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Giurisprudenza

Vanno motivati i comportamenti antieconomici

Se il contribuente non fornisce una giustificazione razionale della propria scelta è legittima la rettifica dell'ufficio pur in presenza di contabilità formalmente corretta

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L'ufficio finanziario notificava a una Srl un avviso di rettifica della dichiarazione Iva, con il quale recuperava le imposte dovute in relazione a vendite non fatturate al reale acquirente, ma a soggetti esportatori abituali.
Ciò aveva consentito un indebito beneficio dell'esenzione d'imposta di cui all'articolo 8, comma 2, del Dpr n. 633/1972.
Inoltre, l'ufficio disconosceva le detrazioni relative a fatture passive ritenute false.
La Srl presentava ricorso avverso l'avviso di accertamento.
La Commissione tributaria adita in primo grado accoglieva il ricorso, mentre la Commissione tributaria regionale accoglieva l'appello presentato dall'ufficio.

Presenta ricorso per cassazione la Srl, lamentando la violazione e falsa applicazione delle regole sull'onere della prova, in quanto, in presenza della corretta tenuta delle scritture contabili, l'Amministrazione finanziaria avrebbe dovuto fornire la prova della falsità delle fatture contestate.
Inoltre, la ricorrente eccepisce la carenza di motivazione della sentenza impugnata e l'assenza di indizi, gravi, precisi e concordanti, idonei a legittimare i recuperi d'imposta in contestazione.

I giudici di legittimità, con la sentenza de qua, hanno respinto il ricorso del contribuente, ribadendo due principi più volte affermati dalla stessa Corte di cassazione:

  1. la tenuta della contabilità in maniera formalmente regolare non è di ostacolo alla rettifica delle dichiarazioni fiscali (cfr. Cass. civ. n. 13995/2002). Più specificatamente, deve ritenersi legittima la rettifica operata dall'ufficio quando, in presenza di una contabilità formalmente corretta, essa possa essere considerata inattendibile in relazione all'"antieconomicità" del comportamento del contribuente
  2. in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell'economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo, è legittimo l'accertamento operato dall'ufficio finanziario (cfr. Cass. 10802/2002, 7680/2002, 7487/2002, 6337/2002, 11645/2001, 1821/2001).

Nella specie, la Corte suprema ha ritenuto sufficientemente motivata la sentenza di secondo grado, la quale si reggeva sulla chiara considerazione che "le operazioni contestate non seguivano la logica del profitto, anzi erano prive di una valida ragione economica che neppure la società era stata in grado di indicare, restando trincerata sulla legittimità formale del suo operato".
In altri termini, dalla motivazione della sentenza emessa dai giudici di appello, emergeva, in modo inconfutabile, in punto di fatto, che le operazioni ritenute false erano state poste in essere dalla società ricorrente al solo fine di evadere gli obblighi tributari e che la stessa parte ricorrente non aveva saputo dare una giustificazione al proprio comportamento.

E' utile, in argomento, evidenziare che il principio in base al quale colui che ha posto in essere un comportamento antieconomico ha l'onere di fornire una giustificazione razionale della propria scelta, trova conferma, con specifico riferimento alla materia delle II.DD., nella disposizione secondo cui "sono inopponibili all'Amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario" (articolo 37-bis del Dpr 600/73).
Pertanto, è onere del contribuente motivare le scelte che non sono in linea con i criteri di gestione economica della propria attività, ovvero quelle scelte che appaiono incomprensibili in base ai normali criteri di valutazione.

A tal proposito, deve essere precisato che costituisce ormai principio consolidato della giurisprudenza della Corte di cassazione ritenere che, se è vero - in tema di accertamento sia delle imposte sui redditi che Iva - che spetta all'Amministrazione finanziaria, nel quadro dei generali principi che governano l'onere della prova, dimostrare "l'esistenza dei fatti costitutivi della maggiore pretesa tributaria azionata, fornendo quindi la prova di elementi e circostanze a suo avviso rivelatori dell'esistenza di un maggiore imponibile, è altrettanto vero che il contribuente, il quale intenda contestare la capacità dimostrativa di quei fatti, oppure sostenere l'esistenza di circostanze modificative o estintive dei medesimi, deve a sua volta dimostrare gli elementi sui quali le sue eccezioni si fondano" (cfr. Cass. n. 10802 del 24/07/2002, parte 2).

Di conseguenza, ne deriva, a parere dei giudici di legittimità, che "in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell'economia che il contribuente non spieghi in alcun modo, o che giustifichi in maniera non convincente, i giudici di merito, per annullare l'accertamento, devono specificare, con argomenti validi, le ragioni per le quali ritengono che l'antieconomicità del comportamento del contribuente non sia sintomatico di possibili violazioni di disposizioni tributarie".
Pertanto, considerato, invece, che la sentenza emessa dai giudici di appello si reggeva sul riconoscimento che le operazioni ritenute false non avevano alcuna logica economica e sulla considerazione che la società che aveva posto in essere il comportamento antieconomico non aveva fornito una giustificazione razionale della propria scelta, la Corte suprema ha ritenuto legittima la rettifica operata dall'Amministrazione finanziaria pur in presenza di una contabilità formalmente corretta.

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