applicano alla detenzione da parte di una società nazionale di partecipazioni nel capitale di società residente in altro Stato in misura tale da attribuirle un potere decisionale nei termini sopra fissati. Ove ricorra tale condizione (il cui accertamento è demandato al giudice a quo), i giudici comunitari rilevano che i criteri di valutazione adottati dall’ordinamento tedesco sono certamente più penalizzanti con riferimento alle partecipazioni detenute in società straniere anziché in società nazionali. Tale discrimen è suscettibile di orientare negativamente le scelte degli investitori, favorendo la scelta di partecipazione in società nazionali.

La posizione degli eurogiudici
A parere della Corte, tale atteggiamento discriminatorio non trova una giustificazione, contrariamente a quanto asserito dal governo tedesco, in ragioni di ordine pratico, che consistono nella difficoltà di procedere alla determinazione del valore delle anzidette partecipazioni. Difatti, a tal proposito, i giudici osservano che l’ordinamento comunitario garantisce sufficienti strumenti di cooperazione per lo scambio di informazioni tra gli Stati membri. E, quando anche si volesse opporre che la direttiva relativa allo scambio di informazioni non si applica alla questione in oggetto, le autorità fiscali potrebbero rivolgersi direttamente ai contribuenti interessati per ottenere gli elementi ritenuti necessari per procedere al calcolo del valore delle partecipazioni da essi detenute in società residenti in altri Stati UE. Pertanto, a giudizio della Corte, le disposizioni oggetto di contestazione conducono effettivamente a un trattamento discriminatorio che non trova alcuna giustificazione in pretese esigenze di "coerenza del sistema fiscale". Tuttavia, concludono i giudici, le disposizioni del Trattato inerenti la "soppressione delle restrizioni ai movimenti di capitali" (come quelle in oggetto) sono in concreto intervenute soltanto in forza della direttiva 88/361/CEE che avrebbe dovuto essere trasposta nell’ordinamento nazionale entro il 1° luglio 1990 e, cioè, dopo il periodo in cui si sono svolti i fatti oggetto di questa controversia.
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