Articolo pubblicato su FiscoOggi (https://fiscooggi.it/)

Giurisprudenza

Vendite “franco fabbrica”,
al cedente la prova della buona fede

Non può fruire dell’esenzione Iva se non dimostra l’effettiva presenza della merce nel paese del cessionario o quantomeno di essersi attivato per reperire il documento presso terzi

immagine generica

In tema di Iva, nel caso in cui l'Amministrazione finanziaria contesti, recuperando l'imposta non versata, la non imponibilità della cessione intracomunitaria di beni a titolo oneroso, per difetto del presupposto dell'introduzione dei beni ceduti nei territorio di un altro Stato membro, grava sul cedente la prova dei fatti costitutivi del diritto, che intende far valere in giudizio, di fruire della deroga agevolativa rispetto al normale regime impositivo, occorrendo dimostrare l'effettiva movimentazione  dei beni ceduti nel territorio dello Stato membro in cui il cessionario è soggetto d’imposta. Lo ha ribadito la Cassazione nell’ordinanza n. 31201 del 21 ottobre 2022.

I fatti
L'Agenzia delle entrate ha notificato cinque avvisi di accertamento ad una Spa che si occupa di fabbricazione di articoli in materie plastico. Con tali atti, relativi agli anni d’imposta 2004 - 2008, l’Agenzia ha contestato, tra l’altro, l'illegittima applicazione del regime di non imponibilità per le cessioni intracomunitarie in difetto dei requisiti richiesti dall’articolo 41, Dl n. 441/1993, irrogando le conseguenti sanzioni. La società ha proposto separati ricorsi, riuniti e rigettati dal giudice di primo grado e successivamente anche in secondo grado. Anche in appello la contribuente ha sostenuto che i presupposti per usufruire del regime di non impunibilità (status di soggetto passivo Iva dell'acquirente Ue e trasferimento dei beni in altro paese comunitario) erano stati rispettati. Dal canto suo, l’Ufficio ha ribadito la legittimità del recupero d’imposta in relazione alle cessioni intracomunitarie sia poiché la società aveva intrattenuto rapporti commerciali con società inattive, sia poiché non era stata provata l'uscita della merce dal confine nazionale.

La Ctr ha respinto l’appello ribadendo che, ex articolo 41, Dl n.331, presupposto per la non imponibilità delle operazioni intracomunitarie è che si tratti di «beni trasportati o spediti nel territorio di altro Stato membro» e per i quali occorre «la prova dell'effettiva destinazione dei beni ceduti nel territorio dello Stato membro in cui il cessionario è soggetto di imposta». In particolare il giudice di secondo grado ha affermato che, nella fattispecie, dai documenti di trasporto prodotti in giudizio si evinceva soltanto che le cessioni avvenivano "franco fabbrica", mentre non era stata fornita la prova che la merce fosse stata "fisicamente” trasportata all'estero, mancando apposita documentazione doganale o quanto meno una vidimazione doganale apposta sui documenti di trasporto.
La contribuente ha proposto ricorso per Cassazione lamentando omessa motivazione o motivazione apparente circa la questione della prova del trasferimento della merce presso il paese di destinazione, non avendo la sentenza impugnata precisato: quale prova la contribuente avrebbe dovuto fornire; la ragione per la quale la prova fornita era carente; soprattutto, quale ulteriore prova documentale avrebbe dovuto essere prodotta.

La Corte ha ritenuto il motivo infondato: la Ctr, infatti, aveva accertato che non era stata fornita la prova dell'effettiva destinazione dei beni ceduti nel territorio delle Stato membro in cui il cessionario era soggetto d’imposta, in quanto dalla documentazione prodotta si evinceva unicamente che la cessione era stata compiuta con la clausola "franco fabbrica", ma non era stata data la prova del trasporto "fisico" della merce nello stato di destinazione, mancando apposita documentazione che la comprovasse. Di conseguenza «la questione dell'effettivo trasferimento della merce nel Paese di destinazione è stata espressamente esaminata dal giudice del gravame» e, quindi, «non può… ragionarsi in termini di motivazione apparente, avendo chiaramente il giudice del gravame esposto l'argomento logico giuridico seguito». (Cassazione, n. 31201/2022).

Osservazioni
La Cassazione è stata chiamata ancora una volta a pronunciarsi in materia di prova del trasporto dei beni fuori dal territorio dello Stato del cedente nel caso di cessioni intracomunitarie “franco fabbrica”, quando cioè l’onere di effettuare il trasporto e i rischi di perdita o di sottrazione della merce sono a carico del cessionario acquirente o di un terzo per suo conto e il cedente, non curando direttamente la fase del trasporto, può non avere documentata certezza che i beni ceduti siano stati materialmente trasferiti al cessionario nello Stato membro di destinazione.
Al riguardo la Corte ha precisato che, «in caso di cessione intracomunitaria avvenuta con la clausola ‘franco fabbrica’, il cedente ha diritto all'esenzione iva ove fornisca la prova documentale rappresentativa della effettiva dislocazione della merce nel territorio dello Stato membro di destinazione o di ‘fatti secondari’, da cui desumere la presenza delle merci in un territorio diverso dallo Stato di residenza, ovvero, se la documentazione sia in possesso di terzi non collaboranti e non sia acquisibile da altri soggetti, di aver espressamente concordato, nei contratti stipulati con vettore, spedizioniere e cessionario, l'obbligo di consegna del documento e, a fronte dell'altrui inadempimento, di aver esperito ogni utile iniziativa giudiziaria (Cass. civ., 12 febbraio 2019, n. 4045; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26062) ».

Nella fattispecie in esame, il giudice di secondo grado ha accertato che nessuna prova documentale era stata prodotta dalla ricorrente ai fini dell'effettiva presenza della merce nel paese del cessionario, né la contribuente aveva evidenziato che la documentazione idonea era nella disponibilità di terzi e di essersi adeguatamente attivata.


Di conseguenza, doveva ritenersi legittimo recuperare a tassazione la cessione non imponibile, con applicazione delle sanzioni correlate alla riscontrata irregolarità sostanziale poiché non risultava giustificata, da parte del cedente, l’emissione della fattura non imponibile ex articolo 46, comma 2, Dl n. 331/1993 non risultando avvenuto il trasferimento dei beni medesimi nel paese del cessionario.
Tali conclusioni risultano coerenti con le disposizioni unionali e nazionali in materia, con i principi giurisprudenziali e con i chiarimenti di prassi forniti dall’Agenzia delle entrate, soprattutto considerando che, in materia di cessioni intracomunitarie, né la direttiva Iva, né la norma nazionale individuano specifiche modalità con le quali i contribuenti possano provare l’uscita della merce dal territorio dello Stato.
L’articolo 138, direttiva n. 2006/112/Ce, modificato dal 1° gennaio 2020 dalla direttiva 2018/1910/Ue, nell’individuare le caratteristiche della cessione intracomunitaria non imponibile nel Paese di origine, aggiunge tra i requisiti sostanziali della cessione anche l’avvenuta iscrizione del cessionario nel Vies e che il cedente abbia rispettato l’obbligo di presentare l’elenco Intrastat o in tale elenco siano state riportate informazioni non corrette riguardanti la cessione, salvo che l’operatore non possa giustificare la violazione secondo modalità ritenute soddisfacenti dall’Amministrazione finanziaria.
Le modifiche unionali sono state recepite dal legislatore nazionale che, con l’articolo 1, comma 1, lettera b), Dlgs n. 192/2021, ha introdotto il comma 2-ter nell’articolo 41, Dl n. 331/1993.
Sulla base delle disposizioni normative citate, quindi, sono quindi non imponibili (“esenti”, secondo la direttiva) le cessioni: a) a titolo oneroso; b) con trasporto o spedizione nel territorio di un altro Stato membro dell’Unione europea; c) a favore di un altro soggetto passivo d’imposta (una persona fisica o giuridica che, come il cedente, agisce come operatore economico nel proprio Stato membro); d) a condizione che il destinatario sia incluso nel sistema di scambio di informazioni sull’Iva (Vies).
Nelle cessioni intracomunitarie, non imponibili nel paese del cedente, la tassazione Iva avviene nello Stato membro di destinazione a condizione che vi sia (anche) il trasporto o la spedizione dei beni in tale Stato.
Il trasferimento fisico dei beni in un altro Stato membro, quindi, rappresenta “condizione strutturale” della fattispecie agevolata sia per la giurisprudenza unionale (CG UE, C-146/05, C-184/05, C-409/04, C-430/09), sia per quella nazionale (Cassazione, sentenze nn. 13457/2012, 1670/2013, 12964/2013, 5142/2016 e 15871/2016), a prescindere dal fatto che il trasporto o la spedizione sia effettuato dal cedente nazionale, dal cessionario comunitario o da terzi per loro conto.
E, in mancanza di specifiche indicazioni normative sulla documentazione da produrre per provare tale condizione, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha chiarito che spetta agli Stati membri individuare i mezzi di prova idonei che il contribuente è tenuto a fornire al fine di dimostrare l’effettività delle cessioni intracomunitarie e, in particolare, l’invio dei beni ad un soggetto identificato ai fini Iva in altro Stato membro. L’unico limite imposto ai Paesi membri nell’individuazione dei mezzi di prova è rappresentato dal rispetto dei principi fondamentali del diritto comunitario, quali la neutralità dell’imposta, la certezza del diritto e la proporzionalità delle misure adottate (CG, C-146/05 e C-184/05).

Sul piano nazionale, in considerazione delle disposizioni normative, dei principi di diritto eurounitario, delle indicazioni fornite dall'Amministrazione finanziaria e del normale svolgimento delle transazioni commerciali, la Cassazione ha affermato che grava sul cedente ex articolo 2697 codice civile l'onere di dimostrare, con mezzi adeguati, tali da non lasciare dubbi, i presupposti della deroga al normale regime impositivo e, cioè, non solo la consegna della merce al vettore, ma anche l'effettività dell'esportazione in altro Stato membro e la propria buona fede (Cassazione, n. 7524/2016).

Con riferimento poi all’idoneità della documentazione prodotta dai contribuenti in fattispecie analoghe, i giudici di legittimità hanno ritenuto non dimostrativo del transito della merce l’affidamento del trasporto dei beni sulla base di semplici accordi verbali, senza formali contratti scritti (Cassazione, n. 308/2021), né la semplice verifica della validità del numero di partita Iva attribuito al cessionario da altro Stato membro  (Cassazione, n. 13457/2012), né la mera presentazione della lettera di vettura (Cassazione, n. 26062/2015).

Per provare il diritto alla non imponibilità Iva della cessione, infatti, il cedente deve produrre un documento rappresentativo della effettiva dislocazione della merce nel territorio dello Stato membro di destinazione (ad es. il documento di scarico, redatto secondo i modelli predisposti per il trasporto internazionale, sottoscritto dal destinatario) o fornire la prova anche di "fatti secondari" dai quali desumere la presenza fisica delle merci in un territorio diverso da quello dello Stato membro in cui è residente (ad esempio nel caso di trasporti stradali, le ricevute di pagamento,  recanti data, timbro ed indicazione del chilometraggio dell'automezzo, sottoscritte dal titolare della stazione di rifornimento carburante ubicata fuori del territorio di partenza ovvero nel territorio di destinazione delle merci). La Cassazione (sentenza n. 26062/2015),  soprattutto nelle cessioni “franco fabbrica”, nelle quali la disponibilità di tali documenti dovrà essere acquisita presso i soggetti terzi, ha affermato la necessità che il cedente fornisca adeguata prova della propria buona fede e della diligenza prestata, e in particolare: di aver espressamente dedotto in obbligazione, nei contratti stipulati con  vettore, spedizioniere, cessionario, l'obbligo di consegna della documentazione; di aver richiesto inutilmente l'adempimento di tale obbligazione, esperendo ove necessario le opportune iniziative giudiziarie; di non essere stato in grado di acquisire alcun altra documentazione neppure da soggetti diversi dal vettore e cessionario (ad esempio, dalla società assicuratrice con la quale ha stipulato polizza assicurativa del carico). Mentre può  escludersi che il cedente sia tenuto a svolgere attività investigative sulla movimentazione subita dai beni ceduti dopo che gli stessi siano stati consegnati al cessionario o al vettore incaricato, deve attribuirsi al cedente il dovere di impiegare la diligenza dell'operatore commerciale professionale per verificare le caratteristiche di affidabilità della controparte (Cassazione, n. 13457/2012), adottando comunque eventuali accorgimenti preventivi, in sede di stipula dei contratti o di contatti con la società cessionaria, volti a garantire l'acquisizione delle prove del trasferimento della merce (Cassazione, n. 178/2015). Qualora la documentazione sia in possesso di terzi comunque “non collaboranti” il cedente dovrà dimostrare «di aver espressamente concordato, nei contratti stipulati con vettore, spedizioniere e cessionario, l'obbligo di consegna del documento e, a fronte dell'altrui inadempimento, di aver esperito ogni utile iniziativa giudiziaria» (Cassazione, n. 5761/2021).

Proprio poiché la legge italiana non contiene una specifica previsione in merito ai documenti che il cedente deve conservare ed eventualmente esibire in caso di controllo per provare l'avvenuto trasferimento del bene in un altro Stato comunitario, l’Agenzia delle entrate è intervenuta più volte a fornire chiarimenti in materia (risoluzioni n. 345/2007, 477/2008, 19/2013, 71/2014 e 117/2020, risposta n. 100/2019). In sede unionale, il Regolamento Ue 2018/1912, dal 1° gennaio 2020, ha affrontato il tema dell'onere documentale riguardante le cessioni intracomunitarie introducendo l'articolo 45-bis nel Regolamento Ue n. 282/2011 e prevedendo una presunzione relativa all'avvenuto trasporto di beni in ambito comunitario qualora vi sia una specifica produzione documentale. Da ultimo la circolare n. 12/E/2020 (e la successiva risposta a interpello n. 141/2021) ha precisato che «allo stato, in tutti i casi in cui non si renda applicabile la presunzione di cui all'articolo 45-bis, possa continuare a trovare applicazione la prassi nazionale, anche adottata prima dell'entrata in vigore del medesimo articolo in tema di prova del trasporto intracomunitario dei beni», sempre che l’idoneità dei documenti prodotti per provare l'avvenuto trasporto comunitario abbia superato la valutazione, caso per caso, dell'Amministrazione finanziaria.

URL: https://www.fiscooggi.it/rubrica/giurisprudenza/articolo/vendite-franco-fabbrica-al-cedente-prova-della-buona-fede