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Giurisprudenza

Il verbale negativo non significa rinuncia all’istanza di adesione

La mancata previsione dell’esito sfavorevole del contraddittorio non viola il principio di ragionevolezza

In caso di presentazione dell’istanza di adesione (articolo 6, comma 2, Dlgs 218/1997), solo l’impugnazione dell’atto tributario e la rinuncia formale e irrevocabile all’istanza possono far cessare la sospensione dei termini per ricorrere in Commissione tributaria provinciale. Non anche il verbale con il quale le parti dichiarano che il procedimento di adesione si è concluso con esito negativo.
Lo ha stabilito la Corte costituzionale che, con ordinanza n. 140 del 15 aprile, ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità dell’articolo 6 del Dlgs 218/1997, sollevata in riferimento all’articolo 3 della Costituzione.
La mancata previsione dell’esito negativo del contraddittorio nel citato articolo 6 (tra i casi per i quali il termine ordinario di impugnazione riprende il suo decorso nonostante non siano ancora trascorsi i 90 giorni successivi all’istanza di adesione), infatti, non viola il principio di ragionevolezza.
 
La fattispecie
La questione è stata sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Milano nel corso dei giudizi riuniti, promossi dagli eredi di un contribuente e riguardanti l’impugnazione degli avvisi di accertamento con i quali erano state rettificate, ai fini dell’Irpef, le dichiarazioni dei redditi rese dal dante causa per gli anni d’imposta dal 2001 al 2005.
Gli eredi, cui gli atti tributari erano stati notificati (impersonalmente e collettivamente) il 1° dicembre 2008, avevano presentato istanza di accertamento con adesione in data 28 gennaio 2009, cioè due giorni prima della scadenza del termine di impugnazione dell’atto innanzi alla Ctp. Per tutti i coobbligati tale istanza ha prodotto la sospensione, per i successivi 90 giorni, sia del termine di impugnazione, sia dei termini per la riscossione delle imposte in pendenza di giudizio (articolo 6, comma 3, Dlgs 218/1997).
Come documentato dal processo verbale del 7 aprile 2009, il procedimento si era concluso con esito negativo, senza pervenire ad adesione. Di conseguenza, gli avvisi di accertamento erano stati giudizialmente impugnati nei termini (il 28 aprile 2009, entro 60 giorni dalla loro notificazione, detratto il periodo di 90 giorni di sospensione previsto dal citato articolo 6).
 
Il Collegio milanese ha ritenuto che l’articolo 6, comma 3, del Dlgs 218/1997, violasse l’articolo 3, comma 1, della Costituzione, in quanto il termine per ricorrere, di fatto, sarebbe passato da 60 a 150 giorni, nonostante la redazione del verbale di mancato accordo tra le parti.
Il giudice rimettente, quindi, ha giudicato illegittima la fruizione per intero della sospensione del termine di 90 giorni dalla data di presentazione dell’istanza di adesione nonostante la formalizzazione del mancato accordo tra il contribuente e l’ente impositore fosse intervenuta prima del decorso completo di tale periodo.
 
Ma non è stato dello stesso avviso il giudice delle leggi, che ha ritenuto la questione manifestamente infondata.
 
Osservazioni
Due i punti rilevanti alla base della pronuncia della Corte. Il primo va rinvenuto nella ratio dell’istituto. Il procedimento di accertamento con adesione ha la finalità di prevenire l’impugnazione di determinati atti tributari, favorendo l’instaurazione di un contraddittorio con il contribuente per giungere a una definizione concordata e preventiva della controversia. Dispone, infatti, l’articolo 6, comma 2, del Dlgs 218/1997, che “il contribuente nei cui confronti sia stato notificato avviso di accertamento o di rettifica, non preceduto dall’invito di cui all’art. 5, può formulare anteriormente all’impugnazione dell’atto innanzi alla Commissione tributaria provinciale, istanza in carta libera di accertamento con adesione…”.
Ove ciò avvenga, il successivo comma 3 prevede che il termine per l’eventuale impugnazione dell’atto rimane sospeso per un periodo di 90 giorni dalla data di presentazione dell’istanza del contribuente. Si tratta di una sospensione fissa e automatica, i cui effetti, collegati alla sola istanza del contribuente, si verificano a prescindere dal contraddittorio (quindi anche se il contribuente, dopo aver ricevuto l’invito a comparire dall’ufficio, non si presenta senza peraltro comunicare alcun impedimento), dal suo esito e dal perfezionamento o meno dell’atto di adesione sottoscritto dalle parti.
 
Ancora una volta un giudice si pronuncia con riferimento alla ratio di tale sospensione.
Anche la Corte di cassazione, di recente, ne aveva affermato la cumulabilità con altre sospensioni (quella da condono e quella feriale dei termini processuali), precisando “… che la sospensione del termine per l’impugnazione D.Lgs. n. 218 del 1997, ex art. 6, comma 3, di 90 giorni si fonda sulla necessità di dare al contribuente un ragionevole lasso di tempo per valutare la convenienza o meno di aderire al concordato tributario dopo avere esaminato il carattere di decisività degli elementi posti a base dell’accertamento e l’opportunità di evitare una contestazione giudiziaria (Cass. n. 28051/2009), mentre quello previsto dalla L. n. 289 del 2002 era finalizzato a non distogliere i funzionari dell’A.F. dall’esame delle pratiche di definizione agevolata con altre diverse incombenze; infine la sospensione feriale di cui alla L. n. 742 del 1969 è ispirata all’irrinunciabilità del diritto alle ferie …”(sentenza 2682/2011).

 

E non solo. L’Agenzia aveva assunto una posizione anticipatrice del recente orientamento giurisprudenziale con la circolare del 65/2001, nella quale aveva sostenuto che l’articolo 6, comma 3, “non correla peraltro in alcun modo il periodo di sospensione all’eventuale anticipato esito negativo dell'istanza di adesione prodotta dal contribuente, rispondendo unicamente alla finalità di consentire alle parti lo svolgimento del contraddittorio senza pregiudizio dei diritti di difesa del contribuente”, poiché, entro il termine di presentazione del ricorso, le parti possono “riaprire” il procedimento di definizione in precedenza concluso e addivenire alla definizione della pretesa. Possibilità prevista nell’interesse e a beneficio sia del Fisco che del contribuente: da un lato, per il Fisco, in termini di economia dell’azione amministrativa e di celerità dell’incasso della pretesa, seppure ridimensionata; dall’altro, per il contribuente, con la “giusta” quantificazione del dovuto e con la conseguente riduzione legale delle sanzioni.
Ma non senza riconoscere allo stesso contribuente la possibilità di evitare un’eccessiva parentesi del termine di impugnazione proponendo ricorso avverso l’atto di accertamento (ipotesi questa equiparata alla rinuncia all’istanza - articolo 6, comma 3, ultimo periodo, Dlgs 218/1997) oppure mediante una formale e irrevocabile rinuncia a detta istanza.
 
Ed ecco il secondo punto rilevante dell’ordinanza 140/2011: l’individuazione dell’atto idoneo a interrompere l’effetto sospensivo e a chiudere anticipatamente il procedimento di adesione.
La Corte costituzionale ha ritenuto che la redazione del “verbale” – dal quale risulta che le parti concordano nel concludere con esito negativo il procedimento – “si risolve in una mera presa d’atto del mancato raggiungimento dell’accordo tra il contribuente e l’ufficio tributario e, pertanto, non può né equipararsi all’impugnativa dell’atto di accertamento né assumere il significato di una definitiva rinuncia del contribuente all’istanza di accertamento con adesione…”.
Con la conseguenza che “la mera constatazione, in un atto atipico, che in una certa data non sia stato ancora raggiunto l’accordo, da un lato, non impedisce che esso possa essere successivamente raggiunto prima dell’instaurazione del contenzioso e, dall’altro, non esprime l’univoca volontà del contribuente di escludere, anche per il futuro, la composizione amministrativa della controversia…”.
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