È questa, in sintesi, la soluzione prospettata dall’Agenzia delle entrate a seguito di un interpello (risposta 127/2018).
Quesito
Una società si è rivolta all’amministrazione per chiedere la disapplicazione delle limitazioni previste dal Tuir (articolo 172, comma 7) per il riporto delle perdite fiscali, degli interessi passivi indeducibili e delle eccedenze Ace, in relazione a una fusione realizzata a seguito di acquisizione con indebitamento (schema “Mlbo” - articolo 2501-bis, codice civile).
Risposta
Nell’articolare il proprio parere, l’Agenzia ricorda innanzitutto che, con la disciplina dettata dall’articolo 2501-bis, il codice civile riconosce la legittimità delle operazioni di fusione attuate mediante lo sfruttamento della “leva finanziaria”, cioè attraverso il ricorso all’indebitamento per finanziare l’acquisizione di un’altra società e, in particolare, all’utilizzo delle risorse finanziarie esistenti nel patrimonio della società target.
Sul versante fiscale, il Tuir (articolo 172, comma 7) prevede che le perdite fiscali delle società partecipanti all’operazione, inclusa l’incorporante, possono essere portate in diminuzione del reddito della società risultante dalla fusione, incorporante o beneficiaria:
- per la parte del loro ammontare che non eccede quello del patrimonio netto della società che riporta le perdite, quale risulta dall’ultimo bilancio o, se inferiore, dalla situazione patrimoniale redatta ai sensi dell’articolo 2501-quater, codice civile, senza tener conto dei conferimenti e dei versamenti fatti negli ultimi ventiquattro mesi anteriori alla data cui si riferisce la situazione stessa, neutralizzando così i tentativi volti a consentire un pieno, quanto artificioso, recupero delle perdite fiscali
- allorché dal conto economico della società le cui perdite sono oggetto di riporto, relativo all’esercizio precedente a quello in cui la fusione è deliberata, risulti un ammontare di ricavi e proventi dell’attività caratteristica e un ammontare delle spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi (ex articolo 2425, codice civile) superiore al 40% di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori.
Queste limitazioni si applicano anche agli interessi indeducibili oggetto di riporto in avanti e all’eccedenza relativa all’aiuto alla crescita economica (Ace) e sono finalizzate al contrasto del commercio delle “bare fiscali”, realizzato mediante fusioni con società prive di capacità produttiva, che hanno come unico scopo quello di attuare la compensazione intersoggettiva delle perdite fiscali di una società con gli utili imponibili dell’altra. A tal fine, quindi, il legislatore ha introdotto un divieto al riporto delle perdite, qualora non sussistano le minime condizioni di vitalità economica previste dalla disposizione normativa (vedi anche circolare n. 9/E del 9 marzo 2010).
Pertanto, è necessario che la società, la cui perdita si vuole riportare, sia operativa. Invece, se non esiste più l’attività economica a cui si riferiscono le perdite, non è possibile procedere al riporto (cfr risoluzione n. 116/E del 24 ottobre 2006 e risoluzione n. 143/E del 10 aprile 2008).
Fatte queste considerazioni di carattere normativo e richiamata la propria prassi in materia, l’Agenzia passa ad analizzare il caso concreto oggetto dell’istanza di interpello.
A tal proposito, viene sottolineato che, sebbene rispetto alla società incorporante non siano riscontrabili oggettivamente tutti i parametri richiesti dal Tuir, è comunque possibile desumerne la vitalità aziendale da altri fattori. Essa, infatti, può essere qualificata “vitale” atteso il suo ruolo del tutto strumentale alla realizzazione dell’operazione di “Mlbo” (cfr circolare n. 6/E del 30 marzo 2016, secondo cui la società veicolo può considerarsi “vitale” se svolge funzioni strumentali alla fusione).
Per queste ragioni, quindi, l’Agenzia ritiene non applicabile al caso in esame il test di vitalità economica.
Allo stesso modo è possibile disapplicare il limite del patrimonio netto, poiché i conferimenti iniziali a favore della società veicolo possono considerarsi “fisiologici” nell’ambito della realizzazione dell’operazione e, pertanto, non sono rivolti a consentire un pieno, quanto artificioso, recupero delle perdite fiscali.
Analoghe considerazioni valgono per la società incorporata che, pur non rientrando in pieno nei parametri normativi, può comunque essere considerata operativa in quanto, tra l’altro, può contare su un organico rilevante e crescente e i componenti negativi che hanno generato gli asset fiscali richiesti sono prevalentemente da riconnettere alla operazione di fusione e non alla ordinaria operatività dell’azienda.
Per queste ragioni, l’Agenzia sostiene che l’operazione di aggregazione aziendale sottoposta alla sua attenzione non rappresenta l’epilogo di una manovra elusiva finalizzata all’indebito utilizzo, da parte del soggetto risultante dall’operazione, di perdite fiscali, interessi passivi ed eccedenze Ace, maturati da società, partecipanti alla fusione, la cui attività economica sia ormai inesistente.
In conclusione, quindi, nel caso in esame, è possibile disapplicare la normativa di contrasto alla compensazione intersoggettiva delle perdite fiscali prevista dall’articolo 172, comma 7, Tuir.