Con la risoluzione n. 78/E del 12 novembre, l’Agenzia delle Entrate fornisce chiarimenti in merito al trattamento fiscale dei beni merce valutati a costi specifici (“beni infungibili”).
La pronuncia origina da un’istanza d’interpello presentata da una società che, dopo aver acquisito a un’asta giudiziaria un immobile iscritto in bilancio al costo di acquisto nella voce “rimanenze”, ha in seguito proceduto a svalutarlo, considerata la non conformità dello stesso alla licenza edilizia a suo tempo rilasciata dall’ente comunale.
Il perito incaricato dalla società, nel confermare la non sanabilità dell’opera, ha infatti attestato una significativa riduzione del valore del bene.
Come noto, le rimanenze di magazzino costituiscono costi imputabili a beni ancora in giacenza e, dunque, rinviabili ai successivi esercizi. In sede civilistica, il principio generale è che le rimanenze siano valutate al minore tra il costo storico e il valore di mercato, tenuto conto che tutte le volte in cui l’utilità funzionale misurata dal valore originario (cioè, il costo) si riduce, occorre – secondo il principio di prudenza – evidenziare tale riduzione.
In riferimento ai beni per i quali risulti inattuabile l’individuazione dei costi a essi specificamente afferenti (ossia, beni fungibili prodotti in serie che presentano caratteristiche perfettamente analoghe, tali da renderli intercambiabili e pienamente sostituibili), la norma civilistica pone criteri alternativi di determinazione del costo (articolo 2426, n. 9, del codice civile).
Il ricorso a criteri convenzionali quali il Lifo (last in first out), Fifo (first in first out) o costo medio ponderato (Cmp) richiede specifiche assunzioni sul flusso fisico di magazzino.
In particolare, il principio contabile Oic n. 13 del 13 luglio 2005 ricorda come il metodo Fifo rispecchi l’andamento dei prezzi di mercato, in quanto valuta il magazzino ai costi più recenti, assumendo la fuoriuscita prioritaria dei beni che per primi vi hanno fatto ingresso.
Il criterio Lifo risulta, invece, basato sulla ipotesi opposta, per cui sono i beni entrati per ultimi a fuoriuscire per primi. Ne deriva, in fase di prezzi ascendenti, l’attenuazione degli effetti inflattivi sul risultato di periodo; il rischio connesso all’adozione di tale criterio è però quello di creare effetti distorsivi attribuendo al magazzino un valore inferiore ai costi attuali.
Il metodo del costo medio ponderato considera le unità acquisite o prodotte a date diverse e a costi differenti come facenti parte di un unicum, per cui i singoli acquisti sono privati di una specifica identificazione. La media ponderata – calcolata per movimento (il costo medio ponderato per movimento viene determinato dividendo il costo totale delle unità residue prima dell’ultimo ricevimento più il costo totale delle ultime unità ricevute per il totale delle unità residue dopo l’ultimo ricevimento) o per periodo (il costo medio ponderato per periodo viene determinato aggiungendo ai costi in inventario all’inizio del periodo gli acquisti o la produzione di un periodo. La ponderazione può dunque essere calcolata su base annuale, trimestrale, mensile, a seconda delle caratteristiche dell’attività d’impresa) – viene ottenuta in termini di rapporto tra il costo complessivo dei beni e il totale delle unità.
Passando all’esame della disciplina fiscale, il documento di prassi chiarisce come l’articolo 92 del Tuir, che disciplina il trattamento delle giacenze di magazzino, si ponga in rapporto di dipendenza dalla norma civilistica nella misura in cui riconosce, ai fini fiscali, i criteri di valutazione adottati in sede di redazione del bilancio, nel rispetto, tuttavia, di un “valore minimo” imposto dalla norma fiscale.
In tale ottica, viene dato ingresso – in via del tutto eccezionale – ai fenomeni di natura valutativa, circoscritti esclusivamente alle ipotesi di svalutazione dei beni valutati secondo criteri di valorizzazione forfetaria del magazzino (Fifo, Lifo, Cmp).
Diversamente, è preclusa, sul piano fiscale, la possibilità di procedere a rettifiche di valore dei beni valutati al costo specifico.
Tale soluzione risulta conforme non solo al dato letterale, tenuto conto che il comma 5 dell’articolo 92 non contiene alcun richiamo espresso ai beni valutati al costo, ma anche alla ratio della norma.
Viene dato rilievo, inoltre, al fatto che anche per i soggetti che adottano i principi contabili internazionali che, peraltro, escludono la valorizzazione del magazzino al Lifo (cfr Ias 2, paragrafo 25), i plus/minusvalori degli immobili classificati ai sensi dello Ias 2 non assumono rilevanza fiscale (articolo 3, comma 2, del decreto ministeriale 8 giugno 2011). Tali valori concorrono alla determinazione della base imponibile esclusivamente in sede di realizzo.
Nel caso esaminato, dunque, l’Agenzia esclude la possibilità di dare rilievo fiscale alla svalutazione del cespite operata in bilancio, con conseguente ripresa a tassazione della stessa – attraverso una variazione in aumento – in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi.
Beni iscritti al costo di acquisto:
svalutazione senza rilevanza fiscale
In sede di dichiarazione dei redditi, è necessario operare una variazione in aumento in misura corrispondente alla diminuzione del valore effettuata in bilancio
