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Giurisprudenza

Vendita fittizia di quote societarie:
c’è reato di omessa dichiarazione

Non è stata provata nemmeno la qualità di imprenditore del cessionario, che peraltro acquistava, in quel momento, una compagine senza alcun immobile e con un rilevante debito

Il reato di omessa dichiarazione dei redditi o Iva, pur essendo un delitto omissivo proprio che può essere commesso solo da chi è obbligato alla presentazione, non si sottrae alle regole generali che disciplinano il concorso di persone nel reato. Ne consegue che, quando colui che vi è obbligato non provvede all’adempimento perché istigato o rafforzato nelle sue intenzioni o in attuazione di un accordo intercorso con il concorrente, anche quest’ultimo risponde del medesimo reato.
A evidenziare il principio, la Corte di cassazione, con la sentenza n. 3082 del 23 gennaio 2017.

Evoluzione processuale della vicenda
La vicenda trae origine dalla contestazione – all’amministratore di una società – di azioni poste in essere al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, attraverso la sottovalutazione degli elementi attivi e la sopravalutazione di quelli passivi nella dichiarazione, per importi superiori a quelli determinati per la tolleranza.
La sentenza del Tribunale di primo grado viene parzialmente riformata in Corte d’appello che, pur confermando la condanna inflitta nei confronti del ricorrente, ne riduce la pena della reclusione.

Il contribuente ricorre in Cassazione, impugnando la sentenza del giudice di secondo grado per i seguenti quattro motivi di gravame:
  1. omessa valutazione della documentazione prodotta dalla difesa, nel corso del giudizio di primo grado, e attestante la veridicità degli elementi passivi indicati in dichiarazione
  2. mancata valutazione della documentazione acquisita, attestante la effettività della cessione delle quote societarie trasmesse al nuovo acquirente
  3. mancata valutazione di un punto decisivo per il giudizio relativo all’esatta quantificazione dell’imposta evasa, nonché l’inosservanza e l’erronea applicazione del disposto dell’articolo 4 del Dlgs 74/2000, in ordine alla soglia minima di punibilità (articolo 606, comma 1, lettere b) ed e), del codice di procedura penale)
  4. mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alle ragioni addotte a sostegno del diniego delle circostanze attenuanti generiche di cui all’articolo 62-bis del codice penale (articolo 606, comma 1, lettera e), cpp).
Pronuncia della Cassazione – Ius superveniens e imposte diverse
La Corte suprema, adita nella soluzione della controversia, ribadisce il principio secondo il quale, in tema di “reato di dichiarazione infedele”, il disposto dell’articolo 4, comma 1, lettera a), del Dlgs 158/2015, in continuità normativa con il dettato di cui all’articolo 4 del Dlgs 74/2000, è più favorevole all’imputato, avendo la nuova disciplina innalzato le soglie di punibilità.
Ai fini dell’integrazione della fattispecie incriminatrice, la responsabilità penale può ritenersi accertata solo quando, in relazione a ogni singola imposta evasa, siano superate entrambe le soglie di punibilità, previste congiuntamente come elemento costitutivo del reato, dell’imposta evasa e dell’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti.
Ne consegue che, nel caso di evasione di imposte diverse, il superamento, relativamente a entrambe, della soglia quantitativa e della soglia percentuale, dà luogo a un concorso di reati.
Nel caso di specie, non risulta integrata, a seguito dello ius superveniens, la soglia di punibilità quantitativa con la conseguenza che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.

Pronuncia della Cassazione – La cessione della “scatola vuota”
A giudizio della Cassazione, nel caso di specie, correttamente la Corte territoriale ha chiarito come la responsabilità del ricorrente fosse attribuibile a titolo di concorso per la condotta di agevolazione realizzata tenuto conto del fatto che, alla data della scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione annuale ai fini dell’Iva e delle imposte dirette, il ricorrente fosse cessato dalla carica di amministratore della società.
Inoltre, la Corte di appello aveva affermato come l’atto di cessione presentasse profili peculiari, in quanto veniva sostanzialmente venduta una società che era una sorta di “scatola vuota”, senza alcun attivo e, per di più, in presenza di un cospicuo debito.

Infatti, in relazione alla cessione e in concomitanza con la stipulazione dell’atto, risultava versata, da parte dell’acquirente, la somma di 10mila euro, quale compenso per la cessione stessa.
Inoltre, il passaggio di proprietà era palesemente fittizio, non essendo provata nemmeno la qualità di imprenditore del cessionario, che peraltro acquistava, in quel momento, una società senza alcun immobile e con un rilevante debito, oltre a un contenzioso in atto relativo alla vendita di terreni.

Da ciò, i giudici del merito hanno tratto logico argomento per ritenere la natura fittizia della cessione, rilevando che, in relazione all’omessa dichiarazione, il reato, pur consumandosi nel 2009, riguardava i redditi del 2008, quando cioè l’imputato ricopriva pieno iure l’incarico di amministratore della società.
Alla stregua di ciò, la documentazione postuma fornita dal ricorrente – a fronte di quella ufficiale non rinvenuta (che si sarebbe dovuta conservare e che, al momento della cessione della società, il cedente avrebbe dovuto trasmettere al cessionario) – è stata logicamente ritenuta del tutto inattendibile.

In conclusione, a giudizio della Corte suprema, la sentenza impugnata ha correttamente evidenziato come “il reato di omessa dichiarazione dei redditi o Iva, pur essendo un delitto omissivo proprio, che può essere commesso solo da chi, secondo la legislazione fiscale, è obbligato alla relativa presentazione, non si sottrae alle regole generali che disciplinano il concorso di persone nel reato, con la conseguenza che, quando colui che vi è obbligato abbia omesso di presentare la dichiarazione perché istigato o rafforzato nelle sue intenzioni o in attuazione di un accordo intercorso con il concorrente, anche quest’ultimo, benché privo della qualifica soggettiva richiesta per l’integrazione della fattispecie incriminatrice, risponde del medesimo reato”.
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