Attestazioni residenza per check-in:
l’uso e il modo annullano il bollo
Le informazioni richieste agli uffici per appurare l’autenticità di stati o fatti dichiarati devono essere acquisite nel rispetto della riservatezza dei dati personali e senza oneri
È, in sintesi, il contenuto della risoluzione n. 29/E del 12 marzo. Un’affermazione ampiamente suffragata dalle norme.
In particolare, l’Agenzia si sofferma sull’articolo 15 della legge 183/2011, che è intervenuto sull’articolo 43 del Dpr 445/2000, la disposizione che disciplina le modalità utilizzabili dalle Amministrazioni pubbliche e dai gestori di pubblici servizi – sia pubblici sia privati – per l’accesso alle banche dati delle Amministrazioni certificanti, per l’acquisizione diretta delle informazioni ovvero per eseguire i controlli sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive di certificazioni presentate dai cittadini.
Nel dettaglio, il comma 5 dell’articolo 43 prevede, appunto, l’esonero da qualsiasi onere per le certificazioni relative a stati, qualità personali e fatti, acquisite direttamente dalle banche dati delle Amministrazioni competenti.
A sostegno della conclusione c’è, poi, l’utilizzo che l’istante (un Collegio professionale) intende fare delle attestazioni di residenza, cioè controllare l’autenticità delle dichiarazioni degli iscritti. Ebbene, a tal proposito, anche se in linea generale i certificati di residenza pagano il bollo, in questo caso, una mano tesa all’esenzione viene pure dall’allegato B della tabella annessa al Dpr 642/1972 che, in base all’uso che se ne fa, fornisce un elenco degli atti e dei documenti assolutamente esclusi dall’imposta.