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Normativa e prassi

Le azioni assegnate ai dipendenti
“entrano” nel reddito di lavoro

Se il valore normale delle quote risulta maggiore del prezzo di sottoscrizione corrisposto dai beneficiari, la differenza sarà fiscalmente rilevante nei confronti di questi ultimi

azioni

Costituiscono compensi in natura e pertanto concorrono alla determinazione del reddito di lavoro dipendente le azioni assegnate da una società ai propri amministratori a fronte di un aumento di capitale. Il datore di lavoro deve operare la ritenuta Irpef nella misura del 30% sul reddito maturato anche in caso di dipendente residente all’estero. È questo, in estrema sintesi, il contenuto della risposta n. 347 del 26 agosto 2019.

Premessa complicata, soluzione semplificata
Al termine di una complessa riorganizzazione societaria e di più accordi divenuti inefficaci, la holding della società di gestione del risparmio, oggetto dell’interpello, ha deliberato che la partecipazione in quest’ultima, da parte di due suoi consiglieri di amministrazione, anziché attraverso una compravendita, potesse avvenire mediante la sottoscrizione di nuove azioni emesse a fronte di un aumento di capitale.
I dubbi dell’istante sono due.
Il primo riguarda la qualificazione giuridica degli accordi conseguiti nello svilupparsi dell’intera vicenda fino al relativo aumento di capitale.
Con il secondo quesito la società chiede delucidazioni circa l’utilità che gli amministratori dovessero, direttamente o indirettamente, ricavare per effetto dell’eventuale differenza tra il valore normale delle azioni e il prezzo di sottoscrizione.

Dietro la partecipazione, il lavoro dipendente
Il primo quesito è prontamente “liquidato” dall’Agenzia perché inammissibile. Gli accordi richiamati, infatti, così come il relativo aumento di capitale, sono divenuti inefficaci per il mancato rispetto dei termini e delle condizioni in essi previsti.

Riguardo alla seconda questione, invece, le Entrate ricordano che qualsiasi somma o altro valore percepiti a qualunque titolo, in relazione al rapporto di lavoro, dagli amministratori di società, associazioni ed enti con o senza personalità giuridica sono assimilati ai redditi di lavoro dipendente. In breve, sia i corrispettivi erogati dal datore di lavoro in denaro sia quelli in natura (e tra quest’ultimi anche le azioni) concorrono alla determinazione del reddito di lavoro dipendente (vedi articoli 50, 51 e 52 del Tuir). Tale criterio, specifica la risposta n. 347/2019, è applicabile anche quando la sottoscrizione del capitale di una società avvenga in sede di aumento successivo alla sua costituzione.
Dalla documentazione prodotta, la circostanza descritta sembra riscontrabile anche nell’operazione oggetto dell’interpello e, di conseguenza, l’Agenzia ritiene che l’assegnazione delle azioni ai due consiglieri, in via esclusiva in ragione del loro status societario, si configuri come l’erogazione di un compenso in natura fiscalmente rilevante e, quindi, assimilabile a reddito di lavoro dipendente.
Nella determinazione del reddito di lavoro dipendente, se il valore “normale” delle azioni risulti maggiore del prezzo di sottoscrizione corrisposto a ognuno dei consiglieri, rileverà la differenza su questi ultimi. In tal caso la società dovrà operare la ritenuta alla fonte a titolo di acconto Irpef, come previsto dall’articolo 24 del Dpr n. 600/1973, con obbligo di rivalsa, sul reddito assimilato a quello di lavoro dipendente formato per opera della sottoscrizione delle azioni.

Nell’ipotesi in cui il consigliere è residente all’estero, la disciplina interna (l’articolo 23, comma 2, lettera b), del Tuir) considera prodotti in Italia i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente se corrisposti dallo Stato, da soggetti residenti nel territorio dello Stato o da stabili organizzazioni nel territorio stesso di soggetti non residenti.
Nel nostro caso, vale anche la normativa internazionale e, in particolare, l’articolo 16 della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra l’Italia e la Gran Bretagna, Stato, quest’ultimo, di residenza di uno degli amministratori coinvolti. La norma richiamata prevede, infatti, che “La partecipazione agli utili, i gettoni di presenza e le altre retribuzioni analoghe che un residente di uno Stato contraente riceve in qualità di membro del consiglio di amministrazione o del collegio sindacale di una società residente dell’altro Stato contraente sono imponibili in detto altro Stato”, sancendo una potestà concorrente tra lo Stato di residenza del consigliere e lo Stato in cui ha sede la società erogante.
In conclusione, il reddito assimilato prodotto in sede di sottoscrizione delle azioni dall’amministratore inglese sarà imponibile anche in Italia e la società istante dovrà provvedere a effettuare la relativa ritenuta d’imposta nella misura del 30% sull’eventuale reddito assimilato a quello di lavoro dipendente che sarà prodotto nel nostro Paese. 

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