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Giurisprudenza

Voluntary disclosure senza segreti,
altrimenti spunta l’ipotesi di reato

Le somme risparmiate grazie a dati omessi o non veritieri costituiscono il vantaggio economico direttamente connesso all'illecito penale che legittima il sequestro per il corrispondente valore

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Nell’ambito della procedura di voluntary disclosure di cui alla legge n. 186/2014, la mancata indicazione di dati e notizie rilevanti integra la condotta penalmente sanzionata di chi fornisce informazioni e atti non rispondenti al vero, in quanto l’omissione concerne elementi necessari a ricostruire il patrimonio estero oggetto di emersione e a determinare i relativi redditi. È legittimo il sequestro finalizzato alla confisca del profitto illecito, quale somma corrispondente al maggior onere fiscale, che sarebbe derivato da una fedele dichiarazione da parte dell’imprenditore. Questo l’importante principio contenuto della sentenza n. 27603 del 6 ottobre 2020 della Corte di cassazione.

Il fatto
Nella controversia in esame il giudice ordinario ha disposto con ordinanza il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta nei confronti di un collezionista operante nel settore della compravendita delle opere d’arte.
Le somme sequestrate sono state ritenute il profitto del reato di esibizione di atti falsi e comunicazione di dati non rispondenti al vero, forniti nella relazione di accompagnamento alla domanda di adesione alla procedura di collaborazione volontaria per l’emersione dei capitali illecitamente detenuti all’estero di cui alla legge n. 186/2014. Nel caso di specie il giudice aveva sostenuto che il contribuente non fosse soltanto un collezionista d’arte ma un imprenditore operante nel settore della compravendita di opere d’arte, evidenziando come l’istanza di accesso alla procedura non contenesse l’indicazione di tutte le sue disponibilità, specie di quelle più significative proprio nel settore economico di appartenenza.

Dagli atti processuali era emerso, infatti, che l’istante non era titolare e non aveva alcun ruolo in società di diritto elvetico e offshore operanti nel settore della commercializzazione delle opere d’arte, e aveva omesso di dichiarare la detenzione indiretta della partecipazione in una società di diritto inglese titolare di un ingente patrimonio di opere d'arte all'estero.
Sulla base di tali rilievi il Tribunale ha quantificato il profitto del reato quale somma corrispondente al maggior onere fiscale che sarebbe derivato da una fedele dichiarazione da parte dell’imprenditore.
L’imputato ha impugnato la decisione del giudice ordinario lamentando in via principale violazione dell’articolo 5-septies, Dl n. 167/1990 con riguardo alla configurabilità del reato di esibizione di atti falsi e comunicazione di dati non rispondenti al vero.
La difesa ha evidenziato come le false dichiarazioni, poste a base dell’ordinanza, non abbiano modificato la posizione dell’istante riguardo agli importi da corrispondere ai fini della regolarizzazione, non risultando alcuna omissione circa le transazioni effettuate o le opere d'arte detenute all’estero, sia direttamente che per il tramite di società o entità interposte.
I giudici di Cassazione hanno respinto il motivo principale e per l’effetto hanno respinto il ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La decisione
In via preliminare i giudici di legittimità hanno posto in evidenza che l’ordinanza impugnata aveva ad oggetto la contestazione che la domanda di accesso alla procedura di voluntary disclosure non contenesse la dichiarazione di tutte le disponibilità del ricorrente, in particolare riguardante diverse società a lui riconducibili e operanti nel settore del commercio delle opere d'arte.
L’esibizione di atti falsi e la comunicazione di dati non rispondenti al vero nell’ambito della procedura di emersione è fattispecie regolata dall’art. 5-septies del DL 167/1990, che prevede la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni per il contribuente che “esibisce o trasmette atti o documenti falsi, in tutto o in parte, ovvero fornisce dati e notizie non rispondenti al vero”. La ratio della norma è di garantire il corretto svolgimento della procedura di collaborazione volontaria.
I dati e le notizie rilevanti ai fini della configurabilità del reato sono quelli che assumono significato nell’ambito della procedura, “concernenti le circostanze fattuali necessarie ai fini della individuazione del regime fiscale applicabile, e, quindi, della determinazione dell'esatto ammontare degli imponibili”. Tra queste certamente rientrano le informazioni circa la disponibilità di società-schermo attraverso cui si opera nel medesimo settore di attività in cui si collocano le operazioni oggetto della procedura di collaborazione volontaria presentata dal contribuente, che sul punto non aveva fornito alcun tipo di informazione né in sede amministrativa né in sede giurisdizionale.
I giudici di legittimità sono fermi nel ritenere che l’omissione di dati rilevanti configuri una fattispecie di falso ideologico per omissione nel senso che, se gli elementi omessi sono tali da modificare il contenuto e il significato giuridicamente rilevanti dei dati e delle informazioni forniti, l’intera procedura ne risulta inficiata in termini di veridicità e di rispondenza al vero delle informazioni prodotte.

In buona sostanza è possibile affermare che l'omessa indicazione della disponibilità delle società-schermo, in quanto concernente un dato utile, nel caso di specie, a determinare i redditi che derivano dalla dismissione di beni costituiti o detenuti fuori del territorio dello Stato e che si vogliono far emergere con la procedura di collaborazione volontaria, integra la condotta di chi fornisce dati e notizie non rispondenti al vero, prevista e sanzionata dall'articolo 5-septies, Dl n. 167 del 1990.
Il ricorrente ha inoltre contestato l'ammissibilità del sequestro sul presupposto della non qualificabilità delle somme soggette a vincolo in termini di profitto del reato, perché la procedura di collaborazione volontaria non è configurabile come fatto generatore di evasione fiscale.
I giudici di legittimità hanno ritenuto infondato anche questo motivo e sul punto hanno riproposto il principio per cui il profitto del reato è il vantaggio economico derivante in via diretta e immediata dalla commissione dell'illecito penale e tale profitto ben può essere costituito da un “risparmio d’imposta”.
Nel caso de qua, nel reato di cui al citato articolo 5-septies le somme risparmiate dall'istante, grazie all'esposizione di dati e notizie omessi (e quindi) non rispondenti al vero, costituiscono il vantaggio economico derivante in via diretta e immediata dalla commissione dell'illecito penale ed è legittimo il sequestro corrispondente all’importo risparmiato.

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